sabato 23 dicembre 2017

STRUFFOLI E/O STRINGHETTE



STRUFFOLI E/O STRINGHETTE
Questa volta per una veloce ricerca linguistica farò   riferimento alle voci in epigrafe che in napoletano indicano un tipico dolce natalizio o carnascialesco, dolce che però, non necessitando di particolari ingredienti stagionali può essere preparato durante tutto l’anno, con gran soddisfazione di chi  ne mangi, essendo una preparazione squisita.
Prima di addentrarci in questioni linguistiche, mi par opportuno indicare qui di seguito l’esatta ricetta del dolce,indicandone le dosi e il relativo modo di approntarlo.Ricorderò, prima di riportare la ricetta, che detto dolce è originariamente un dolce napoletano nato tra la fine del XVIIsec. ed i principi del XVII nelle cucine di monasteri femminili napoletani, ad opera delle monache della Croce di Lucca(attualmente a Napoli, nei pressi della centralissima piazzetta Miraglia, la piccola chiesa della Croce di Lucca è quanto rimane del grande complesso conventuale destinato oggi alla clinica universitaria del Policlinico vecchio, lungo l’attigua via del Sole. Il convento pare sia  stato edificato intorno al  1537, (e poi restaurato nel 1739 con il  suo,  da un tal cavaliere  Ferdinando Sanfelice).  con il denaro delle offerte raccolte a Lucca dal devoto Sebastiano Puccini(donde il nome: Croce di Lucca)). e di quelle di S. Maria dello Splendore (La Chiesa e l’annesso Conservatorio (convento muliebre),  siti in Napoli nel popolare quartiere di Montecalvario,furono voluti nel 1592 da Lucia Caracciolo, facoltosa e munifica  nobildonna partenopea che vi impose la regola francescana; a far tempo poi  dal 1600,  chiesa e conservatorio furon diretti dal venerabile mons. Carlo Carafa (della famosissima famiglia Carafa, famiglia  che diede numerosi ecclesiastici ( tra i quali anche un papa: Paolo IV che istituí l’Indice dei libri proibiti )uomini di lettere e d’armi, che ne curò a proprie spese l’ampliamento ed il restauro; successivamente nella seconda metà del 1800, il rev. Angelo de Simone, coltissimo sacerdote, professore di lingue nel famoso Istituto Universitario Orientale di Napoli, si adoperò per curare l’ultimo restauro ed abbellimento della Chiesa  cosí come ancora oggi si può osservare. Le monache che conducevano la Chiesa e l’annesso Conservatorio per Orfane e Povere bisognose, divennero famose, oltre che per la loro opera caritatevole, anche per gli squisiti dolci natalizî e/o pasquali  che erano solite preparare ed offrire o vendere ai visitatori, per far fronte al mantenimento delle loro beneficate.)
Veniamo alla ricetta:



Ingredienti e dosi per 10 persone
Farina 00 600 gr ,
Uova 4 + 1 tuorlo,
zucchero 2 cucchiai ,
strutto: 50 gr.
1 bicchierino di STREGA (tipico odorosissimo liquore d'erbe prodotto nel beneventano),in alternativa 1 bicchierino d'anice,
Scorza di mezzo limone non trattato grattuggiata,
Sale un pizzico
olio per friggere 6 bicchieri

Per condire e decorare:
Miele d’acacia 400 gr ,
confettini colorati (a Napoli si chiamano diavulilli)
confettini cannellini (confettini che all'interno contengono una festucola di cannella spezia odorosissima e gustosa, da cui prendono il nome tali confettini.)
100 gr di scorzette d’ arancia candita, 100 gr di cedro candito, 50 gr di zucca candita (prodotto tipico napoletano dove si chiama cocozzata)il tutto tagliato a cubettini da ½ cm di spigolo.



procedimento
Disponete la farina a fontana sul piano di lavoro, impastatela con uova, burro o strutto, zucchero, la buccia grattugiata di mezzo limone,un bicchierino di STREGA o di anice e un po' di sale. Ottenuto un amalgama omogeneo e sostenuto, dategli la forma di una palla e fatelo riposare mezz'ora. Poi lavoratela ancora brevemente con poca farina e dividetela in palle grandi come arance, da cui ricavare, rullandoli sul piano infarinato, tanti bastoncelli spessi un dito; tagliateli a tocchettini di circa 1 cm. che disporrete senza sovrapporli su un telo infarinato.
Al momento di friggerli, porli in un setaccio e scuoterli in modo da eliminare la farina in eccesso.

