lunedì 28 settembre 2015

VARIE 15/698

1.SI 'O VALLO CACAVA, COCÒ NUN MUREVA. Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostina a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica. 2.À PERZO 'E VUOJE E VVA ASCIANNO 'E CCORNA. Letteralmente: À perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi cerchi pretesti per litigare comportandosi come chi avendo [per propria insipienza] perduto cose di valore, ne reclami almeno piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni. 3.PURE LL'ONORE SO' CCASTIGHE 'E DDIO. Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda. 4.MADONNA MIA FA' STÀ BBUONO A NNIRONE Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. È l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso (anche se cattivo), piuttosto che l'imbelle democratico; con altra interpretazione, piú caustica, si ritiene che il popolo preferisca tenere in salute l'uomo forte e deciso (anche se cattivo),nel timore che, nel caso di decesso, lo sostitusca uno peggiore. 5.PE TTRECCALLE 'E SALE, SE PERDE 'A MENESTA. Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle era una delle piú piccole monete divisionali napoletane pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale.Il cavallo oppure callo fu una moneta di pochissima importanza coniata in rame in piú valori (uno, due, tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese), era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò, invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano con un controvalore in lire italiane di 436 centesimi per cui il treccalle valeva appena 1 lira e 38 centesimi, una cifra veramente irrisoria! 6.S'È AUNITO 'O STRUMMOLO TIRITEPPE E 'A FUNICELLA CORTA. Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e ballonzolante e lo spago corto. Id est: ànno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.La voce tiriteppe/tiriteppete (talora riportata come tiriteppola) è la riproduzione onomatopeica del rumore prodotto, nel suo vorticare da una trottolina scentrata e ballonzolante che non prilli secondo norma. 7.LL'AUCIELLE S'APPARONO 'NCIELO I 'E CHIAVECHE 'NTERRA. Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunella sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario fem.le: chiaveca [s.vo f.le [ dal lat. pop. *clavĭca, rifacimento di clavaca (in glosse), , per il lat. class. cloāca]. che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini detti chiaveche.Rammento che nell’espressione I [derivato dall’iberico Y] è una congiunzione usata, per evitare l’allitterazione, al posto della congiunzione E davanti all’art. m.le o f.le ‘E (gli/le) e solo davanti all’art. ‘E. 8.'E CIUCCE S'APPICCECANO I 'E VARRILE SE SCASSANO. Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...). 9. Â VVESSENTERÍA, NUN S' À DDA STREGNERE 'O FETICCHIO. Letteralmente: Alla diarrea non si deve (opporre) il restringimento dell'ano. Id est: Non ci si deve opporre al naturale fluire delle cose, anzi, al contrario, occorre sapersi adattare alle circostanze, anche le piú spiacevoli. 10.'O TRUMMETTA D’’A VICARIA Letteralmente: il trombetto della Vicaria. Id est: il propalatore di notizie, il divulgatore non desiderato di faccende altrui. In senso ironico: chi non sappia mantenere un segreto. La locuzione prende l'avvio da un personaggio veramente esistito in Napoli durante il periodo viceregnale, allorché - in mancanza di altri mezzi mediatici - per diffondere i pubblici bandi ci si serviva appunto di un banditore che girava la città e, fermandosi ad ogni cantonata, dava lettura dell'atto da comunicare dopo lo squillo di una tromba che serviva per richiamare l'attenzione degli astanti. Il trombetto è detto della Vicaria perché dalla Vicaria (sede dei tribunali della città) cominciava il suo lavoro il banditore. 11.A CCAROCCHIE, A CCAROCCHIE PULICENELLA ACCEDETTE Â MUGLIERA. Letteralmente: con ripetuti colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie. Id est: i risultati si ottengono perseguendoli giorno dopo giorno anche con reiterate piccole azioni. La carocchia è un colpo assestato sul capo con la mano chiusa a pugno mossa dall'alto verso il basso e con la nocca del medio protesa in avanti a formare un cuneo. Un singolo colpo non produce gran danno, ma ripetuti colpi possono anche ferire una persona e lasciare il segno. 12. GUAGLÚ, LEVÀTE 'O BBRITO! Letteralmente: ragazzi, togliete il vetro... Id est: Ragazzi togliete di mezzo i bicchieri. È il comando che proprietari delle bettole o cantine dove si mesceva vino a pagamento, rivolgevano ai garzoni, allorchè si avvicinava l'ora di chiusura dell'esercizio, affinché ritirassero i bicchieri e le bottiglie usati dagli avventori. Per traslato, la frase viene usata quando si voglia far capire che si è giunti alla fine di qualsivoglia operazione e non si è intenzionati a cominciarne altra. 13. 'A CÓRA È 'A CCHIÚ BRUTTA 'A SCURTECÀ. Letteralmente: la coda è la cosa peggiore da scarnificare. Id est: il finale di un'azione è il piú duro da conseguire, perché un po' per stanchezza, un po' per sopraggiunte difficoltà non preventivate, i maggiori ostacoli si incontrano alla fine delle operazioni intraprese. In fondo, anche i latini asserivano la medesima cosa quando dicevano: in cauda venenum (il veleno è nella coda). 14. 'O VALLO NCOPP' Â ‘MMUNNEZZA. Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Cosí, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassú intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichí. 15.ASPETTA, ASENO MIO, CA VÈNE 'A PAGLIA NOVA. Letteralmente: Attendi (a sdraiarti), asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. È una locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o ironicamente quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta.Nella fattispecie il padrone dell’asino sa che non gli procurerà strame fresco e si prende gioco della bestia minacciandolo di percosse se non continuerà il lavoro e si abbandonerà al riposo. 