martedì 20 ottobre 2015
OSTINATO & dintorni
OSTINATO & dintorni
Questa volta per contentar l’amico Umberto Z. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di quanto, su suo invito, ò spesso scritto) per contentar, dicevo, l’amico Umberto che me ne à richiesto,autorizzandomi a fare il suo nome,ma non il cognome!, cercherò di illustrare la voce in epigrafe, i suoi sinonimi e quelle corrispondenti dell’ idioma napoletano; cominciamo dunque con ostinato per proseguire con i suoi sinonimi prima di considerare le voci corrispondenti del napoletano:
ostinato/a agg.vo m.le o f.le– 1. a. Di persona, che persiste con caparbia tenacia in un atteggiamento, in un proposito, nelle sue idee o opinioni, spesso nonostante l’evidenza contraria, sia come caratteristica abituale sia come atteggiamento legato a casi e situazioni particolari: un uomo o., una ragazza o.; chi nell’acqua sta fin alla gola, Ben è o. se mercé non grida (Ariosto); è o. come un mulo; essere o. nelle proprie idee, nel non voler riconoscere le ragioni degli altri; è o. avversario di ogni novità. Anche, tenace, costante, sia in senso positivo: un ricercatore, un lavoratore, uno studioso o.; Te o. amator de la tua Musa (Parini); sia in senso limitativo, con sign. analogo ad accanito, impenitente e sim.: peccatore, bevitore, giocatore ostinato. b. estens. di cosa in cui si persiste in modo inflessibile, irremovibile: chiudersi in un o. silenzio, in un mutismo o.; uno studio o.; un’o. difesa; opporre un’o. resistenza. 2. fig. a. Di cosa molesta che dura piú dell’ordinario, che sembra non voler cessare, o di male che resiste a ogni rimedio: una pioggia, una nebbia o.; febbriciattole o.; tosse o.; ò un o. dolore alla spalla destra. b. In musica (anche come s. m.), di figura melodica che si ripete incessantemente, invariata e alla stessa altezza, per tutta una composizione o una parte di essa; appare di solito nel basso, che prende in tal caso il nome di basso o. (v. basso2). Piú genericamente, per indicare la persistenza di un ritmo o di un effetto strumentale (per es., il pizzicato o. nella Sinfonia n. 4 di Čajkovskij);
etimologicamente dal lat. o(b)stinatu(m) part. pass. del verbo obstinare= ostinarsi.
Passiamo ai sinonimi:
Accanito/a agg.vo m.le o f.le1 furioso, violento: odio accanito
2 (fig.) ostinato, tenace: lavoratore, fumatore, giocatore accanito
etimo: p.p. di accanire = Far irritare come un cane: i consigli supplichevoli accaniscono i caparbi (Botta). 2. intr. pron. Imbestialirsi furiosamente, com’è proprio del cane verbo che è denominale di canis.
Caparbio/a agg.vo m.le o f.le che pensa e agisce seguendo le proprie idee, senza tener conto dei consigli altrui, delle difficoltà ecc.; ostinato, testardo; quanto all’etimo poco convince una proposta derivazione(Treccani & altri) dal s.vo capo che lascerebbe inevaso mezzo lemma nella parte di arbio; né appare credibile il D.E.I. che ipotizza fantasiosamente uno sconosciuto né attestato *capardo forse accostato a testardo incrociato con superbio (per superbo?) per cui pare piú accettabile l’idea di chi (Pianigiani) vi vide un incrocio tra capra (animale cocciuto) e barbio (dal lat. barbulus= barbuto) : nome dato a piú specie di pesci d’acqua dolce del genere Barbus, famiglia ciprinidi, che presentano generalmente un paio di barbigli simili ad una barbetta di capra, dalle abitudini tenaci se non aggressive che ne rendono complicata la pesca; in Italia vivono due specie, il b. comune (Barbus barbus, con la sottospecie plebejus) e il b. meridionale (Barbus meridionalis), che costituiscono un cibo apprezzato. Il barbo/barbio è figura frequente negli scudi araldici, posto in palo, curvato e di profilo.
