martedì 18 luglio 2017

PETTEGOLA, INTRIGANTE & dintorni



PETTEGOLA,   INTRIGANTE & dintorni
L’amica A.C.  (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) reduce dalla lettura d’alcune mie, a suo dire interessanti paginette sotto il titolo di Epiteti(nelle quali trattavo alcuni termini napoletani corrispondenti al pettegola dell’italiano), mi à chiesto se in napoletano (oltre quelli già illustrati ne esistano altri di pari significato. Accontento lei e forse qualche altro dei miei ventiquattro lettori esaminando altre parole napoletane sinonimi di pettegola; lo faccio non senza soffermarmi dapprima  sulla voce di partenza: pettegola e poi sui sinonimi dell’italiano;   abbiamo dunque:
pettegola agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le pettegolo)
1si dice di persona che parla spesso con morbosa curiosità e con malizia di fatti e comportamenti altrui: una donna pettegola
2 proprio di persone pettegole: chiacchiere pettegole
come s.vo  [f. -a] persona pettegola: è un gran pettegolo.
Non tranquillissima l’etimologia: appare alquanto forzata (anche per il D.E.I.) una proposta derivazione dal ven. petegolo, affine all'it. peto, per allusione all’incontinenza verbale delle persone pettegole;  come pure incoferente appare l’accostamento a píthecus= scimmia,  accostamento che non spiegherebbe il suffisso; meglio optare, con il Caix (Napoleone Caix (Bozzolo, MN 1845-†ivi 1885), linguista, docente di dialettologia e lingue romanze comparate presso il Regio Istituto di studi superiori di Firenze) per una derivazione quale deverbale dal lombardo betegar= altercare; betegar  a sua volta  mi appare costruito sul s.vo gotico bíga→bega con infissione di una sillaba (te) durativa e suffisso verbale are/ar ; da betegar→petegar e petegolare/pettegolare donde pettegolo;
ciarlona, agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le ciarlone)  voce non comune:  che, chi à l'abitudine di ciarlare molto; chiacchierone. Etimologicamente deverbale di ciarlare (voce onomatopeica)= parlare a lungo e senza alcun costrutto; chiacchierare, cianciare
chiacchierona, agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le chiacchierone)voce piú comune della precedente e del medesimo significato nonché di simile etimo (deverbale di chiacchierare) trattandosi anche per la voce a margine di voce onomatopeica
Intrigante, agg.vo e talora s.vom.le e f.le
1 chi avviluppa, chi intricare: intrigare una matassa
2 (fig.) chi turba, chi imbarazza: Quel silenzio di Oreste la intrigava (CAPUANA)
3 (fig.) chi/che affascina, chi/che  interessa, chi/che incuriosce: un film che intriga lo spettatore;in funzione intransitiva. [aus. avere]  chi si dà da fare, tramando imbrogli, per ottenere qualcosa; chimacchina: intrigare per avere un posto, una nomina ||| in funzione rifl.( intrigarsi)   chi si intromette in faccende poco chiare o che possono creare fastidi; chi si impelaga: intrigarsi in un brutto affare | (fam.) chi si impiccia, chi si immischia: intrigarsi dei, nei fatti degli altri. Etimologicamente part. pres. di intrigare che è  variante di intricare , (dal lat. intricare, comp. di in- 'in-1' e un deriv. di tricae -arum (pl) 'intrighi, imbrogli')  variante di origine sett. (per la g al posto della c); non manca poi un influsso del fr. intriguer.Dall’esame dei significati della voce a margine si evince che essa solo per ampliamento semantico à il significato proprio di pettegola , atteso che chi di chi si impiccia, chi si immischia soprattutto delle faccende altrui, per solito lo fa logorroicamente e maliziosamente nell’intento di penetrare gli argomenti di cui voglia interessarsi.
Linguacciuto/a, agg.vo m.le o f.le
 1che à la lingua lunga;
2 pettegolo/a, maldicente;
per l’etimo è un derivato di linguaccia (peggiorativo di lingua che è dal lat. lingua(m)); linguaccia è 
1 il gesto del tirar fuori la lingua per scherno: fare le linguacce
2 (fig.donde l’aggettivo che ci occupa) persona pettegola, maldicente.
maldicente, agg.vo e talora s.vom.le e f.le
che, chi ama sparlare degli altri per malignità o per leggerezza; quanto all’etimo  è dal lat. maledicente(m), part. pres. di maledicere 'dir male';
Esaurite cosí le voci dell’italiano, passiamo a quelle del napoletano:
banchèra=agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che l’eventuale corrispondente maschile banchiere nel parlato comune non indica un venditore al minuto, ma un impiegato di banca(istituto di credito); banchera ad litteram è venditrice al minuto  che lavora servendosi di un banco/bancone tenuto all’aperto sulla pubblica via, venditrice che essendo in contatto con molte persone può – come la successiva capèra  - diventar pettegola, propalatrice di notizie;  etimologicamente è voce derivata da banche plurale di  banco (che è  dal  germ. *bank 'sedile di legno' ) + il suffisso  femm. di pertinenza  era o al maschile iere;
capèra s.vo e talora agg.vo f.le e solo femminile  = ad litteram: pettinatrice a domicilio ed estensivamente: pettegola, propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate magari corredate di falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute durante  l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato dal lat. volg. *capa(m) (testa) + il suffisso  femm. di pertinenza  era   (al masch.èra diventa iere (es.:  ‘a salum+èra, ‘o salum+iere));
caiazza agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile; il maschile caiazzo  è attestato solo come s.vo (maschio della gazza), mai come aggettivo; come sostantivo la voce a margine indica appunto  la gazza, pica, uccello dei corvidi; come agg.vo vale per traslato donna pettegola ed ignorante etimologicamente è voce derivata  dal lat. gaia = gazza etc. c.s.con aggiunta del suffisso dispregiativo azza/azzo che  accanto ad assa/asso continuano i lat. acea/aceus donde gli italiani accia/accio;
 cajotela/cajotula agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile; (un maschile cajotulo non  è attestato né come s.vo, né come agg.vo) = donnicciuola pettegola adusa a andarsene in giro a raccogliere e propalare notizie,ma pure donna plebea,  becera, sporca che emani cattivo odore e per ampliamento: donna lercia  di facili costumi; semanticamente la seconda accezione si spiega con un supposto etimo da cajorda (che è ipotizzato  dall’ebraico hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che la voce di partenza   debba essere una sia pure non attestata *chiajorda con riferimento a donna abitante la Riviera di Chiaia un tempo strada molto sporca, covo di gente malfamata; tuttavia mi pare molto difficile, morfologicamente parlando,  pervenire a cajotela/cajotula sia che si parta  da cajorda  che da chiajorda. Ecco perché penso che  sia preferibile l’ipotesi etimologica  che collega le voci cajotela/cajotula al basso latino catula= cagna. In questo caso sarebbero salve sia la morfologia (da catula con consueta doppia epentesi vocalica (epentesi tipica delle lingue meridionali)  io→jo  facilmente si giunge a cajotula) sia la semantica ( è nell’indole della cagna priva di padrone, vagabondare latrando (cfr. spettegolando) e concedendosi  ai randagi (cfr. donna di facili costumi);

