martedì 15 agosto 2017

L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO



L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO

Faccio sèguito a quanto ebbi a dire circa il condizionale nel napoletano,  per rammentare che anche il futuro, come il condizionale,  è un tempo che benché presente, ad incongrua imitazione dell’italiano,  in talune grammatiche napoletane sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) dove è   codificata e contemplata addirittura la farraginosa morfologia etimologica (ad es. il futuro del verbo avere che à come prima persona sg. avarraggio  presuppone un binomio *habere + aggio→(*h)aberaggio→avarraggio, mentre la 2ª persona sg avarraje  presupporrebe  un binomio *habere + aje→(*h)aberaje→avarraje); orbene annoto che il futuro  benché sia un tempo esistente o considerato tale da professori e glottologi, ma non dal popolo che fa l’idioma, in realtà è usato in poesia (per questioni di metrica o di rima), ma  pochissimo usato nel parlato popolare che preferisce usare altre formule per indicare un’azione di là da venire;  per cui ad es. la frase dell’italiano:  domani andrò dal barbiere  è resa in napoletano con dimane aggi’’a jí a ddô bbarbiere piuttosto che con dimane jarraggio a ddô bbarbiere  e talvolta, altrove, con il presente in funzione di futuro dimane vaco a ddô bbarbiere. Infatti nel napoletano del popolo si usa spesso la locuzione aggi’ ‘a  che seguíta da un verbo all’infinito  raffigura l’espressione italiana devo da o anche semplicemente devo;  ad es. l’espressione  T' aggi’ ‘a vedé  va tradotta Ò da vederti  ossia  Devo da  vederti oppure piú semplicemente  Devo   vederti; altrove ed è il caso che ci occupa  con l’espressione aggi’ ‘a (=ò da) si rende in napoletano l’idea di un’ azione futura; ad es.:    Dimane aggi’ ‘a jí a ppavà ‘e ttasse (Domani andrò a pagare le tasse) e ciò perché  nel napoletano il verbo <dovére> manca ed è supplito dalla costruzione con il verbo avere seguito dalla preposizione ‘a (da) e dall’infinito connotante l’azione dovuta: ad es. aggio ‘a purtà ‘sta lettera (devo portare questa lettera), hê ‘a cammenà cchiú chiano! (devi camminare piú lentamente!); la medesima costruzione è usata pure, come ò anticipato e chiarito  in funzione di futuro. Va da sé che non mette conto considerare come testimonianza di riferimento l’uso che del futuro, come del condizionale, che ad imitazione dell’italiano, ne fanno letterati, poeti e/o parolieri spesso condizionati da problemi di metrica e/o espressivi risolti con soluzioni imitative che non fan testo in quanto non autenticamente napoletane ( cioè del popolo napoletano che – ripeto - è quello che fa      l’ autentico idioma!).  
Per ogni altra considerazione sul perché della coniugazione del futuro marcata su di una simile dell’italiano, rimando a quanto détto alibi circa il condizionale. Annoto in chiusura, non ricordando se lo abbia già détto,[nel qual caso mi ripeto]  che l’uso improprio, nel napoletano,  del futuro cosí come del  condizionale può esser consentito eccezionalmente in poesia, ma mai nella prosa e chi lo fa, magari ad imitazione di grandi [come ad es. Eduardo De Filippo(Napoli, 24 maggio 1900 – †Roma, 31 ottobre 1984) il quale,  per farsi apprezzare fuori di Napoli, non esitò a  martirizzare il nostro idioma), chi lo fa commette un abuso imperdonabile giacché ai grandi si perdona, ma non a chi li scimmiotta].
E chi à orecchie da intendere, intenda!
 E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento, sperando d’avere interessato chi mi legge e chiedendo venia nel caso avessi  scandalizzato qualcuno!Satis est.


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