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1 - S' È FATTA NOTTE Ô PAGLIARO.
Letteralmente: È calata la notte sul fienile. La locuzione viene usata a mo' di incitamento all'operosità verso colui che invece pretestuosamente procrastini sine die il compimento di un lavoro per il quale - magari - à già ricevuto la propria mercede; a tal proposito rammento che, in simili occasioni, si suole commentare: chi pava primma è male servuto (chi paga in anticipo è malamente servito...);
pagliaro = fienile, pagliaio, grande
cumulo di paglia o fieno sorretto da un palo centrale, per lo piú di forma
conica ' l’etimo della voce è
dal lat. paleariu(m), deriv. di
palea 'paglia'.
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2 - QUANTO È BBELLO E 'O PATRONE S''O VENNE!
Letteralmente: Quanto è bello, eppure il padrone lo vende. Era questa, in origine la frase che, a mo' di imbonimento, pronunciava un robivecchi portando in giro, per venderla al migliore offerente, la statuina di un santo presentata sotto una campana di vetro. Con tale espressione, oggi, ci si prende gioco di chi si pavoneggi, millantando una bellezza fisica e/o morale non corrispondenti in assoluto alla realtà.
quanto = quanto avverbio qui con valore esclamativo=come con derivazione dal lat. quantu(m),
avv. da quantus;
bbello = bello aggettivo qual. masch. si dice di ciò che
è dotato di bellezza; che suscita ammirazione, piacere estetico con etimo dal lat. volgare bellu(m)
'carino', in origine dim. di bonus 'buono';
patrone= padrone, proprietario, chi à
la proprietà di qualcosa l’etimo
è dal lat. patronu(m) 'patrono';
venne = vende voce verbale (3° pers.
sing. ind. pres.) dell’infinito vénnere = vendere, cedere in
vendita contro corrispettivo in danaro, l’etimo è dal lat. vendere, da vínum dare
'dare in vendita' con consueta assimilazione progressiva nd→nn.
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3 - SI 'O VALLO CACAVA,
COCÒ NUN MUREVA.
Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione commenta sarcasticamente le parole o di chi si ostini a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti,(quali l’espletamento di necessità fisiologiche del gallo e la morte di un non meglio identificato individuo nominato Cocò, che sono accadimenti logicamente non relazionabili tra di loro) oppure di chi insomma continui a fare dei ragionamenti privi di conseguenzialità logica.
vallo/gallo= gallo sostant. masch. uccello
domestico commestibile, con piumaggio brillante, testa alta con grossa cresta
carnosa e bargigli, zampe fornite di speroni, coda falciforme dai colori
spesso vivaci; l’etimo è dal lat. gallu(m) con tipica alternanza partenopea g/v come alibi per volpe/golpe, vunnella/gonnella,
vulio/gulio etc.
cacava= cacava, defecava voce verbale (3° pers. sing. imperf. indic.)
dell’infinito cacà = cacare, defecare, andar di corpo; l’etimo è dal
lat. cacare;
mureva = moriva, decedeva voce verbale (3° pers. sing.
imperf. indic.) dell’infinito murí= morire, decedere cessare
di vivere, detto di persone, animali, piante; ; l’etimo è dal lat.
volgare morire per il class. mori.
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4 - À PERZO 'E VUOJE E
VVA ASCIANNO'E CCORNA.
Letteralmente: À perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice sarcasticamente e con del risentimento di chi, avendo - per propria insipienza - perduto cose di valore, ne cerca piccole vestigia, cercando di colpevolizzare altri completamente estranei, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni.
à
perzo=
à perso, à perduto voce
verbale (3° pers. sing.passato prossimo ind.) dell’infinito perdere=
perdere, smarrire non
avere piú, restare privo di una persona con cui si aveva
consuetudine, o di qualcosa che si possedeva, si usava, di cui si aveva
facoltà l’etimo è dal lat. perdere,
comp. di per 'al di là, oltre' e dare 'dare'; perzo è
esattamente il part. pass. di perdere con normale variazione
partenopea di rs→rz;
vuoje= buoi, sost. masch. plurale
metafonetico di vojo, il
maschio adulto castrato dei bovini domestici; vojo etimologicamente è dall’acc. lat. bove(m)
con alternanza napoletana b/v (cfr. barca,varca etc.)