Cocciuto/a agg.vo e s.vo m.le o f.le testardo, ostinato, pervicace, tignoso; quanto all’etimo è un denominale di coccia= guscio di crostaceo, conchiglia e per estensione scorza, buccia e regionalmente testa (dal lat. cochlea(m) 'lumaca, chiocciola', dal gr. kochlías)
pervicace agg.vo m.le ef.le ostinato, caparbio, accanito (per lo piú nel male); protervo: carattere pervicace; opposizione pervicace etimologicamente è dal lat. pervicace(m), deriv. di pervincere 'vincere completamente, spuntarla', comp. di per, con valore perfettivo (si dice dell'aspetto del verbo che esprime la compiutezza o il compimento di un'azione o di uno stato (p. e. fumò una sigaretta rispetto a fumava una sigaretta, che considera l'azione nel suo svolgimento); , e vincere 'vincere';
protervo/a agg.vo m.le o f.le 1 superbo e arrogante: un individuo, un atteggiamento protervo
2 (ant.) ardito, altero: regalmente ne l'atto ancor proterva (DANTE Purg. XXX, 70, descrivendo Beatrice);
quanto all’etimo è dal lat. protervu(m) composto da pro (avanti) e tero (trito, batto,calpesto);
puntiglioso/agg.vo e s.vo m.le o f.le =che agisce per ostinazione caparbia; che è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione: una persona puntigliosa; avere un carattere puntiglioso; un ragazzo puntiglioso nello studio; come s. m. [f. -a] persona puntigliosa: fare il puntiglioso
quanto all’etimo è aggettivo/sostantivo formato aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a al sostantivo puntiglio che è dallo sp. puntillo, dim. di punto (de honor) 'punto (d'onore)';
tenace agg.vo m.le e f.le1 che tiene bene, che fa presa: là dove bolle la tenace pece (DANTE Inf. XXXIII, 143)
2 detto di materiale metallico, che resiste alla deformazione | (estens.) detto di altro materiale, che non si rompe facilmente: filo tenace
3 (fig.) forte, resistente; saldo nei propositi; costante, puntiglioso,: memoria, volontà tenace; un ragazzo tenace; un affetto tenace, che dura molto a lungo
4 (lett.) parco, avaro (ma è poco usato in tale accezione)
L’etimo è dal lat. tenace(m), deriv. di teníre 'tenere'
tignoso/a agg.vo m.le o f.le
1 affetto da tigna
2 (fig. region.) avaro
3 (fig. region.) testardo, ostinato.
L’etimo è dal lat. tine-osu(m), deriv. di tinea 'tigna'.
E veniamo finalmente al napoletano dove abbiamo numerosi aggettivi che rendono quello dell’epigrafe ed i suoi sinonimi; li considero qui di sèguito:
Capaglione/a agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano tignoso/a;
L’etimo è da un lat.regionale *capalione(m) da capale (Du Cange pg. 861);
Capa tosta /capetuosto agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano testardo;
ambedue i termini sono etimologicamente formati o dall’accostamento o addirittura dell’agglutinazione di capa/cape =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput) con l’aggettivo tosta/tuosto = duro, sodo (dal lat. tosta→tosta/tostu(m)→tuosto, part. pass. di torríre 'disseccare, tostare, render duro';
Capoteco/a agg.vo m.le o f.le che pensa e agisce seguendo le proprie idee, senza tener conto dei consigli altrui, delle difficoltà ecc e cioè corrisponde ad un dipresso all’italiano caparbio; quanto all’etimo è voce formata partendo da capa→capo =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput) piú il suffisso durativo òteco/a←òticu(m)/òtica(m) (cfr. (id)òticus;
cervecone/a agg.vo m.le o f.le = vale tal quale il precedente capaglione di cui è una sorta di accrescitivo (cfr. il suff. one/a); in origine però non fu aggettivo, ma un sostantivo indicante la nuca,la cervice, la collottola del capo e fu poi usato quale aggettivo indicante chi è ostinato o testardo; tale passaggio è semanticamente spiegato con il fatto che nell’inteso comune la cervice (da cui etimologicamente la voce trae) è spesso détta dura, quantunque morfologicamente la collottola o nuca, posta alla base del cranio sia piuttosto molle e non dura; la voce come détto è da un tardo lat. *cervicone(m) modellato su cervix= cervice e risolve comodamente in un unico termine il giro di parole (di dura cervice) dell’italiano;