ciantella, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile ciantiello= uomo di poco conto,  è poco attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune; la voce a margine  à un primo significato che è: ciabattina, pianella, pantofola, ed un secondo significato estensivo: donna volgare, becera, ciana, pettegola,sudicia e sguaiata semanticamente risalenti alla ciabatta del primo significato che usata continuatamente come calzatura portata strisciando i pavimenti risulta sudicia, consunta che è sguaiata; etimologicamente la voce a margine è un diminutivo (cfr. il suff. ella)  di *cianta (dal lat. planta= pianta del piede);normalmente in napoletano il passaggio del lat. pl + vocale dà chi (cfr. plaga→chiaja – platea→chiazza – clavum→chiuovo) ed in effetti esiste in napoletano derivato  dal lat. planta= pianta del piede, la voce chiantella = suoletta interna delle scarpe di talché nel derivare sempre dal lat. planta= pianta del piede, la voce a margine si preferí eleminare la consonante diacritica h ottenendosi ciantella  da non confondere chiantella  e per eleminare ogni dubbio si mutò la la consonante occlusiva dentale sorda (t)   con la corrispondente occlusiva dentale sonora (d) pervenendo a ciandella molto piú usata di ciantella nei significati di donna volgare, becera, ciana, pettegola,sudicia e sguaiata;

