1.PARE ‘A MUSECA D’ ’A BARRA oppure ‘A MUSECA CIAPPUNESA
Sembra la musica di Barra o la musica giapponese. Cosí i
napoletani - abituati a ben altre armoniche melodie – sogliono sarcatimente
riferirsi a riunioni piú o meno rumorose e fastidiose ed altresí definire
quelle accozzaglie di suoni e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali,
ma che con la vera musica ànno ben poco da spartire. Quando ancóra esisteva la
magnifica festa di Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano
incontrare gruppetti di ragazzi che producevano una dissonante musica, détta:
musica giapponese, servendosi di particolari strumenti musicali popolari quali:
scetavajasse, triccabballacche, tamburelli,trombette,zufoli, zerrizzerre e
caccavelle/putipú ; uno dei gruppetti piú noti fu quello proveniente dal
popoloso e popolare quartiere di Barra(un quartiere di Napoli, situato nella
zona orientale della città, sulle pendici occidentali del Vesuvio.); il
gruppetto numerosissimo e rumorosissimo, formato da monelli forniti di quei
strumenti or ora elencati, soleva recarsi a piedi e suonando , quasi in
processione, alla festa di Piedigrotta che si svolgeva in zona opposta a quella
del loro quartiere di provenienza;
scetavajasse, s.vo m.le tipicissimo strumento musicale
popolare napoletano, che per il modo con cui è sonato fa pensare ad una sorta
di violino, sebbene non abbia corde o cassa armonica di risonanza; esso è
essenzialmente formato da due congrue aste lignee di cui una fornita di ampi
denti ricavati per incisione lungo tutta la faccia superiore dell’asta
corredata altresí di numerosi piattelli metallici infissi, ma non fissati e
lasciati invece liberi di ondulare, con chiodini lngo le facce laterali della
medesima asta; l’altra asta usata dal sonatore a mo’ di archetto viene fatta
scorrere contro i denti della prima asta (tenuta poggiata ,quasi a mo’ di
violino, contro la clavicola) per ottenerne uno stridente suono, facendo
altresí vibrare ritmicamente i piattelli nel tipico onomatopeico nfrunfrú.
Lo strepitío di détto strumento gli à fatto ottenere il nome
di scetavajasse che ad litteram suonerebbe: desta-fantesche.
Non mette conto illustrare l’origine del verbo scetà che
troppo facilmente è riconducibile al latino excitare; piú interessante è dire
di vajassa che è la serva, la fantesca;voce che proviene dall’arabo: baassa
attraverso il francese bajasse da cui in toscano : bagascia= meretrice.
Rammenterò ancóra che con termine vajassa il napoletano designa anche qualsiasi
donna sciatta, scostumata, sporca, quando non laida ed addirittura affetta di
contagiose malattie come è nell’espressione: Sî ‘na vajassa d’’o rre ‘e Franza
che è letteralmente: Sei una serva del re di Francia. La frase è un’offesa
gravissima che si può rivolgere ad una donna e con essa frase non solo si
intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta
dalla sifilide o lue .
Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai
napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano
infatti che detto morbo fosse stato importato in Napoli dai soldati al seguito
di Carlo VIII(assedio di Napoli 1494). Per converso il morbo era detto dai
francesi mal napolitano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i
soldati francesi di Carlo VIII dalle prostitute partenopee.
A margine di questa voce voglio ricordare una parola che, di
per sé non entrerebbe nella trattazione, come che estranea agli strumenti
musicali; essa parola è bardascia che una vaga assonanza con bagascia potrebbe
indurre i meno esperti della parlata napoletana a collegarla al termine
vajassa; in realtà i due termini non ànno nulla da spartire fra di loro;
abbiamo visto quale sia la portata di vajassa: serva, donna sciatta o
addirittura puttana; la bardascia è invece null’altro che la ragazza e spesso
la si poteva incontrare nel simpatico diminutivo – vezzeggiativo bardascella.