Criccuso/a agg.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano puntiglioso e cioè: che/chi è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione con l’aggiunta peggiorativa d’essere dispettoso e/o capriccioso; quanto all’etimo è aggettivo formato aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a o al sostantivo cricchio (voce onomatopeica che vale ticchio, ghiribizzo) o piú probabilmente al sostantivo cricco (dal fr. cric martinetto, quello con cui si solleva un autoveicolo quando si deve sostituire una ruota); semanticamente, oltre che morfologicamente trovo piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio= ghiribizzo; infatti criccuso mi pare che ripeta, semanticamente, la forza puntigliosa(quasi dispettosa) esercitata con il cricco per raggiungere lo scopo del sollevamento d’un autoveicolo, laddove non mi par di poter trovare attinenze semantiche tra un’idea improvvisa e stravagante quale quella del ghiribizzo e l’applicazione costante e finalizzata del criccuso/puntiglioso; ugualmente morfologicamente trovo molto piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio(= ghiribizzo) voce che probabilmente avrebbe potuto evolversi in cricchiuso (mai però attestato) e non in criccuso;
‘mbizzuso/a agg.vo m.le o f.le di per sé in primis capriccioso/a, lunatico/a; scontroso/a e quindi per estensione testardo, ostinato, forte, resistente, costante, puntiglioso, saldo nei proprî propositi stravaganti e/o bizzarri; quanto all’etimo è aggettivo formato premettendo un in→’m rafforzativo ed aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa al sostantivo bizza (
1.breve stizza, capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze.
2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; etimologicamente molti dizionari registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. e precisamente Carlo Battisti o Giovanni Alessio che si presero la responsabilità delle voci sotto la lettera B ipotizzarono (ma a mio avviso poco convincentemente) una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’impuntatura che son proprî della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio all’impuntatura,alla ira o anche solo ad una breve stizza!);
ncucciuso – ncucciosa agg.vo m.le o f.le ripete all’incirca le valenze del precedente cervecone/a nei significati di persona dalla testa dura ,persistentemente caparbia, testarda, puntigliosa, testona, cocciuta; quanto a l’etimo è termine formato da una n eufonica (per la quale non necessita alcun segno diacritico di aferesi che non c’è stata, (segno che necessiterebbe nel caso che la n fosse aferesi di un (i)n→’n illativo), n eufonica premessa alle voci cucciuso cucciosa nate addizionando la voce cuccia per coccia ← coccia (guscio di crostaceo, conchiglia e per estensione scorza, buccia e regionalmente testa (dal lat. cochlea(m) 'lumaca, chiocciola', dal gr. kochlías) con il suffisso lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa (suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, che indica presenza, caratteristica, qualità ecc. (, curaggiuso/curaggiosa,perecchiuso/perucchiosa= pidocchioso/a, schifuso/schifosa).
;
ncucciuto/a agg.vo m.le o f.le è il medesimo aggettivo precedente con una morfologia un po’ diversa; in questo a margine il suffisso non è quello lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa, ma quello verbale uto/a del part. passato, usato spesso per la formazione di aggettivi; la cosa da notare è che se l’agg.vo a margine fosse etimologicamente un reale p.p. dell’infinito ncuccià =ostinarsi, colpire, prendere etc., avrebbe dovuto essere ncucciato e non ncucciuto che potrebbe essere p.p. d’un inesistente ncuccí ;
ncanuso/osa agg.vo m.le o f.le vale in primis: stizzoso, sdegnoso e per ampiamento semantico testardo, fermo nelle proprie idee, da non lasciar spazio alle altrui idee o azioni, quasi come un cane da guardia. Etimologicamente è voce costruita con una n eufonica ( che non è residuo di un in→’n illativo e dunque non necessita(come ò già détto antea) del segno diacritico d’aferesi la cui apposizione, (come pure m’è occorso di trovare in taluni importanti (sic!) scrittori, sedicenti esperti dell’esatta grafia dell’idioma partenopeo) sarebbe inutile e pleonastica, n eufonica anteposta al sostantivo cane (lat. cane(m)) seguito dal suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa;
‘ncanato/a agg.vo m.le o f.le voce analoga alla precedente nel significato di ostinato, cocciuto, testardo, caparbio, pertinace, puntiglioso, che agisce alla maniera d’un cane da guardia; etimologicamente la voce a margine pure essendo costruita, come la precedente sul s.vo cane (lat. cane(m), à una morfologia affatto diversa: in questa a margine infatti la ‘n d’avvio non è una consonante eufonica, ma è un residuo di un in→’n illativo e dunque necessita del segno diacritico d’aferesi; il suffisso adottato poi è quello (ato/a) delle desinenze verbali (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncanarse (comportarsi come un cane);
