mercoledì 27 dicembre 2017

VARIE 17/1337



1.VOGLIO SAPÉ TUTTO DALL'A NFI’ Ô RUMME
Antica icastica espressione purtroppo desueta che letteralmente si può rendere con Intendo esser messo al corrente di ogni cosa dalla a sino al rum. Id est: Voglio saper vita, morte e miracolo (di qualcosa) Lo si dice di chi indiscreto, ficcanaso, invadente, impiccione di un accadimento voglia essere informato particolareggiatamente, messo a conoscenza minutamente, in tutti i particolari, soprattutto quando dell’avvenimento in questione dovrebbe mantenersi all’oscuro in quanto non di sua pertinenza.
Tutta l’espressione è incentrata sul termine RUMME s.vo m.le che è etimologicamente la lettura popolare della sillaba -rum,poi che come alibi ricordo il napoletano per solito aborre da voci terminanti per consonanti e le rende con l’aggiunta d’una paragoge, cioè di una sillaba finale con vocale evanescente e con il raddoppiamento della consonante (cfr. tramme←tram, bisse←bis, barre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus con la sola eccezione della negazione NUN talvolta attestata però anche come nune insieme a none che vale no ed a sine= sí ); rumme è dunque il nome dell’abbreviazione con cui si rappresentava, nel Medioevo e nel Rinascimento, la desinen-za latina -rum, e anche altri gruppi finali comincianti con r- (per es., illorum, coram, notarium, feriam potevano essere scritti: illorumme coramme notoriumme, feriamme etc. ).
Nella tavola dell’alfabeto il segno era posto dopo la zeta, donde la locuz. dall’a ô (=al) rumme, in uso un tempo con lo stesso sign. di «dall’a alla zeta». Rammento in coda che nel napoletano esistono almeno altre due voci omofone (per il fenomeno della evanescenza della sillaba finale), ma non omografe della voce rumme con la quale esse non vanno confuse ; e sono 1)rummo= rombo s. m. (zool.) nome comune di alcuni pesci marini teleostei, commestibili, affini alla sogliola con corpo appiattito romboidale ed entrambi gli occhi sul lato sinistro (ord. Pleuronettiformi) (dal lat. rhōmbu(m)→rumbu(m)→rummu(m)→rummo, che è dal gr. rhómbos, propr. 'trottola', poi nome del pesce, per la forma simile a quella di una trottola schiacciata;
2) RUMMA = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui di una piena a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc. nfino prep.ed avv. =sino voce che con derivazione dal lat. fine, abl. di finis 'limite', con il significato preposizionale di 'fino a' si adopera davanti ad un avv., ad un sostantivo o ad un'altra prep. e può essere preceduta da una n eufonica che, come tale, non necessita di segno diacritico d’aferesi, necessario invece nel caso si fosse trattato di una ‘n illativa derivata da in→(i)n→’n; introduce il termine ultimo di una distanza spaziale o temporale: nfino a cquanno?(sino a quando?); nfino addó?;nfino a ttanno(fin dove?; fino ad allora); nfino a ‘ncimma(fin in cima);nfino â casa (sino a casa); nfino a ll’urdemu (fino all'ultimo); nfino a cche(sino a che), come avv. (lett.) persino, pure, anche: ce stevano tutte quante, nfino a ‘e cchiú lluntane pariente(c'erano tutti, fino i piú lontani congiunti).
2.VOLLE 'A CAURARA!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
3.VOTTA 'A PRETELLA I ANNASCONNE 'A MANELLA
Letteralmente: Lancia la pietra e nasconde la mano. Détto di chi pusillanime e privo di personalità non intende prendere le responsabilità dei proprî comportamenti e dopo d’avere proditoriamente arrecato un danno vero o figurato, fisico o morale cela la mano nel tentativo di non lasciarsi cogliere in flagranza, per non render ragione delle proprie azioni, o per evitare talora la giusta punizione o la naturale ritorsione.
votta voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito vuttà = buttare, lanciare, scagliare, tirare, scaraventare; voce dal fr. ant. bouter, provenz. botar, di orig. germ con normale alternanza b→v (cfr. barca→varca, bocca→vocca etc.);
pretélla s.vo f.le dim.di preta = pietruzza, piccola pietra; etimologicamente lettura metatica del lat. petra(m), che è dal gr. pétra; da petra(m)→ preta(m) con l’aggiunta del suff. diminutivo élla;
annasconne voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito annasconnere = nascondere, coprire, infrattare, mettere in Luogo riposto, in modo che altri non veda o non trovi; celare, occultare; etimologicamente deriv. dal lat. volg. ab-nascondere→annasconnere per il class. abscondere , comp. di ab 'via, lontano da' e condere 'riporre, celare' nella formazione di annasconnere si è verificata una doppia assimilazione: una regressiva ab→an ed una progressiva nd→nn;
manélla s.vo f.le dim.di mana = manina, piccola mano ; etimologicamente la voce mana da cui manella con l’aggiunta del suff. diminutivo élla, deriva da un accusativo latino manu(m) reso femminile mana(m); anche nel toscano anticamente la mano fu mana. Da notare che nell’espressione in esame è usato il diminutivo manella che indica una mano piccola o di bambino, non solo per rimare con la voce petrella ma pure per sottolineare che chi si comporta da pusillanime e privo di personalità anche se è un adulto in realtà si comporta come un bambino!
4.VRENNA E SCIUSCELLE nell'espressione: FERNÍ A VVRENNA E SCIUSCELLE
Ad litteram: crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: FERNÍ A TTARALLUCCE E VVINO (finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
5.VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO…
Si tratta di una divertente espressione che fu antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico, furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco.
In primis ed ad litteram l’espressione si traduce : volere l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato).
Detto ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non volersi impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo bollito...
Il cocco della locuzione in effetti non è il frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che, con voce gergale fanciullesca, è chiamato cocco richiamandosi al noto verso della gallina: cocco(dè);
l'aggettivo buono unito al precedente aggettivo ammunnato (mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.: cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito, quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio, viene buono per esser súbito mangiato.
E passo ora  ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento liberatorio degli alleati anglo-americani, la città di Napoli fu invasa da militi cui, in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta, cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi di voluttà (liquori, tabacchi etc.), le giovani e meno giovani donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e – nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale (a/e/o) di timbro evanescente) ecco che con l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma ci si riferí piuttosto a quelle tali sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… venne intesa appunto volere il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale seconda lettura il termine cocco non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto - dell’anglo-americano cock = membro maschile.
BRAK

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