funnachèra agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile funnachiero= uomo di poco conto,volgare  è poco attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;letteralmente abitante, frequentatrice di un fondaco, il fondaco(in napoletano fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800, ai primi del ‘900, un locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo cieco circondato di abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona poverissima ed insalubre della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi del 1900, a dir poco una settantina (tra i quali il famoso Funneco Verde cantato da Salvatore Di Giacomo) ubicati quasi tutti nella città vecchia segnatamente nelle zone del Porto e Pendino e spesso detti fondaci prendevano il loro nome da quello degli artieri che vi aprivono bottega: es: funneco verde =fondaco degli ortolani, funneco ‘a ramma fondaco dei ramai) con costruzioni fatiscenti e malsane; quindi la funnachèra quale abitante o frequentatrice di un fondaco, connota una donna di bassa condizione civile , intesa becera, volgare, triviale; etimologicamente voce denominale di fúnneco che è derivato dall'arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora  g con la piú aspra e dura occlusiva velare sorda c):altra ipotesi etimologica è che tale fondaco: 'alloggio, magazzino', possa derivare  dal gr. pandokêion(pan=tutto, dokomai=accolgo)ed in tal caso fondaco varrebbe oltre che magazzino anche locanda, albergo pubblico; da fondaco e funneco '+ il solito suffisso femminile di pertinenza era scaturisce funnachera;
marammé/ sié marammé, esclamazione o agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  un corrispondente maschile si’ marammé= uomo volgare, lamentoso etc.  non  è  attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;letteralmente la voce marammé è una interezione che vale:  povera me!, me sciagurata!mentre in unione con sié in posizione proclitica disagglutinata è s.vo nel significato di signora misera-me!, pettegola piagnona come colei che vada in giro lamentandosi continuamente di vere o piú spesso infondate,finte sciagure che quotidianamente la perseguitino; etimologicamente l’interiezione marammé è parola formata dall’agglutinazione di  mara ( da e per (a)mara(m)) con me forma complementare tonica del pron. pers. io che
1 si usa come compl. ogg., quando gli si vuole dare particolare rilievo, e nei complementi introdotti da preposizioni: cercano proprio a  mme; parlavano ‘e me; l'à cunzignato a mme; a mme nun me ne  ‘mporta; è venuto a ddu me  ajere; l'à fatto pe mme;
2 si usa come soggetto nelle esclamazioni e nelle comparazioni dopo come e quanto: povero a  mme!; maro a mme!; nun sî comme a mme;
3 si usa come compl. di terminein presenza delle forme pronominali atone lo, la, li, le e della particella ne, sia in posizione enclitica sia proclitica: me ‘o dicette; me ll’ à date n’ ata vota(me li à  restituiti; me nn’ à  fatte tante e tante; mannàtemmello(mandatemelo); parlammenne(parlamene).
Nella forma di sostantivo la voce marammé è unita in posizione proclitica, disagglutinata con la voce sié= signora (sié è infatti l’apocope ricostruita di signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur sie-(gneuse);ricordo che il maschile di tale sié è si’= si(gnore);  spesso càpita però che  per macroscopico  errore colpevole(tanto piú colpevole quando chi sbaglia sia un addetto ai lavori (poeti/scrittori partenopei,ritenuti  o autoaccreditati di esserlo)  tali si’  e sié vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora  che son voci di rispetto, ma generiche rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale  che di norma manca nel rapporto interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora;
‘mpechera, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile ‘mpechiero= uomo di poco conto,volgare, intrigante   non è attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;letteralmente donna intrigante, inframmettente, pettegola, che non disdegni – a maggior cordoglio – il raggiro, l’imbroglio nel tentativo di impicciarsi dei fatti altrui, impegolandovisi. La ricerca dell’etimo della voce’mpechera a margine non mi appare complicatissiva; vi leggo molto chiaramente un deverbale del greco empleko=intratesso, intreccio addizionato dal solito suffisso di competenza era; la caduta della e iniziale di empleko giustifica il segno d’aferesi con cui preferisco scrivere ‘mpechera al posto del semplificato mpechera (come sbrigativament e raffazzonatamentee suole fare qualcuno di quei poeti e/o scrittori di cui antea) dove la m d’avvio priva d’aferisi potrebbe indurre qualcuno a ritenerla non etimologica, ma mera aggiunta eufonica come càpita per la n di nc’è per c’è;
‘ntapechèra agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile ‘ntapechiero= uomo di poco conto,volgare, intrigante   non è attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;letteralmente donna intrigante, inframmettente, pettegola, che non disdegni, anzi cerchi la trama,  il raggiro, l’imbroglio; è voce etimologicamente affatto diversa da ‘mpechera quantunque la morfologia, ad un esame superficiale, potrebbe  far pensare il contrario; in effetti la voce a margine per l’etimo non  è da collegarsi al greco empleko=intratesso, ma al s.vo  ‘ntàpeca = imbroglio, frode, raggiro; a ‘ntàpeca  si è aggiunto il suffisso di riferimento èra che à reso necessario l’epentesi della h  per render gutturale il suono della c (che è palatale se seguíta dalla e) secondo il percorso ‘ntàpec(a)+h +èra→’ntapechèra; ‘ntapeca = imbroglio, frode, raggiro è da un tardo lat. (a)ntapoca→’ntapoca→’ntapeca marcata su di un greco antapochē;