‘ncapunito/a agg.vo m.le o f.le intestardito, testardo, caparbio, come chi abbia una testa tanto grossa da farlo definire testone,testardo, pervicace, tignoso, persona ostinata ma poco intelligente; etimologicamente la voce a margine pure essendo costruita, sul s.vo capone = grosso capo cui è anteposta un in→’n illativo che dunque necessita del segno diacritico, adotta come suffisso quello (ito/a) delle desinenze verbali di terza coniugazione (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncapunirse (intestardirsi, incaparbirsi, fissarsi, impuntarsi);
ncrapicciuso/osa agg.vo m.le o f.le vale in primis: estroso, bizzarro, originale, stravagante, insolito, strambo; civettuolo, e per ampiamento semantico testardo, fermo nelle proprie pretese balzane, bizzose,eccentriche, strampalate, assurde; ; etimologicamente la voce a margine è costruita sul s.vo crapiccio = voglia improvvisa e stravagante, desiderio bizzarro, ghiribizzo, sostantivo per il cui etimo si sospetta (D.E.I.- GARZANTI) una derivazione con lettura metatetica di cap(o)riccio = capo con i capelli rizzati per la paura, quindi manifestazione stravagante; trovo però migliore un’adattamento del fr. caprice sempre con lettura metatetica; al s.vo crapiccio è anteposta una n eufonica che dunquenon necessita del segno diacritico, e gli fa seguito il suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa;
‘ncurnato/a agg.vo m.le o f.le ad litteram varrebbe incornato/a cioè colpito/a da una cornata, ma è inteso nei significati traslati di testardo, sfrontato, insolente, cocciuto, che fa di testa propria incurante di moniti o suggerimenti,accezioni tutte semanticamente spiegate con il fatto che esistono delle bestie (ovini – bovini) dal comportamento cocciuto ed il cui capo è spesso provvisto di corna s.vo su cui è modellato l’aggettivo a margine secondo il seguente iter: al s.vo cu(o)rn(a)←corna è anteposta un in→’n illativo che in quanto tale necessita del segno diacritico, ed al s.vo fa seguito il suffisso ato/a) delle desinenze verbali di 1° cng. (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncurnarse (comportarsi cocciutamente come una bestia provvista di corna);
di pertinenza osus/osa→uso/osa;
‘nzallannòmmene agg.vo e s.vo m.le e solo m.le: non è attestato come f.le= in primis zuccone, sciocco, stolto, scimunito; (fam.) tonto; poi per estensione semantica protervo, spocchioso, sprezzante, tracotante; arrogante, sfacciato, sfrontato, insolente e da ultimo testardo, ostinato, disorientatore,chi frastorna, turba, confonde, frastorna, sconcerta, scombussola con atti o discorsi ostinati, tenaci, perseveranti, caparbi, testardi, puntigliosi; è voce deseutissima che rappresenta quasi la voce attiva rispetto alla voce passiva ‘nzallanuto/a che connota colui o colei che subiscono l’azione del disorientamento, frastornamento, turbamento, confusione, , sconcertamento, scombussolamento con atti o parole ad opera di un ‘nzallannòmmene (ad litteram: frastorna-uomini).
Etimologicamente sia ‘nzallannòmmene che ‘nzallanuto/a sono deverbali di ‘nzallaní di cui ‘nzallanuto/a è il participio passato, mentre ‘nzallannòmmene è formato agglutinando la radice ‘nzallan di ‘nzallaní (con raddoppiamento espressivo della nasale dentale n: ‘nzallaní →‘nzallanní) con il so.vo òmmene per uòmmene(dal lat. (h)omine(s) con radd. espressivo della nasale bilabiale m) pl. di ommo = uomo (dal lat. (h)omo con radd. espressivo della nasale bilabiale m); occorre solo chiarire ora significato ed etimo del verbo ‘nzallaní; dirò perciò che accanto alla voce ‘nzallaní, nel napoletano è in uso anche ‘nzallanirsi e questa seconda voce rappresenta la forma riflessiva della prima, e son verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anziane che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata.
Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo!
Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi in esame.
La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto articolata e tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensano di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú.