L’ etimologia di bardascia è originariamente dal persiano
bardal attraverso l’ arabo: bardağ che è propriamente la prigioniera, la
schiava giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nell’ idioma napoletano.
triccabballacche, s.vo m.le tipico strumento musicale
popolare usato in quasi tutta l’Italia centro –meridionale e non solo dai
piccoli concertini rionali popolari, ma anche da piú vaste formazioni
addirittura di tipo bandistico, sia pure – in questo caso - surdimensionato;
esso è costituito da un’ asta lignea fissa alla cui sommità insiste una testa a
forma di parallelepipedo, contro di essa vengono ritimicamente spinte analoghe
teste di due aste mobili incerneriate alla base di quella fissa; le teste per
aumentare il clangore dello strumento sono provviste dei soliti piattelli
metallici.
Per ciò che concerne l’etimologia propendo per un’origine
onomatopeica (lo strumento è molto rumoroso…), poco convincendomi una
derivazione per adattamento dal turco tümbelek; troppo tortuosa mi pare la
strada semantica e quella morfologica da percorre per giungere a
triccabballacche, partendo da un tümbelek che comunque è un tamburo di rame,
molto piú simile ad un timpano (strumento musicale e casseruola di rame
stagnato in cui si approntavano timballi o timpani di pasta farcita) che ad un
triccabballacche.
caccavella s.vo f.le conosciuta anche con il nome
onomatopeico di putipú. Tale strumento in origine era formato essenzialmente da
una pentola di coccio, pentola non eccessivamente alta, ma di ampia imboccatura
sulla quale era distesa una pelle d’ovino, pelle che debordando dalla bocca era
fermata con stretti giri di spago, per modo che si opportunamente tendesse; al
centro di detta pelle in un piccolo foro è infissa verticalmente un’assicella
cilindrica (originariamente una sottile canna) che soffregata dall’alto in
basso e viceversa con una pezzuola o una spugnetta bagnate permette di
trasmettere le vibrazioni alla pelle che, è tesa sulla pentolina che fa da
cassa di risonanza per modo che se ne ottenga il caratteristico suono ( put-p
ú,put-p ú), vagamente somigliante a quello prodotto dal contrabbasso, suono che
per via onomatopeica conduce al putipú che, come ò detto, è l’altro nome con
cui è conosciuta la caccavella che come tale, quanto all’etimologia, è latina:
caccabella(m)=pentolina, quale diminutivo di caccabus = grossa pentola da cui i
napoletani trassero caccavo il pentolone della minestra e segnatamente quello
usato dai monaci di taluni monasteri per distribuire la zuppa giornaliera ai
poveri che la mendicassero; ò parlato di originaria pentola di coccio, giacché
attualmente la caccavella, pur usurpando il nome antico, è costruita usando in
Luogo della pentolina di coccio, tristissime scatole cilindriche di latta e la
pelle non è piú ovina, ma squallidamente sintetica di tal che è piú opportuno
chiamare questo indegno strumento putipú lasciando l’originaria caccavella al
degnissimo strumento d’antan!
putipú s.vo m.le
zerrizzerre s.vo m.le = raganella, strumento/giocattolo che
produce un suono particolarmente stridulo (voce onomatopeica);
2.PARÉ ‘A PALATA I ‘A JONTA
Ad litteram: sembrare il filone di pane e la (sua) giunta Il
paragone di questa espressione riguarda sempre due persone che incedano di
conserva; si deve però trattare realmente di due persone di cui l'una sia
longilinea e prestante e l'altra piccola e piuttosto in carne per modo da
essere paragonati ad un grosso filone di pane ed alla piccola giunta che il
fornaio soleva accordare al compratore, per aggiustare il peso del filone di
pane spesso inferiore al previsto chilogrammo della pezzatura; spesso però il
medesimo riferimento vien fatto con persone che nella realtà non sono né una
longilinea, né l’altra piccola e grassa, ma che son solite accompagnmarsi.