16.'A GATTA QUANNO SENTE 'ADDORE D''O PESCE, MACCARUNE NUN NE VO’ CCHIÚ. Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, di maccheroni non ne vuole piú. Id est: Quando l'uomo à la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta piú dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico. 17. A -CHI CHIAGNE FOTTE A CCHI RIDE. B - 'O PICCIO RENNE Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto 18.CU LL'EVERA MOLLA OGNEDUNO S'ANNETTA 'O CULO! Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succube di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione e ad essere usato a piacimento degli altri. 19. SANTU MANGIONE È 'NU GRANNE SANTO. Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in piú di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che la corruzione e non altro, governi l'universo. 20.PE VULIO 'E LARDO, VASA 'NCULO Ô PUORCO. Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice sarcasticamente a dileggio di chi, pur di ottenere anche un'inezia, è disposto alle piú disonorevoli azioni. 21.AIZÀ ‘A MANO Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere L’ espressione, che viene usata quando si voglia fare intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto del sacerdote che al momento di assolvere i peccati , alza la mano per benedire e mandar perdonato il peccatore pentito. 22. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE. Ad litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da riprodurre o riproporre; La parola Pappacone è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di Napoli.E ciò valga a smentire l’inesatta affermazione di taluni sprovveduti di storia patria che ritengono (chiaramente a torto) che il Pappacone dell’espressione sia un adattamento del nome Pappagone, maschera teatrale, piuttosto recente (1966), creazione del famosissimo Peppino De Filippo(Napoli, 24 agosto 1903 –† Roma, 26 gennaio 1980). Essendo l’espressione in esame molto piú datata rispetto alla creazione del De Filippo se ne evince che non vi sia alcun collegamento se non una semplice assonanza tra Pappagone e Pappacone. 23. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TERÒCCIOLE. Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche. 24. ARRICURDARSE ‘O CIPPO A FFURCELLA, ‘A LAVA D’’E VIRGENE, ‘O CATAFARCO Ô PENNINO, ‘O MARE Ô CERRIGLIO. Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio. L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populus; tipico il passaggio in napoletano PL→CHI) parola poi corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),2 - ‘o catafarco al Pendino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità derivata da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione da un antico castellame, si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato per traslato ad indicare un altare molto imponente), infine: 3 - ‘o mare al Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici: Magnammo, amice mieje, e po' vevimmo nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna: Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo! Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna! stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica); lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a; taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca. 25. ACRUS EST E TE LL’HÊ ‘A VEVERE Ad litteram : È acre, ma devi berlo La locuzione è tipico esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno. Cosí a Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.) il curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in sacrestia...” il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente non mi troverai...) Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro che debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere. 26. AMMACCA E SSALA, AULIVE ‘E GAETA! Ad litteram: Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione. 27. “ A LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO” Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” - “Al momento di cambiarli, piangerai.” Locuzione che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo. Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi sentí il pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase. 28. ADDÓ ARRIVAMMO, LLA METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco. La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento di un’azione iniziata e non compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione per portarla successivamente a compimento.” Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r. 29. CHIAITARSE QUACCOSA Ad litteram: Reclamare, richiedere (con insistenza) qualcosa,piatirla quasi lamentosamente, esigerla, pretenderla, ridomandarla, rivendicarla con accanimento, con petulanza, con pressione e sollecitazione quasi ricorrendo (per ottenerla) alla questione o al litigio.Il verbo chiaità[=rivendicare, richiedere] donde il riflessivo chiaitarse trova il suo etimo nel lat. placitàre attraverso un plagitare con caduta della “g” intervocaliva e sviluppo di una “j” di transito poi assorbita nella “i” donde plagitare→pla(g)itare→plajitare→plaitare→chiaità; normale nel napoletano e tipico l’ esito del digramma pl in chi (cfr. platea→chiazza - plumbeum→chiummo - pluere→chiovere – plattu-m→chiatto etc.);a sua volta plagitare è un denominale di plagitu-m←placitu-m= lite, litigio, vertenza che diede il napoletano chiajeto di pari significato. 30 – E TTE PAREVA!? Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima linea di condotta. Brak

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