1.AIZÀ ‘A MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare,
assolvere
L’ espressione, che viene usata quando si voglia fare
intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di
piccole mende, ricorda il gesto del
sacerdote che al momento di assolvere i
peccati , alza la mano per benedire e
mandar perdonato il penitente pentito.
2. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di
cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso
memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da
riprodurre o riproporre; La parola Pappacone
è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima
e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di
Napoli.
3. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TTERÒCCIOLE.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla
precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta
richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le
braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole
carrucole metalliche.
4. ARRICURDARSE ‘O CIPPO A FFURCELLA, ‘A LAVA D’’E VIRGENE, ‘O
CATAFARCO Ô PENNINO, ‘O MARE Ô CERRIGLIO.
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populus; tipico il passaggio in napoletano PL→CHI) parola poi corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),2 - ‘o catafarco al Pendino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità derivata da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione da un antico castellame, si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato per traslato ad indicare un altare molto imponente), infine: 3 - ‘o mare al Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populus; tipico il passaggio in napoletano PL→CHI) parola poi corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),2 - ‘o catafarco al Pendino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità derivata da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione da un antico castellame, si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato per traslato ad indicare un altare molto imponente), infine: 3 - ‘o mare al Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Magnammo,
amice mieje, e po' vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat.
volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde,
svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima
pers. pl. atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e
della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce
ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si
ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si
pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)];
vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia
enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
5. ACRUS EST E TTE LL’HÊ ‘A VEVERE
Ad litteram : è acre, ma devi berlo
La locuzione è tipico esempio di frammistione tra un tardo
latino improbabile ed un vernacolo pieno.
Cosí a
Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di
talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui
di seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un
anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il
vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente
l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso
sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo:” Dopo la messa
t’aspetto in sacrestia...”
il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me
truove!” (Probabilmente non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due
interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere
qualcun altro che debba soggiacere agli
eventi e non se ne possa esimere.
6. AMMACCA
E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad litteram:
Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione
che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le
ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente
commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e
perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.
7. “ A LLU
FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” - “Al
momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione
che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse tra un venditore ed un compratore, viene
usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il
furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il
rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad
acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi
putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa,
ma nell’allontanarsi sentí il
pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli
rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente,
gli rispose con la seconda frase.
8. ADDÓ ARRIVAMMO, LLA METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco. La locuzione è usata sia a mo’ di divertito
commento di un’azione iniziata e non
compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso
dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si
potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi
cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel
punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione
per portarla successivamente a
compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio
irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m)
con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco
mediterranea d→r.
Brak
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