martedì 26 dicembre 2017

VARIE 17/1329



1.TIRAMMO ‘STU CAPO ‘NTERRA!
Espressione usata a mo’ di incentivo a portare sollecitamente a termine un’opera intrapresa. Vedi alibi sub TIRÀ ‘O SPAVO
2.TIRARSE ‘A CAUZETTA
Ad litteram: tirar su la calza Id est: estraniarsi da una vicenda, star sulle proprie, disinteressandosi di ciò che avviene attorno; ma anche: lasciarsi molto pregare o attendere prima di concedere alcunché; la locuzione richiama l'abitudine che avevano le iberiche persone di medio-alto rango che negli anni del 17ª secolo, erano usi indossare lunghe calze di seta, e per distinguersi da quelli di piú basso ceto, che indossavano calze corte o cadenti, usavano tirarle continuamente verso il ginocchio. Tali altolocati personaggi erano quelli che, per abitudine evitavano di interessarsi a ciò che accedeva intorno a loro sia per non lasciarsi coinvolgere sia per non esser fatti destinatari di richieste o aiuti ai quali - comunque - avrebbero provveduto solo dopo molte preghiere.
tirarse forma riflessiva del verbo tirà = tirare, imprimere a qualcosa o a qualcuno un movimento per tenderlo, avvicinarlo a sé, trascinarlo nella propria direzione (voce dal lat. volg. *tirare, alterazione del class. trahere 'trarre';
cauzetta s.vo f.le dim. di calza 1calza lunga da uomo | fà ‘a cauzetta (fare la calzetta), lavorare a maglia; (figuratamente) si dice di donne che si dedicano esclusivamente alle faccende domestiche;
2 calza di seta da donna;
3 meza cauzetta (mezza calzetta), (fig. spreg.) persona di scarse capacità, di modesta levatura.
etimologicamente diminutivo (cfr. il suff. etta) del lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto';normale nel napoletano l’evoluzione del nesso al + consonante in au (cfr. caldaia→caurara, gelsa→ceuza, altus→auto.
3.TOMO TOMO
Locuzione avverbiale che pur partendo da un aggettivo di grado positivo, nell'evidente iterazione non intende configurare, come invece nel caso di tinco tinco, un superlativo, ma solo ribadire fortemente un concetto e coè la subdola flemma di chi con apparente noncuranza e studiata seriosità mira ad un preciso scopo, senza volerlo far capire. Spesso la locuzione in epigrafe si accompagna (allo scopo di aumentarne la portata) a quella di cacchio, cacchio.
4.TRASÍ DINT' Â SCAZZETTA D''O PARRUCCHIANO
Ad litteram: entrare nello zucchetto del prevosto; id est: ficcare il naso in faccende altrui che non dovrebbero riguardare, tentare di por bocca nelle questioni riservate degli affari non di nostra competenza, come non ci dovrebbe riguardare cosa nasconda lo zucchetto del sacerdote.
SCAZZETTA  è un s.vo f.le  che indica genericamente  un copricapo maschile e piú precisamente indica
1) uno zucchetto usato dal clero,un copricapo di forma semisferica molto aderente alla nuca costituito da quattro spicchi (in forma di  triangoli isosceli)  di tessuto foderato,  spicchi cuciti in modo da far convergere i vertici dei triangoli al centro del copricapo  cosí da creare una forma sapientemente semisferica che aderisca benissimo al capo e segnatamente alla nuca.Tale zucchetto è di vario colore a seconda di chi lo indossi: nero per il clero basso , nero profilato di rosso cremisi per  monsignori e canonici, violaceo per i vescovi, rosso per i cardinali e bianco per il papa, ma una sola è la funzione comune per tutti,  quella di proteggere la zona della tonsura e temo che tale copricapo sia stato usato nella chiesa cattolica ad imitazione del kippah quel copricapo cioè usato correntemente dagli Ebrei osservanti maschi principalmente all'interno dei luoghi di culto, anche se i piú religiosi lo indossano anche durante la vita quotidiana;
2) papalina, piccolo copricapo tondo e rigido,  copricapo d’uso domestico,  berretto di lana tondo e senza tesa,foderato, per lo piú con una nappa laterale o alla sommità, che un tempo portavano in casa gli uomini anziani.
3) berretto da notte, copricapo  di lana foderato in foggia di cono con una nappa sulla punta del vertice, usato dagli uomini anziani durante la notte per protezione del capo; tale  copricapo è détto esattamente scazzetta p’ ‘a notte.
Circa l’etimologia della voce alcuni si trincerano su  di un etimo sconosciuto, cosa che mi dà l’orticaria, molti azzardano varie ipotesi; insomma non ci sono identità di vedute sull’ etimologia della voce in esame; non tengo in alcun conto chi sbrigativamente parla di onomatopèia, ma non precisa poi donde provenga e  quale possa essere la fonte di questa onomatopèia; non mi convince neppure chi fantasiosamente parla, per la forma del berretto  di un denominale di cazza (lat. tardo cattia(m), dal gr. ky/athos 'coppa, tazza'); non mi convince neppure chi fantasiosamente parla di un deverbale di un  non attestato *scazzare usato in taluni lessici meridionali come correlativo   di schiacciare; non mi convince infine  neppure chi farraginosamente parla di un deverbale di scamazzare→sca(ma)zzare = schiacciare;per il vero  queste ultime due ipotesi semanticamente sembrerebbero  corrette atteso che in effetti la scazzetta insiste sul capo pigiandolo, ma – morfologicamente -  m’appaiono ipotesi lontano dal vero. Non mi resta che far mia l’idea del prof. Giarrizzo che legge in scazzetta un denominale del greco s + kottis – kottidos = testa, capo.
5.TRASÍ 'E SPICHETTO
Ad litteram: entrare di straforo; id est: entrare alla chetichella, per il rotto della cuffia, obliquamente; per estensione: godere immeritatamente di un qualche beneficio; lo spichetto in realtà è un ritaglio di stoffa tagliato obliquamente in forma triangolare ed inserito nei margini di un taglio per consentire uno slargamento dell'indumento cui venga applicato;per traslato sta ad indicare lo straforo della traduzione.
BRAK

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