palata s.vo f.le = filone di pane; pezzatura di pane che non
eccede il peso d’ un chilogrammo ed occupa la metà della pala per infornare; un
quarto o meno della pala l’occupano le c.d. palatelle (piccoli filoncini da 500
o 250 gr.);rammento che a Napoli il pane è venduto nelle piú varie forme o
pezzature tra le quali da ricordare ‘o paniello o ‘a panella (etimologicamente
dal latino panis + i suffissi di genere iello o ella ) per ambedue si tratta di
ampie pagnotte rotondeggianti di ca 1 kg.di peso; si à altresí ‘o palatone
(grosso filone di ca 2 kg., bastevole al fabbisogno giornaliero di una famiglia
numerosa, il suo nome gli deriva dal fatto che , al momento di infornarlo,
detto filone occupa per intero la lunga pala usata alla bisogna; la palata,
ripeto, è invece il filone il cui peso non eccede 1 kg. ed occupa la metà della
pala per infornare;e ripeto altresí che un quarto o meno della pala l’ occupano
le cosiddétte palatelle (piccoli filoncini da 500 o 250 gr.); tra le varie
pezzature e/o tipi di pane si à ancóra la cocchia che(con derivazione dal lat.
cop(u)la(m)→cocchia), sta per coppia in quanto in origine fu un tipo di pane
formato dall’accoppiamento di due palatelle accostate ed unite al momento della
lievitazione e poi cosí infornate; in seguito, pur mantenendo la pezzatura di 1
kg., corrispondente al peso di due palatelle accoppiate, la cocchia prese una
sua forma alquanto diversa e fu un po’ piú larga, piú schiacciata e meno lunga
della palata.Si ànno infine panini, marsigliesi e ciabatte che sono tutti formati
di pane molto contenuti, quasi delle monoporzioni adatte ad essere consumate
farcite di salumi o formaggi o gustose frittate per un rapido, contenuto
asciolvere o quale pasto da asporto comunemente détto marenna (che
etimologicamente è un gerundivo lat. neutro pl. merenda→marenna inteso femm.
sg. con tipica assimilazione progressiva nd→nn.
La voce palata è un denominale di pala (dal lat. pala(m))
con riferimento all’attrezzo (lungo e stretto asse di legno) usato per
infornare il filone di pane.
Rammento infine che in napoletano esiste un’altra voce quasi
simile a palata, ma di tutt’altro significato; dico cioè della voce PALÏATA che
vale un gran numero di gravi, dolorose batoste; quest’ultima voce (palïata)
originariamente si riferiva al fatto che le percosse erano inferte con un palo
donde il nome (palïata); in prosieguo di tempo è venuta meno la particolarità
del palo, ma è rimasta l’idea della gran quantità di percosse che la palïata
comporta.Rammento che morfologicamente dal sostantivo palo ci si sarebbe atteso
come corretta derivazione la voce palata e non palïata, ma poi che il
napoletano aveva già la voce palata con tutt’altro significato come ò détto
ecco che per indicare la bastonatura inferta con un palo si ricorse al termine
palïata che necessitò dell’anaptissi di comodo di una ï durativa nella voce palata. La locuzione FÀ‘NA
PALÏATA (percuotere lungamente e
dolorosamente) non è piú molto usata, un tempo, invece, era sulla bocca di
tutte le mamme che con essa espressione minacciavano i loro vivaci figlioletti
insensibili a piú dolci rimbrotti, affinché si calmassero e recedessero dal
loro irrequieto atteggiamento.
jonta/ghionta s.vo f.le duplice morfologia d’una identica
voce che vale giunta, aggiunta, sovrappiú; nella fattispecie piccolo pezzo di
pane dato a complemento d’un filone di pane al fine di sistemarne il giusto
peso. La voce è dal lat. (ad)iuncta→juncta→jonta/ghionta, '(le) cose aggiunte',
part. pass. neutro pl.poi inteso femminile di adiungere 'aggiungere'.
