venerdì 4 marzo 2016

VARIE 16/180

1.FÀ ‘E SSETTE CHIESIELLE. Letteralmente: visitare le sette chiesine ovvero per traslato : andarsene in giro per le case altrui senza uno specifico motivo, ma solo per il gusto di intrattenersi negli altrui domicili, nella speranza - magari - di scroccare un pranzo, o quanto meno un caffé che a Napoli non si rifiuta a chicchessia. Detto anche di chi, prima di decidersi a fare un acquisto visita innumerevoli negozi per informarsi sui prezzi dell’articolo cercato, per confrontarli e metterli a paragone. Originariamente le sette chiese della locuzione sono sette bene identificati luoghi di culto e cioè nell’ordine: Spirito santo, san Nicola alla Carità, san Liborio alla Pignasecca, Madonna delle Grazie, santa Brigida, san Ferdinando di Palazzo e san Francesco di Paola, quelle chiese cioè che tutti i napoletani andando dalla odierna piazza Dante (anticamente Largo del Mercatello) a piazza del Plebiscito (l’antico Largo di Palazzo) percorrendo la centralissima strada di Toledo, sono soliti visitare durante il cosiddetto struscio la rituale passeggiata pomeridiana o serale che si compie il giovedì santo , durante la quale si “visitano” i cosiddetti sepolcri ovvero le solenni esposizioni o riposizioni dell’Eucarestia che si tengono in ogni chiesa di culto cattolico.Dal fatto che le chiese incontrate nel rituale tratto dello struscio fossero sette si instaurò la consetudine pseudo-religiosa che i cosiddetti sepolcri da visitare dovessero essere in numero dispari e qualche devoto poco propenso a camminare per ottemperare a tale pseudo-precetto si recava nella chiesa piú vicina alla propria abitazione e vi entrava ed usciva sette volte di fila per biascicare orazioni, ritenendo in tal modo di aver fatte le rituali dispari visite previste. La voce struscio (deverbale del lat. volg. *extrusare, deriv. del class. extrudere) venne adottata con riferimento al fruscío prodotto dalle nuove lunghe vesti di raso indossate dalle signore in occasione della rituale passeggiata del giovedì santo. P.S. Nella mente ingenua del popolino si confuserole cerimonie del giovedì e del venerdì' santo e si parlò impropriamente di "sepolcri" in luogo di "esposizione solenne" o "riposizione". Rammento a completamento di quanto fin qui détto che la consuetudine partenopea dello struscio (rituale passeggiata del giovedì santo, con sfoggio di fruscianti abiti nuovi) fu determinata da una prammatica emessa nel 1588 dal viceré Juan de Zunica conte di Morales (?Alcantara -†ivi1605)[il medesimo che spostando al 1° di maggio (festività dei santi Filippo e Giacomo)l’ abitudine di sfratti e traslochi, l’aveva regolamentata definitivamente] il quale importando a Napoli un uso iberico, per favorire la concentrazione spirituale dei fedeli durante la settimana santa, proibí l’uso di carrozze e cavalli che con il loro frastuono avrebbero nociuto al raccoglimento di quei fedeli. 2.FÀ CACÀ LL’UVA, LL’ACENO E ‘O STREPPONE. Ad litteram: far defecare il grappolo d’uva, gli acini(vinacciuoli) ed il raspo relativi.Locuzione, spesso usata sotto forma di minaccia: te faccio cacà ll’uva, ll’aceno e ‘o streppone (ti faccio defecare la pigna d’uva, i singoli acini(vinacciuoli) ed il raspo) con la quale si significa l’azione violenta di chi costringa o intenda costringere un ladro o anche solo un profittatore a restituire tutto il mal tolto, e cioè pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini e persino ad abundantiam il vuoto raspo che non viene mangiato, ma che si intende far restituire da digerito.La minaccia estensivamente poi viene usata nei confronti di chiunque (adulti e/o bambini) siano messi in condizione di dover esser severamente puniti per eventuali malefatte trascorse. cacà= cacare, defecare voce verbale infinito derivata dal lat. cacare= andar di corpo; uva = uva, il frutto della vite, costituito da un grappolo composto di acini: dal lat. uva(m) nell’espressione in epigrafe vale grappolo di uva che a Napoli più spesso è detto pigna d’uva per la forma a cono rovesciato vagamente simile al frutto conico delle conifere, costituito da squame legnose che nascondono i semi (pinoli); aceno= acino, chicco dell’uva o di frutta similare dal latino acinu(m); in napoletano con il termine a margine non si intende però solo il vero e proprio acino/chicco d’uva, ma anche il vinacciuolo e cioè ciascuno dei semi che si trovano in un acino d'uva; il fiocine che molti, mangiando un grappolo d’uva, evitano di ingoiare e sputano via, per cui sarebbe poi difficilissimo renderlo digerito, atteso che non viene mangiato ; la medesima cosa avviene anche con lo streppone= raspo, grappolo di uva privo dei chicchi, gambo, fusto di fiori recisi; la voce etimologicamente è dal lat. stirpe(m) attraverso un accrescitivo *sterpone(m) con metatesi e raddoppiamente espressivo della p Raffaele Bracale

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