martedì 28 febbraio 2017
VARIE 17/257
1.STANNO CAZZA E CCUCCHIARA.
Stanno (uniti come) secchio della calcina e cazzuola/mestola; cioè: vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
Détto di tutti coloro che sceltisi un amico o un compagno non si separano da lui che per brevissimo lasso di tempo, andando sempre di pari passo, stando sempre insieme come càpita appunto per il secchio della calcina e la cazzuola che vengono usate dal muratore di concerto durante il lavoro giornaliero ed anche quando questo sia terminato il muratore, nettati i ferri del mestiere è solito conservarli insieme ponendo la cazzuola nel secchio della calcina per modo che l’indomani possa facilmente ritrovarli ed usarli alla ripresa del lavoro.
La cazza come ò accennato fu in origine un recipiente per lo piú di ferro, provvisto di manico, nel quale si fondevano i metalli , poi indicò ed ancóra indica quel contenitore ,quel secchio di ferro in cui i muratori usano impastare malta e/o calcina; la voce è dal lat. tardo cattia(m), da collegarsi al gr. ky/athos 'coppa, tazza'; la voce è usata piú spesso in italiano che in napoletano dove il suddetto contenitore è chiamato piú acconciamente cardarella diminutivo adattato di caldara→cardara= caldaia = in origine recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa e poi estensivamente ogni capace recipiente metallico atto a contenere materiali caldi o freddi; caldara→cardara è voce derivata del latino tardo caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo'.
Poiché, come ò detto, la voce cazza è poco nota e usata a Napoli accade che l’espressione in epigrafe venga talvolta impropriamente enunciata come Essere cazzo e cucchiara con un accostamento erroneo ed inconferente non essendovi certamente nessun nesso tra il membro maschile e la cucchiara= cucchiaia, cazzuola che è appunto la mestola che usano i muratori per prelevar la calcina o malta dalla cazza distribuendola e pareggiandola su muri e/o mattoni;
cucchiara è di per sé il femminile di cucchiaro con etimo dal latino cochlearju(m) con normale semplificazione - di rj→r e chiusura di o in u in sillaba atona; cucchiaro è stato reso femminile appunto per indicare, come già dissi altrove, un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina piú grande etc. con le sole eccezioni di caccavella piú piccola – caccavo piú grande e di tiana piú piccola – tiano piú grande );ugualmente è erroneo stravolgere l’espressione in epigrafe in (come pure talvolta m’è occorso d’udire) Essere tazza e cucchiara , atteso che la tazza , per grande che possa essere (fino a diventar una ciotola) potrebbe procedere di conserva con un cucchiaino (tazza da caffè), al massimo con un cucchiaio (tazza/ciotola da caffellatte) mai con una cucchiara (cazzuola).
Qualcuno, mi ripeto, meno esperto della tradizione e/o della parlata napoletane riferisce erroneamente il modo di dire con l’espressione: Pàrono oppure stanno tazza e cucchiaro: sembrano oppure stanno (come) tazza e cucchiaio, espressione inesatta come ò spiegato ed invece la locuzione, sulle labbra dei vecchi napoletani, consci di quel che dicono comporta giustamente la presenza della cucchiara arnese tipico dei muratori; il medesimo concetto di continua salda unione si esprime con le locuzioni:
2.STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
3.STORTA VA, DERITTA VÈNE
Ad litteram: va storto, ma viene dritto id est: parte negativamente, ma si conclude positivamente; locuzione emblematica di una filosofia ottimistica con cui si afferma la certezza, o almeno la speranza, che le cose principiate in modo errato o che sembrano procedere distortamente, si concluderanno in maniera esatta e conferente.
4.STREGNE CCHIÚ ‘A CAMMISA CA ‘O JEPPONE
Ad litteram: Stringe piú la camicia che la giubba. Espressione che icasticamente vale: Procura piú danno un parente prossimo che un vicino, un amico, un sodale fortuito. L’espressione parte dalla considerazione che la camicia è l’indumento che, indossandosi a pelle, è quello che piú costringe il corpo e può risultare fastidioso, al contrario d’altri indumenti,come la giubba, che indossati sulla camicia non devono essere necessariamente costrittivi e fastidiosi;alla camicia son paragonati i parenti prossimi che, in quanto tali stanno quasi a contatto a pelle viva con una persona e possono arrecarle fastidio o danno, quelli che un vicino, un amico, un sodale fortuito essendo meno congiunti direttamente ed avendo, con ogni probabilità, minori rapporti e/o occasioni di coesistenza, è meno probabile che le possano nuocere o la possano danneggiare al pari di una giubba che è meno a contatto con la pelle dell’individuo; va da sé che nel novero dei parenti stretti siano da considerarsi quegli amici e/o vicini che si comportino da parenti stretti, essendo continuatamene a contatto di una persona.
cammisa s.vo f.le camicia indumento maschile e/o femminile di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo indossato il piú delle volte a pelle nuda. voce dal lat. tardo camisia(m)→cammisia(m)→ cammisa(m) con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (M);
Jeppone s.vo m.le giubba,giaccone, soprabito; voce dall’arabo ğubba→juppa→jeppa addizionato del suff. accrescitivo one.
5.STRUJERE 'E PPRETE
Ad litteram: consumare le pietre Riferito al comportamento di chi tenga diuturnamente a piedi sempre il medesimo percorso e ne consumi quasi le pietre; per traslato e sarcasticamente riferito a chi perda accidiosamente il suo tempo, inutilmente bighellonando per istrada.
Tale comportamento viene altresí indicato con la locuzione: JÍ 'NCASANNO 'E VASULE (andar pestando le pietre di copertura della strada).
BRAK
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