3.PARÉ ‘A SCIGNA ‘NCOPP’Ô RUCCHIELLO
Ad litteram: Sembrare la scimmia sul rocchetto.Locuzione
ironica quando non sarcastica usata per dileggiare coloro che, in palese
difficoltà di argomentazione per difendere il proprio operato o le proprie idee
spesso errati, si arrampicchino sugli specchi dialettici nel tentativo, spesso
vano, di trovare ragioni, prove,assunti, asserti attendibili, stringenti e
decisivi a supporto del proprio dire, comportandosi ad un dipresso, in questo
loro annaspare loico, come quelle bestie da circo: scimmie platirrine o
catarrine che si esibiscono in numeri di funambolismo o in numeri acrobatici
tenendosi in precario equilibrio su rotanti rocchetti. scigna s.vo f.le =
scimmia; 1(in primis come nel caso che ci occupa) nome generico di mammiferi
superiori, per lo piú arboricoli, con quattro o due estremità prensili,
dentatura completa, occhi frontali, arti anteriori piú lunghi dei posteriori;
si distinguono in catarrine e platirrine (ord. Primati) 2 (fig.) persona
brutta, dispettosa e maligna: è ‘na vera scigna! | fà m’a scigna ‘e quaccuno,
imitarlo in quello che fa, che dice; scimmiottarlo 3 (region.) ubriacatura,
sbornia ed anche rabbia: pigliarse ‘na bbrutta scigna,ubriacarsi di brutto –
adirarsi; voce derivata dal lat. simia→simja, con un consueta risoluzione/passaggio
di s+ vocale a sci: (cfr. alibi semum→scemo) e con passaggio di mj a gn (come
in ca(m)mjare→cagnà). ‘ncopp’ô = sullo; una delle locuzioni articolate formate
da ‘ncoppa a addizionato degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) dando
esattamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente
sul/sullo,sulla,sugli/sulle e dove ô, â,ê sono rispettivamente le crasi
[scritture contratte] di a +’o, a +’a ed a +’e. rocchiello/rucchiello s.vo m.le
di doppia morfologia di cui la seconda, con la vocale chiusa velare [u], usata
maggiormente nel parlato = rocchetto, arnese per incannare la seta,
gruccia/trespolo con sostegno superiore cilindrico e rotante; voce diminutiva
di rocchio che è dal lat. rotulu-m→roculu-m→ roc(u)lu-m→roclu-m→rocchio addizionato
del suffisso ello che continua il lat. ellus/ella, suffisso alterativo di
sostantivi ed aggettivi, con valore diminutivo e spesso vezzeggiativo.
4.PARÉ ‘A ZOCCOLA CU ‘E LLENTE
Ad litteram: Sembrare un topo con gli occhiali.
Divertente ed icastica espressione di dileggio riferita a
tutti quegli anziani uomini spesso magri, secchi, scarni dal viso lungo ed
affilato, provvisto di un congruo naso semita sotto il quale vegetano
cespugliosi o affilati baffetti e sul quale poggiano spessi occhiali da miope o
piú spesso da presbite; per solito
costoro svolgono mansioni d’archivista presso studi notarili o uffici
pubblici e segaligni, ossuti ed allampanati come sono , si aggirano tra
polverosi faldoni di documenti con il loro divertente aspetto di vecchio topo…
provvisto d’occhiali.
Zoccola s.vo f.le
grosso topo di fogna, ratto, surmolotto, roditore dannoso sia per la voracità
sia per le malattie che puó trasmettere. La voce è dal lat. sorcula(m) con
tipica assimilazione regressiva cr→cc e consueto passaggio della fricativa
dentale sorda (s) all'affricata alveolare sorda (z);
llente/lente s.vo f.le pl. di lenta = lente, occhiale
1 sistema ottico elementare costituito da una sostanza
rifrangente, gener. vetro o plastica trasparente, limitata da due superfici di
cui almeno una è curva: lente convergente o d'ingrandimento, con almeno una
superficie convessa, che ingrandisce l'immagine e corregge la presbiopia e
l'ipermetropia; lente divergente, con almeno una superficie concava, che
rimpiccolisce l'immagine e corregge la miopia; lente biconvessa, biconcava, con
entrambe le superfici curve con raggio di curvatura uguale e opposto; lente a
menisco, con entrambe le superfici curve, ma con raggio di curvatura diverso e
orientato nello stesso senso; lente sferica, con le due superfici sferiche o
una sferica e l'altra piana; lente cilindrica, torica, con almeno una
superficie cilindrica, torica, per correggere l'astigmatismo; lente prismatica,
con le superfici ad assi concorrenti, per correggere la tendenza allo strabismo
| lente a contatto o corneale, piccola lente di plastica che si applica alla
cornea, dove è trattenuta da un velo di liquido lacrimale | lente cristallina,
(anat.) il cristallino dell'occhio
2 pl.come nel caso che ci occupa, gli occhiali o altrove le
lenti a contatto: portare le lenti
3 elemento, oggetto a forma di lente: la lente del pendolo,
la massa metallica all'estremità inferiore dell'asta oscillante
4 (ant. , region.) lenticchia.