Per ciò che riguarda i verbi esaminati mi pare di potere accettare l’ipotesi di de Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere un adattamento corruttivo di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs); di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo; normale infatti il passaggio del gruppo th a z (cfr. thiu(m)→zio);
tuttavia per la voce zallo mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi, ipotesi che espongo qui di sèguito.
Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali dentali nn con le piú comode consonanti laterali alveolari ll.
Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro).
Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come ugualmente non lungo potrebbe esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo!; epperò penso che la prima ipotesi quella cioè che ritiene zallo adattamento corruttivo di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs) sia la migliore e quella piú perseguibile;
proffediosa agg.vo e s.vo f.le e solo f.le: non è attestato come m.le= in primis zuccona, sciocca, stolta, scimunita; tonta; poi per estensione semantica proterva, perfida,malvagia, spocchiosa, sprezzante, tracotante; arrogante, sfacciata, sfrontata, insolente e da ultimo testarda, ostinata,subdola, tenace, perseverante in atteggiamenti (tipici delle donne) malvagi e spesso crudeli; è voce purtroppo deseutissima etimologicamente formata sul s.vo perfidia (dal lat. perfidia(m), deriv. di perfidus) letto metateticamente prefidia→preffidia→proffidia con raddoppiamento espressivo della consonante fricativa labiodentale sorda e cambio della e (intesa lunga) in o e aggiunta del suffisso di pertinenza osa←osus/osa
scurzone/a - scurzato/a – scurzuso/osa tre agg.vi m.li o f.li morfologicamente poco diversi (cambiano i suffissi)che valgono tutti in primis spilorcio/a, avaro/a e poi per ampiamento semantico tutti ostinato/a, fermo/a nei proprî propositi come chi sia di dura scorza (corteccia) e non si lasci intaccare da nulla; etimologicamente tutti sono costruiti sul s.vo scorza (dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', f. sost. dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle') 1-rivestimento del fusto e delle radici degli alberi; 2 – ( estens.) pelle di alcuni animali, spec. di pesci e serpenti 3 ed è il caso che ci occupa: pelle dell'uomo (spec. in alcune loc. dell'uso fam.): avere la scorza dura, (fig.) aspetto esteriore, apparenza; dicevo che tutti I tre aggettivi sono costruiti sul s.vo scorza; al primo è aggiunto il suffisso accrescitivo one/ona ,al terzo quello lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa, mentre al secondoquello verbale ato/a del part. Passato dei verbi di 1° cngz, usato spesso per la formazione di aggettivi, tanto da poter far sospettare che scurzato/a sia il p.p. dell’infinito scurzà =privare della buccia o scorza da intendersi però in senso antifrastico come chi non si lascia intaccare la propria buccia;
e veniamo all’ultimo termine che rende in napoletano quello italiano dell’epigrafe:
vinciuto/a agg.vo m.le o f.le in primis prepotente, viziato,petulante, fastidioso,, arrogante, ostinato nelle pretese,diseducato,abituato ad averle tutte vinte: è ‘nu criaturo/’na criatura vinciuto/a (è un bambino/una bambina viziato/a); etimologicamente ci troviamo in presenza di una forma verbale (part. pass. aggettivato ) dell’infinito véncere (dal lat. vincere) vincere,sconfiggere, superare, sbaragliare, schiacciare, annientare; conquistare, espugnare etc.,
ma ci troviamo ad aver che fare, a mio avviso, con un uso improprio di un participio passato che solitamente viene usato per indicare un’azione non solo passata, ma pure subíta: in italiano vinto (part. passato di vincere) indica il sopraffatto, lo sconfitto, il perdente, colui che à perso, mentre è il part. presente vincente ad indicare colui che stia vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno; alla medesima stregua in napoletano vinciuto (part. passato di vencere) dovrebbe indicare il sopraffatto, lo sconfitto, il perdente, colui che à perso, e non (come invece avviene)colui che stia vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno, anzi colui che le à sempre vinte tutte!, ma è d’uso ormai sia nel parlato che nello scritto napoletano considerare vinciuto sinonimo di vittorioso, vincente, forse sottintendendo un che à→ c’à in posizione protetica a vinciuto: ad es.: è ‘nu criaturo vinciuto cioè è ‘nu criaturo(c’ à) vinciuto; ma non saranno le mie parole a rimettere ordine in codesto groviglio semantico.
Satis est.
Raffaele Bracale
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