giovedì 18 febbraio 2016

VARIE 16/115



1. PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti. Il Pasquale richiamato nella locuzione  fu un tal Pasquale Barilotto lamentoso personaggio di farse pulcinellesche del teatro di A. Petito. 
2. PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffigurati in pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
3. MEGLIO A SSAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô  MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato,  ma vivo, che morto impiccato.

4.FUTTATENNE!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. È il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma.
5. FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: fare di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
6. FÀ TRENTA E UNO TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno non  v'è che  un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X( che nato Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – †Roma, 1º dicembre 1521), fu il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte e fu sensibile a sollecitazioni nepotistiche e non solo.,nonché proclive alla concessione della porpora cardinalizia) che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò ex abrupto  un trentunesimo non previsto.
7.ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
8. ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato.
9.'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Berta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata ironicamente  per sottolineare l'inconsistenza di un quid ricevuto  o come dono,o come dovuto  specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
10.ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica  di voler procurare, a colui cui è rivolta,  un grave, gravissimo  anche se non specificato danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato,  usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non  potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata con due significati, uno meno grave, l’altro piú duro; nel significato meno duro l’espressione significa mancare a un impegno, a un appuntamento; nel significato piú minaccioso  l’espressione è usata    per minacciar imprecisati ma  totali danni; infatti  con l’espressione  T’aggi’ ‘abbruscià ‘o paglione! si vuol significare: Devo arrecarti tutto il danno possibile, bruciandoti persino il pagliericcio su cui dormi,  per non darti piú modo neppure di riposare!
Anticamente l’espressione in esame venne usata   come minaccia di sodomizzazione , probabilmente perché (per sineddoche) con il termine paglione si intendeva il fondoschiena che viene adagiato, per riposare, proprio sul paglione.
abbruscià = bruciare, ardere, incendiare,consumare, distruggere, rovinare con l'azione del fuoco o del calore.
l’etimo è da un lat. volg. ad+brusiare→abbrusiare→abbrusciare/à  
paglione  s. m. =in primis 1 pagliericcio,  saccone pieno di paglia o foglie secche usato come materasso;per sineddoche talora 2 fondoschiena; quanto all’etimo paglione  è un evidente accrescitivo (cfr. suff. one) di paglia  che è dal lat. palea
11.  Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di  tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti  vengono a mancare elementi che  invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di  succedanei spesso non confacenti.
12. ‘A CARNA TOSTA E ‘O CURTIELLO SCUGNATO.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio.  Icastica locuzione che si usa a  dolente commento di situazioni dove concorrano due o piú elementi negativi tali da  prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa  l’espressione di cui al successivo numero.
13. S’È AUNITO ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPE ad litteram: si è sommata ad una fune corta, una trottolina ballonzolante;  tale espressione è usata quando si voglia fotografare una situazione nella quale concorrano due iatture, come   ad esempio nel caso  di una persona incapace ed al contempo sfaticata o di un artigiano poco valente  fornito, per giunta di ferri del mestiere inadeguati, rammentando un famoso modo di  dire che afferma che sono i ferri ca fanno ‘o masto e cioè che un buono aretiere è quello che posside buoni ferri...o magari – per concludere quando concorrono un professore eccessivamente severo ed un alunno  parimenti svogliato.
Brak

Nessun commento:

Posta un commento