Friggeteli pochi alla volta in abbondante olio bollente: prelevateli quando siano ben dorati, quasi coloriti. Sgocciolateli e depositateli ad asciugare su carta assorbente da cucina.
Fate liquefare il miele a bagnomaria in una pentola abbastanza capiente, toglitela dal fuoco e unite gli struffoli fritti, rimescolando delicatamente fino a quando non si siano bene impregnati di miele. Versare quindi la metà circa dei confettini e della frutta candita tagliata a pezzettini e rimescolare di nuovo.
Prendete quindi il piatto di portata, mettetevi al centro un barattolo di vetro vuoto (serve per facilitare la formazione del buco centrale) e disponete gli struffoli tutt'intorno a questo in modo da formare una ciambella. Poi, a miele ancora caldo, prendete i confettini e la frutta candita restanti e spargeteli sugli struffoli tentando di ottenere un effetto esteticamente gradevole.
Quando il miele si sarà solidificato (1/2 ora), togliete delicatamente il barattolo dal centro del piatto e servite gli struffoli.
Poiché gli struffoli ànno il difetto di risultare talvolta un po' duri, in alternativa, dalle palle di pasta si possono ricavare con un matterello infarinato delle sfoglie alte 1/2 cm. da cui con una rotella dentellata delle lunghe stringhe larghe 3 cm. tagliandole poi diagonalmente fino ad ottenere tante piccole losanghe  che poste su dei fogli di carta oleata vengono fritte e poi trattate, per la decorazione e presentazione come gli struffoli; rispetto a questi ultimi queste stringhette (=piccole stringhe) di cui vi sto dicendo ànno il vantaggio, quando vengon fritte, di gonfiarsi mantenendosi poi a lungo friabili e soffici!
SQUISITEZZA A CUI è IMPOSSIBILE RINUNCIARE!
Ed affrontiamo finalmente le questioni linguistiche:
struffoli plurale di struffolo parola originariamente napoletana pervenuta poi anche nella lingua nazionale dove indica oltre il dolce fatto con palline di farina e uova, fritte e tenute insieme con miele  (specialità dell'Italia meridionale, ma pure di quella centrale dove à però il nome di cicerchiata),  anche una cosa del tutto diversa, e cioè una  piccola matassa di cenci e  paglia usata dagli scultori per levigare e lustrare il marmo; per vero questa matassa in origine fu detta struffo, voce poi desueta per far posto a struffolo o strufolo tanto da non esser piú riportata dai dizionarî anche i piú accorsati; le voci struffo e strufolo, nel significato di levigatoio deriva probabilmente  dal longob. straufinon donde anche il verbo strofinare; ben piú complesso l’etimo della voce struffolo (dolce partenopeo e centro-meridionale); la maggioranza degli studiosi meridionali propendono per una culla greca: stroggolos (ritorto) (dal verbo strongolâo (attorcere) verbo che – come vedemmo alibi – in unione al verbo prepto (incavo)  generò i napoletanissimi strangulaprievete) con evidente metaplasmo g→f; pur allettandomi lo stroggolos (ritorto) d’avvio, penso che non sia peregrina l’idea che lo veda in connubio con un latino tufer←tuber (bernoccolo,pallina) per cui lo struffolo verrebbe ad essere una pallina ritorta; rammenterò poi  che il termine struffolo in talune regioni dell’alta Italia, oltre ai due significati riportati à anche quello di ciccioli  (pezzetti residui del grasso di maiale  sciolto ad alte temperature per ottenerne lo strutto o sugna) ed anche in tal significato lo struffolo (cicciolo*)  andrebbe a riallacciarsi all’antico struffo inteso come brandello o cencio;
stringhette: diminutivo plurale di stringa = nastrino ed in effetti il dolce (in forma di piccoli rombi) viene ricavato – come ò indicato nella preparazione – dal taglio in senso diagonale di piú fettucce o nastri di pasta larghi tre cm. e lunghi circa 30 cm.; etimologicamente la voce stringa  da cui il diminutivo stringhetta/e deriva forse da un ant. tedesco strangî, stranga , ma non gli dovrebbe essere estraneo il greco straggàlê;