della consonante d’avvio, sincope della v intervocalica sostituita dal
suono di transizione intervocalico j;
va ascianno=va cercando, va in cerca locuzione verbale
formata dall’ ind. pres. (3°
pers. sing.) va dell’infinito jí=
andare dal latino ire piú
il gerundio ascianno= cercando dell’infinito ascià/asciare= cercare con insistenza, ricercare,
indagare, investigare; desiderare, agognare; tendere, , aspirare
a con etimo forse da un lat. volgare
*anxiare→assiare*asciare= ansimare, ma piú probabilmente dal
tardo lat. adflare→afflare→asciare= annusare;
ccorna = corna, sost.
femm. plur. del maschile sg. cuorno
prominenza
cornea o ossea, di varia forma ma per lo piú approssimativamente
cilindro-conica e incurvata, presente generalmente in numero pari sul capo di
molti mammiferi ungulati; anche, ognuna delle due analoghe protuberanze sulla
fronte di esseri mitologici o, nell'immaginazione popolare, del diavolo con
etimo dal lat. cornu(m) con tipica dittongazione della ŏ (o intesa tale)ŏ→uo nella
sillaba d’avvio della voce singolare, dittongazione che viene meno, per far
ritorno alla sola vocale etimologica o, nel plurale reso femminile (‘e
ccorne) laddove nel plurale maschile è mantenuta (‘e cuorne) ;
rammenterò che in napoletano il plurale femm. ‘e ccorne è usato per indicare le protuberanze cornee
reali della testa degli animali, o quelle figurate dell’uomo o della donna traditi
rispettivamente dalla propria
compagna, o dal proprio compagno,
mentre con il plurale maschile ‘e cuorne si indicano alcuni tipici
strumenti musicali a fiato o i piccoli
o grossi amuleti di corallo rosso usati come portafortuna;ugualmente con
valore di portafortuna vengono usati i corni dei bovini macellati, corni che vengon staccati dalla
testa, messi a seccare, opportunamete vuotati
e talvolta tinti di rosso tali cuorne, non piú ccorna devono
rispondere – nella tradizione partenopea a precisi requisiti, dovendo
necessariamente essere russo,
tuosto, stuorto e vacante pena la sua inutilità come porte-bonheur.
russo= rosso (da non confondere con ruosso che è grosso)di colore rosso derivato del latino volgare russu(m) per
il class. ruber;
tuosto= duro, sodo, tosto derivato del lat. tostu(m), part. pass. di torríre
'disseccare, tostare'con la tipica dittongazione partenopea
della o→uo;
stuorto = storto, ritorto,non dritto, scentrato derivato del lat. tortu(m), part. pass. del
lat. volg. *torquere, per il class. torquìre con prostesi di
una s intensiva e tipica dittongazione partenopea della o→uo;
vacante= cavo, vuoto ed altrove insulso, insipiente part. pres. aggettivato del lat. volg. vacare
= esser vuoto, mancante, libero di; a margine rammenterò che esiste un
altro tipico cuorno quello de ‘o
carnacuttaro (il girovago venditore di trippe bovine che lavate,
sbiancate e lessate vengon vendute al minuto opportunamente ridotte in
piccoli pezzi serviti su minuscoli fogli di carta oleata, irrorate di succo
di limone e cosparse di sale contenuto in un corno bovino, seccato, vuotato,
forato in punta, per consentire la fuoriuscita del sale con cui viene
riempito, e tappato alla base con un grosso turacciolo di sughero; tale cuorno
viene portato pendulo sul davanti
del corpo, legato in vita con un lungo spago, in modo che nel suo pendere insista
su di una bene identificata zona
anatomica; ciò è rammentato nell’espressione: Mo t’’o ppiglio ‘a faccia ô
cuorno d’’a carnacotta! (Adesso te lo procuro, prendendolo dal corno della
trippa) nella quale ‘o cuorno è usato eufemisticamente in luogo d’altro
termine becero, facilmente intuibile se si tiene presente la zona su cui
insiste il pendulo corno del sale… l’espressione è usata con una sorta di
risentimento da chi venga richiesto di azioni o cose che sia impossibilitato
a portare a compimento o a procurare, non essendo le une o le altre nelle sue
capacità e/o possibilità
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5 - PURE LL'ONORE SO' CASTIGHE 'E DDIO.
Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda.
pure= pure, anche avv. con valore aggiuntivo derivato dal lat. pure
'puramente, semplicemente' ed anche; nel lat. tardo, 'senza riserve, senza
condizione;
onore/i =onori sost. neutro plur. di onore = buona
reputazione acquistata con l'onestà, la coerenza ai propri principi; dignità,
prestigio; coscienza del valore sociale e morale di tale reputazione e quindi
delle virtú che l'ànno procurata derivato dal lat.honore(m) con aferesi dell’aspirata d’avvio intesa
inutile e pleonatica;
castighe = castighi sost. masch. plurale di castigo =
castigo, punizione, sventura etc. deverbale di castigà che è dal lat. castigare, deriv. di castus
'puro'; in origine 'rendere puro';
Ddio = Dio, nelle religioni monoteiste, l'Essere
supremo concepito come la causa creante di tutta la realtà o come il semplice
ordinatore del caos primordiale, a cui si attribuisce il governo del mondo;
in genere, costituisce anche il principio del bene e il fondamento della
morale umana; l’etimo è dal lat. dìu(m), da una radice indoeuropea
che significa 'luminoso'.
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6 - MADONNA MIA FA' STÀ BBUONO A NIRONE
Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. È l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso, piuttosto che l'imbelle democratico, oppure – con altra poco differente valenza - che esso popolo preferisce essere amministrato e/o guidato anche da un cattivo soggetto, temendo e paventando che un eventuale sostituto sia peggiore del sostituito!
Madonna/Maronna = Madonna, appellativo di cortesia
con cui ci si rivolgeva alle donne di elevata condizione e che si premetteva
al nome proprio, oggi usato in taluni paesi del Piemonte come segno di
rispetto delle nuore verso le suocere, ma ovunque esclusivamente nei confronti della Madre di
Dio; etimologicamente è voce forgiata sul
francese madame=mia signora attraverso una composizione di ma (forma proclitica di mia)
e donna/ronna=donna; la forma Maronna è d’uso piú popolano di Madonna e comporta la tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d→r;
Nirone= Nerone 37-68 d.C.),
imperatore romano (54-68), ultimo della gente Giulio-Claudia.
Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, cambiò il suo nome
(Lucio Domizio Enobarbo) in Nerone Claudio Cesare dopo essere stato adottato
dall'imperatore Claudio, che sua madre aveva
sposato in seconde nozze. Nel 53 sposò la figlia di Claudio, Ottavia. Alla
morte di Claudio, nel 54, i pretoriani, guidati dal prefetto del pretorio Sesto Afranio Burro (fedele ad Agrippina) lo
proclamarono imperatore. Sotto la guida di Burro e del filosofo Seneca, suo
tutore, Nerone si mostrò inizialmente deferente nei confronti del senato, la
cui autorità era notevolmente diminuita durante i regni degli ultimi
imperatori.
Entrato in contrasto con la madre, che si
opponeva alla sua relazione con Poppea Sabina e intendeva esercitare sempre
maggiore influenza, Nerone fece uccidere Britannico,
figlio di Claudio e di Messalina, considerato un possibile pretendente al
trono e allontanò la madre da Roma, facendola uccidere nel 59. Con la morte
di Burro e il ritiro di Seneca dalla vita pubblica, Nerone modificò
radicalmente la propria politica: divenuto ostile al senato, iniziò a
favorire i ceti popolari e militari e a esercitare un potere sempre piú
dispotico. Quando, nel luglio del 64, Roma fu distrutta da un incendio,
l'imperatore ne fu ritenuto responsabile e cercò invano di incolpare
dell'incendio i cristiani. In seguito, fece costruire per sé la nuova
residenza imperiale (la domus aurea).
