1.METTERE LL'UOGLIO 'A COPP' Ô PERETTO.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id
est: colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è
impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia
per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, ha invece completato un'azione
distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino
veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva
alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del
contenitore vitreo.
PERETTO s.vo
m.le ed il plurale’E PERETTE: caraffe
vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui
si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola :
etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe
vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che
piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a
mia memoria ‘e perette ch’io conobbi non somigliavano ad una pera, né dritta,
né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente
vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo
verso l’alto presentavano una contenuta strozzatura che costringeva il vaso
dapprina ad un modesto restringimento del passo e poi a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco
che quanto all’etimologia, penso che piú che alla forma ci si debba riferire al
materiale ed al modo d’apparire d’essi perette che essendo (come ò detto) di
terso e scintillante vetro (non esistono, né esistettero perette in coccio o
porcellana…) penso ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco
peràt= chiaro, splendente, trasparente cosí come i perette furono e sono;quanto
alla morfologia è normale nel napoletano fornire d’una sillaba finale le parole
straniere terminanti per consonante che viene espressivamente raddoppiata e
corredata d’ una semimuta finale (e/o); nel ns. caso peràt→peràtto→peretto,
alibi ggasse←gas, tramme←tram etc.
2.METTERE MANE
Letteralmente: Porre mano; id est: principiare
(alcunché).Espressione generica usata in riferimento a chi, presa una
decisione, le dia continuità pratica affrontando una qualsivoglia attività con
la dovuta solerzia; va da sé che con la locuzione non si intenda restringere il
campo alla mera manualità, ma pur se si accenna alle mani, si intende
comprendervi quanto altro necessiti di spirito, di intelligenza, di attenzione
etc. per il conseguimento dell’opera intrapresa.
3.METTERE MANE Â SACCA
Letteralmente: Ficcare le mani in tasca (per cavarne del
danaro). Espressione usata con rassegnazione quando si è costretti a spendere
danaro per sopperire alle quotidiane necessità. ed usata con rabbia davanti a
sopravvenute necessità non previste e pertanto piú dolorose a petto delle
usuali.
4.METTERE MANE Ê FIERRE OPPURE METTERE MANE Â TELA
Letteralmente: Porre mani ai ferri oppure Porre mani alla
tela
Espressione analoga
alla precedente, ma piú circostanziata. Nel caso in esame si fa riferimento
all’attività di chi dà principio ad una attività di tipo artigianale; la prima
riguarda l’attività di un artiere: fabbro, meccanico, falegname e simili,
attività per le quali occorre munirsi di adeguati arnesi da lavoro, qui
genericamente détti ferri; la seconda riguarda l’attività del sarto o del
tessitore attività per le quali occorre lavorare stoffe, fodere o tessuti
onnicomprensivamente détti tela.
5.METTERE NCIUCE
Letteralmente: Seminare pettegolezzi, maldicenze, calunnie diffamazioni
con acrimonia e/o malevolenza nell’intento di nuocere al prossimo o addirittura
per fomentare discordie. Espressione usata in riferimento al deprecabile
atteggiamento soprattutto delle donne, ma pure di taluni uomini (appartenenti
solo all’anagrafe al sesso maschile) che si divertono e godono nel far del male
al prossimo pettegolando ,parlandone male, diffamandolo e spesso propalando
fatti altrui, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche,
funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza
che invece da pettegole e pettegoli viene bellamente disattesa!...); il svo
nciuco di cui nciuce è il pl. è etimologicamente deverbale di nciucià =
pettegolare, verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il
parlottìo tipico di chi confabuli. Qui giunto rammento che partendo dalla
premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di
nciucio e nciucià ed alibi nciucessa = pettegola, non deriva da un in→’n
illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel
caso di nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati
poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa,
‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi
(‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver derivato [seppure in modo
cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in(
erroneamente ricostruito e mantenuto nella lingua nazionale )] è l’italiano,
dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano
nciucio ad esser derivato dallo inciucio italiano (nel qual caso sí che
sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio).
BRAK
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