cicerchiata Tipica specialità dell'Italia centrale: Abruzzo, Umbria, Marche e Lazio. Quella della cicerchiata che ad un dipresso ripete gli struffoli partenopei è una preparazione tradizionale antichissima. Il nome deriva dalla voce  cicerchia ( una sorta di piccolo cece; pianta erbacea rampicante, con fiori bianchi o rosei simili a quelli del pisello, coltivata come foraggio o per sovescio (pratica agraria che consiste nel sotterrare piante erbacee nel terreno in cui sono cresciute, allo scopo di arricchirlo di sostanze organiche).Spesso però, in talune regioni centro meridionali le cicerchie vengono usate a mo’ di ceci, per preparare gustosissime zuppe o  minestre con aggiunta di pasta secca (fam. Leguminose), il nome cicerchia deriva da un basso latino cicercula(m), dim. di cicer 'cece'; ma  con  i ceci  in realtà ,questo dolce non à  nessuna affinità se non nell'aspetto;
cartellata: Tipica specialità dell'Italia meridionale: Puglia. Quella della cartellata che ad un dipresso ripete gli stinghetti partenopei con la differenza che nella cartellata la striscia di pasta non viene ridotta in losanghe, ma avvolta concentricamente a mo’ di rosone, è una preparazione tradizionale antichissima. Il nome deriva dalla voce cartellu(m)
cannella:  droga aromatica usata in cucina e costituita dalla sottile corteccia interna, arrotolata in bastoncini e di colore giallo-bruno, di un'omonima pianta tipica delle regioni tropicali asiatiche || Anche come agg. invar.: di colore giallo bruno tendente al rossiccio. voce pervenuta nell’italiano e nel napoletano attraverso il francese cannelle o l’olandese kaneel(la Francia e l’Olanda importarono in Europa, per prime detta droga) quale diminutivo di canna posto che tale spezie, come detto, non è che una corteccia arrotolata a mo’ di bastoncino o piccola canna;
diavulille letteralmente: piccoli diavoli; in realtà minuscolissimi confettini colorati in varî colori, ma prevalentemente in rosso fuoco, donde popolarmente gliene derivò il nome di diavulillo plur.: diavulille diminutivo di diavulo o riavulo (con tipica variazione osco- mediterranea di D→R): nell'ebraismo e nel cristianesimo, potenza che guida le forze del male e si identifica con Lucifero, il capo degli angeli che si ribellarono a Dio, poi divenutoSatana, principe delle tenebre; per estens., ognuno degli altri angeli ribelli e la forza del male che essi incarnano,  nella fantasia popolare è concepito per lo piú come un mostro di forme umane con corna, ali, coda e altri attributi animaleschi, grande tentatore, amante di ogni disordine ed eccesso; etimologicamente la voce napoletana diavulo/riavulo è dal lat. tardo diabolu(m), che è  dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabállein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan seu Satana ' il contraddittore';
cocozzata = polpa di una zucca bianca opportunamente candita; la canditura,  che consiste nel far bollire lentamente una sostanza vegetale in uno sciroppo zuccherino, fino a che la concentrazione di zucchero sia sufficiente a ricoprire interamente la sostanza vegetale agglutinandosi ad essa tenacemente, è riservata agli interi frutti  o anche  alle sole bucce (scorzette: diminutivo di scorza dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', femm. sostantivato  dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle') degli agrumi; talvolta, però – come in questo caso – si giunge a candire altri vegetali come la polpa delle  cocurbitacee; infatti la voce cocozza/cucozza  (donde, con l’aggiunta del suffisso ata, si ottiene   cocozzata), è il modo napoletano di rendere l’italiano zucca;interessante è notare come etimologicamente, mentre  la voce cocozza  derivi dritto per dritto da un tardo lat.: cucutia(m),la voce italiana zucca abbia il medesimo etimo, però  con metatesi ed aferesi della sillaba iniziale; in italiano abbiamo infatti talvolta anche cocuzza o cucuzza termini giocosi usati per indicare il capo, la testa.
*cicciolo = ciò che resta dei tocchi di grasso del maiale dopo che siano stati fusi e quindi pressati  per ricavarne lo strutto; l’etimo è ovvio: da ciccia  + il suff. diminutivo olo;
in napoletano cicciolo si rende con cicolo/ciculo  ma l’etimologia è molto piú complessa in quanto cicolo/ciculo   deriva da un latino volgare *insiciculu(m) da un classico insiciu(m)=carne tritata attraverso un’assimilazione s- c→ c-c aplologia (caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua  etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili) ed aferesi dell’ intera sillaba d’avvio in
 raffaele bracale

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