Il contrasto con il senato si acuì in
seguito alla riforma monetaria introdotta da Nerone (59-60), secondo cui
veniva privilegiato il denarius (la moneta d'argento di cui si serviva
soprattutto la plebe urbana) all'aureus (moneta dei ceti piú agiati). Nel 65 Caio Calpurnio Pisone ordì una congiura ai
danni di Nerone, che tuttavia la represse e fece uccidere tra gli altri
Seneca e il poeta Lucano, accusati di aver
preso parte alla cospirazione. Nel 66-67 Nerone si recò in Grecia, alla quale
rese la libertà, rendendo piú difficili i rapporti con le altre province
dell'impero. Nel 68 le legioni stanziate in Gallia e in Spagna, guidate
rispettivamente da Vindice e da Galba, si ribellarono
all'imperatore, costringendolo a fuggire da Roma. Dichiarato nemico pubblico
dal senato, Nerone si suicidò.Nerone fu molto noto anche a Napoli nel cui teatro
ubicato nei pressi dell’acropoli cittadina (sita tra le attuali strade di Spaccanapoli, san
Gregorio Armeno e piazza san Gaetano) si esibì numerose volte cantando sue
composizioni ed accompagnando il canto con la cetra. Personaggio discusso e
non ancòra compreso a fondo dagli addetti ai lavori che tuttora ne studiano la complessa
personalità non riuscendo a dare un giudizio univoco finale, fu ed ancòra è
nell’immaginario comune emblema del male e della crudele perfidia.
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7- PE TTRECCALLE 'E
SALE, SE PERDE 'A MENESTA.
Letteralmente: per tre cavalli (pochi soldi) di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. Il treccalle era una piccolissima moneta divisionale ( la piú piccola era il callo contrazione di cavallo che era effigiato sul dritto della moneta) napoletana pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di tre calli per acquistare il necessario sale.
sale= sale, nel linguaggio corrente,
il cloruro di sodio, presente in natura come salgemma o disciolto nelle acque
del mare, e usato spec. per dar sapore ai cibi o conservarli letimo è dal
lat. sale(m);
perde= perde voce verbale (3° pers. sing. ind.
pres.)dell’infinito pèrdere= non avere piú, restare privo di una persona
con cui si aveva consuetudine, o di qualcosa che si possedeva, si usava, di
cui si aveva facoltà; non trovare piú, smarrire, mandare a male con etimo
dal latino pèrdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare
'dare';
menèsta = minestra genericamente ogni primo piatto, caratteristico della
cucina italiana, a base di pasta o riso cotti in brodo o in acqua con legumi
e verdure; piú particolarmente
in napoletano la voce menèsta indica una portata di verdure lessate in brodo di
carne, spesso addizionate (e si à la c.d. menesta mmaretata) di carni
lesse bovine e suine e talvolta di
pollame; l’etimo di menèsta è
l’acc. lat. minestra(m)
deverbale del lat. ministrare nel sign. di 'servire a mensa',
deriv. di minister 'servo, servitore'con successivi metaplasmi
popolari di apertura delle i→e e
sincope della liquida r come alibi maesta ← magistra etc.
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8 - S'È AUNITO 'O STRUMMOLO A TIRITEPPE E 'A FUNICELLA CORTA.
Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e lo spago corto. Id est: ànno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.
s’è
aunito =
si è unito voce
verbale rifless. (3° pers. sing. del pass. pross.) dell’infinito aunir(se)=
unirsi, congiungersi con etimo dal basso lat. ad +unire, deriv. di unus
'uno': ad unu(m) ire;
strummolo = conica trottolina
lignea azionata attraverso lo srotolamento con movimento secco e rapido di
una cordicella arrotolata strettamente seguendo le scanalature parallele tracciate lungo la
parete della trottolina che
à una punta metallica infissa al vertice del cono; è un giuoco un tempo
largamente diffuso, con varî nomi tra
tutti i ragazzi della penisola; ed a Napoli fu detto strummolo con
derivazione dal greco strombos che diede il latino strumbus→strummus→strummolo;
tiriteppe e talvolta tiriteppole intraducibile in
quanto voce onomatopeica usata per indicare che la trottolina di
fabbricazione non bilanciata e che abbia la punta scentrata , una volta le
sia stato impresso il moto rotatorio, non prilla a dovere, ma ballonzola malamente,
producendo un tipico rumore scorretto, toccando terra non con la punta, ma
con le pareti laterali, fino a che – perduta la forza rotatoria – non crolli
in terra e si fermi troppo presto
dimostrando che la trottolina è ‘nu strummolo scacato (trottola
senza forza e/o capacità) destinato a soccombere in ogni contesa ludica
fino a subire l’estremo affronto d’essere scugnato (sbreccato se non
spaccato da un colpo inferto con la punta acuminata dello strummolo
vincitore…)
scugnato= sbreccato,spaccato part. pass. masch.
dell’infinito scugnà= sbreccare, spaccare, percuotere, ma altrove
anche dissodare, trebbiare, battere il grano con etimo dal lat. volg. *excuneare derivato di cuneus;
funicella= cordicella sost. femm. diminutivo (vedi suff. cella)
di fune= corda, insieme di piú fili di
canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e intrecciati fra di loro;
fune, cavo con etimo dal lat. fune(m);
corta= corta, di poca lunghezza o di lunghezza
inferiore al normale; agg. femm. (il maschile è curto) con
etimo dal lat. curtu(m) /curta(m)'accorciato/a,
troncato/a'; anche l’italiano antico ebbe curto in luogo di corto.