Voce dal lat.
leªnte(m) 'lenticchia'; il sign. di 'lente ottica' si è sviluppato modernamente
(dal sec. XVII).
5.PARÉ ‘NA LACERTA VERMENARA
Ad litteram: Sembrare una lucertola rimpinzantesi
famelicamente di vermi. Divertente, ironico, beffardo riferimento a persona
magra e/o macilenta, ma dotata di formidabile appetito, persona che, a malgrado
che non l’assimili, continuamente assume cibo, per questo appaiata ad una
lucertola notoriamente avida di vermi di cui è solita satollarsi.
lacerta s.vo f.le = geco: piccolo rettile terrestre dei
paesi mediterranei, con i polpastrelli delle dita muniti di organi adesivi che
gli consentono di arrampicarsi sui muri; si ciba di vermi; lucertola: genere di
piccoli rettili terrestri con capo appiattito, corpo terminante in una lunga
coda sottile, zampe corte, lingua bifida; in senso traslato con la voce a
margine viene indicata una persona estremamente magra allampanata, denutrita,
gracile, mingherlina, esile ; la voce è dritto per dritto dal lat. cl.
lacerta(m) che diede poi il lucerta(m) del lat. volg. donde lucertola
dell’italiano.
vermenara di per sé s.vo f.le e vale matassa di vermi;
parassitosi, elmintosi (che,con derivazione da eliminto [ che è dal gr. ἕλμινς
–ινϑος (elmins – elmintos) «verme»], nel linguaggio medico,indica la presenza
di vermi parassiti nell’intestino, nell'apparato gastrointestinale, ma possono
trovarsi anche nel fegato o in altri organi dell’uomo e degli animali, ma per
traslato di causa ed effetto la voce a margine indica uno spavento
ragguardevole, il massimo del panico tali da procurare, come un tempo si
credette, nel pacco intestinale soprattutto dei ragazzi, la nascita di lunghi e
sottili vermi;ovviamente la scienza medica stabilí che ben altre son le cause
delle infestazioni da elminiti, cause sulle quali non mi esprimo o dilungo
(mancandomene una competenza), ma anche quando la medicina si fu espressa, non
venne meno la radicata credenza cui accennavo ed il termine vermenara continuò
ed ancóra continua, tra il popolo della città bassa, ad essere usato per
traslato di causa ed effetto indicando uno spavento ragguardevole, il massimo
del panico.ò détto che la voce a margine è di per sé un s.vo f.le e vale
matassa di vermi ma talora come nel caso che ci occupa è usato (sia pure
impropriamente) come aggettivo in Luogo di vermenosa per indicare chi, come la
lucertola, sia ghiotto o avido di vermi. La voce è un denominale di vermen
addizionato o del suff. ara (al m.le aro suffisso che continua il lat. –arius e
compare in sostantivio agg.vo derivati dal latino, che indicano mestiere (
oppure persona Luogo, ambiente, pieno di qualcosa o destinato a contenere o
accogliere qualcosa) oppure addizionato o del suff. osa (al m.le oso suffisso
di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m) che indica
presenza, caratteristica, qualità ecc.).
BRAK
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