nciucessa, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile nciucisso = uomo di poco conto,volgare, intrigante   non è attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune se non talora solo per dileggio nei confronti di inaffidabili uomini (che sono  adusi a propalare in giro i fatti del prossimo, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece dai pettegoli viene bellamente disattesa!...)  solitamente vengono bollati con termini quali parlettiere,mastrisso spallettone e similari ;letteralmente la voce nciucessa vale: donna pettegola, seminatrice di discordia, maldicente, diffamatrice, calunniatrice;etimologicamente si tratta di un deverbale di nciucià = pettegolare, far della maldicenza, diffamare verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico di chi confabuli.
 dal verbo nciucià  è ricavata anche la voce nciucio Partendo dalla premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucessa, nciucio  e nciucià   non deriva da un in→’n  illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di  nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano)  chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver  derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto)];  è l’italiano, dicevo  che à derivato inciucio  dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dall’ inciucio italiano (nel qual caso sí che  sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio);

’ndrammera/’ntrammera, , agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile ‘ntrammettiere= uomo ,volgare, intrigante,pettegolo    non è attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica ed abbondantemente   desueta;  letteralmente valse:  donna pettegola ed  intrigante, inframmettente, linguacciuta, che tesse  trame; etimologicamente delle due grafie riportate la seconda (ntrammera) appare quella piú esatta e con ogni probabilità originaria atteso che risulta formata da una consonante eufonica n  protetica del s.vo trama (con raddoppiamento espressivo della nasale bilabiale m) e con il suffisso di pertinenza èra; l’altra grafia (ndrammera) è palesemente ricavata dalla originaria ntrammera attraverso la sostituzione della consonante occlusiva dentale sorda t  con la piú dolce consonante occlusiva dentale sonora d;
palazzola, agg.vo e talora s.vo f.le e ora solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile palazzuolo=   è desueto e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;letteralmente la voce a margine fu coniata, quale denominale della voce  palazzo,  per identificare quelle popolane, ciarliere e petulanti che vivevano ai margini del palazzo reale in cerca di benefattori tra i nobili frequentatori della corte; il maschile palazzuolo un tempo (1750 – 1850 ) fu usato nella medesima accezione del femminile; dopo l’unità (1860) cadde in disuso e venne usato solo nel significato di furbo, abile (forse tenendo presenti gli accorgimenti usati da quei popolani per strappare qualche vantaggio, utilità dai nobili cui si rivolgevano circuendoli con chiacchiere e ciarle;
 pirchipétola/perchipetolaagg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile  atteso che  il corrispondente maschile pirchipetlo= uomo  intrigante,pettegolo    non è attestato e  non è usato né nello scritto, né  nel parlato comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica  ma non   desueta;  letteralmente valse e  vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta,  quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque pirchipétola/perchipétola.
E qui faccio punto  pensando  cosí d’avere cosí accontentati l’amica A. C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
Raffaele Bracale

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