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9 - LL'AUCIELLE
S'APPARONO 'NCIELO E 'E CHIÀVECHE 'NTERRA.
Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunione sulla terra. Il termine
chiàveche è un aggettivo sostantivato, formato
volgendo al maschile plurale (il sg. è chiaveco)
il termine originario femm. sing. : chiàveca che è la cloaca,
la fogna, da un acc. tardo lat. clavica(m) normale il passaggio di cl>chi
come ad es. in clavus=chiuovo, chiodo- clarum=chiaro etc.; tenendo
ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano, per i napoletani, gli uomini detti chiàveche
quasi via di trasporto di escrementi; linguisticamente rammenterò che il
plurale femm. di chiàveca si distingue da quello maschile perché, pur
essendo anch’esso come il maschile chiàveche, se preceduto da vocale a,o,e oppure dall’art. ‘e (le) va scritto con la geminazione iniziale ‘e
cchiàveche mentre il maschile ‘e(i) chiàveche non comporta la
geminazione;
aucielle= uccelli sost. masch. plurale di auciello=uccello derivato di un tardo latino aucellus doppio diminutivo di avis attraverso avicula→avicellus→aucellus
con la v letta u, e successiva sincope della prima i e
dittongazione popolare e→ie) della vocale implicata intesa breve (seguita da due
consonanti)
‘nterra = in terra, sulla terra;
‘nterra= in(illativo)+terra (dal
lat. terra(m).
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10 - 'E
CIUCCE S'APPICCECANO E 'E VARRILE SE SCASSANO.
Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Così va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana ha tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo piangano gli Achei...).
ciucce = asini, ciuchi sost. masch. plurale di ciuccio= asino,
ciuco e figuratamente persona
ignorante, ragazzo che non riesce negli studi; qui maliziosamente
riferito ai capi, ai comandanti; per la
voce ciuccio etimologicamente qualcuno sbrigativamente parla di un lemma espressivo, ma preferisco aderire
all’idea di chi, forse piú acconciamente , pensa occorre riferirsi
al lat. cillus sulla scia del
greco kíllos= asino; il probabile tragitto seguìto è: cillus→ciccus→ciucco→ciuccio
,
appicecano= litigano voce
verbale (3°pers. plur. ind. pres.) dell’infinito appiccecà= litigare,
contrastarsi, venire alle mani intensivo di appiccià con
etimo dal basso lat. adpiceare denominale di ad+piceus (riguardante
la pece): chi litiga e viene alle mani si appiccica quasi all’avversario;
varrile= barili sost. masch. plur. di varrilo = recipiente simile a una piccola botte,
fatto di doghe di legno tenute assieme da cerchi di ferro, impiegato per la
conservazione di liquidi o altri prodotti | essere ‘nu varrilo, (fig.) essere
molto grasso. con etimo dal basso latino barillus, ma attraverso
il port., spagn, prov. barril con la tipica alternanza partenopea b/v come
bocca/vocca, barca/varca etc. il basso latino barillus si forgiò su di una radice bhar=portare la
medesima dello spagnolo barrica e franc. barrique= botte ed ancòra dello spagnolo barral= fiasco;
se scassano= si rompono, si infrangono voce verb. rifl. (3° pers. plur. ind. pres.)
dell’infinito scassare/arse/ scassà= romper(si), infrangere con etimo da un tardo latino s (intensiva)+
quassare frequentativo di quatere; ricorderò che in napoletano
esiste una seconda voce scassà con etimo e significato diverso; questa
seconda voce verbale sta per raschiare, cancellare e deriva da un tardo latino s (intensiva)+
cassare denominale di cassus=vano, vuoto.
Raffaele Bracale 20/12/06
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