venerdì 29 giugno 2018

PIZZA NAPOLETANA


PIZZA NAPOLETANA
Questa volta – a rischio d’esser considerato un iconoclasta ed un incompetente – parlerò dell’argomento in epigrafe affermando (senza tema di smentita!) innanzitutto che è una bestemmia ritenere la cosiddetta pizza margherita ( copiata, ma non ideata nel 1889 da un  pizzaiolo napoletano (ma, a mio avviso, indegno d’esser considerato partenopeo) tale Raffaele Esposito, attivo presso la pizzeria Brandi (alla salita Sant’Anna di Palazzo)    che la dedicò alla regina Margherita di Savoia dandole il nome di  "pizza Margherita" pizza  che, nell’intento del malnato pizzaiolo tradendo il vecchio vessillo napoletano borbonico bianco con i gigli di Francia avrebbe dovuto rappresentare  la nuova bandiera tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomidoro ed il verde del basilico.L’incolto Esposito, probabilmente a digiuno di storia patria, con l’omaggio fatto ai sovrani discendenti dell’usurpatore Vittorio Emanuele II Savoia-Carignano,fece sí una splendida operazione commerciale (la pizza margherita sarebbe diventata famosissima nel mondo), ma  (oltre che macchiarsi  di tradimento nei confronti dei vecchi regnanti Borbone), fece un’offesa gravissima nei confronti della tradizione partenopea, tradizione che voleva quali autentiche pizze napoletane le seguenti:
pizza marinara, pizza ‘nzogna e pummarole, pizza cucicenielle,pizza alla mastunnicola e, cazone ‘mbuttunato.
E l’Esposito non fu neppure originalissimo (perciò ò parlato di copia…);infatti  già nel 1830, un non meglio identificato  Riccio (di lui mancano precise notizie biografiche) nel libro Napoli, contorni e dintorni, aveva scritto di una pizza (quantunque poco usata) con pomodoro e della  mozzarella disposta, (su un  disco di pasta già condito con il pomodoro), in maniera sagomata tale   da formare  con dei petali (sei)  quasi ovali di una margherita nonché il suo bottone centrale) e con del  basilico disposto a mo’ da scimmiottare stelo e foglie della margherita; si trattava dunque di una  pizza che comunque esulava da riferimenti storici e/o politici e la margherita non era dunque il nome della consorte del re savoiardo, quanto semplicemente quello del nome del fiore (di cui la mozzarella sagomata a mo’ di ovali, copiava la disposizione dei petali  posti com’erano questi sei  ovali a raggiera circolare intorno ad una sorta di bottone tondo che ripeteva il bottone centrale  del fiore) ;della medesima pizza agghindata con una sorta di di margherita di mozzarella e basilico,già esistente nel 1849  scrisse anche  Francesco De Bouchard nel 1866;   e dunque l’ Esposito fece una indegna, biasimevole furbata appropriandosi, a scopo ruffianesco,  di qualcosa di dominio comune…
Giunti a questo punto facciamo un passo indietro e soffermiamoci ad illustrare i varii tipi delle  autentiche pizze napoletane.
Cominciamo a soffermarci sul sostantivo pizza;
 Pizza s.vo f.le
1 (gastr.) focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità in origine  tipicamente napoletana, ma  oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni.
2 nel linguaggio cinematografico, la scatola piatta e circolare in cui si custodisce un rotolo di pellicola; per estens., la pellicola stessa
3 (fam. fig.) persona o cosa estremamente noiosa.
Quanto all’etimo della voce pizza qualcuno ipotizza  ch’esso  sia da collegarsi alla voce pita voce  mediterranea e balcanica, di origine greca;  secondo questa ipotesi la parola deriverebbe dall'ebraico פִּתָּה o פיתה, dall'arabo كماج o  dal greco πίτα, da cui anche pita che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce; qualche altro ipotizza una derivazione dal longob. bizzo 'morso, focaccia', ma io reputo piú esatta e logica una derivazione  dal latino pinsam (placentam)→pizza (placentam)=focaccia schiacciata dal verbo pinsere=pigiare, schiacciare con ns→nz→zz per assimilazione regressiva)
A margine rammento che della pizza napoletana  (sia pure in senso generico, come  il piú usuale cibo popolare partenopeo) le prime notizie  vengono fatte risalire al periodo che va dal 1715 al 1725 ad opera di un tal  Vincenzo Corrado (Oria, 29 marzo 1738Napoli, 4 novembre 1836)celebre  cuoco e letterato italiano. che  alla metà del '700 scrisse un pregevole trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli,trattato in cui osservò come fosse costume del popolo condire la pizza ed i maccheroni con del pomodoro. In un certo senso quelle  osservazioni del Corrado  costituiscon quasi   la data di nascita della pizza napoletana, un sottile disco di pasta condito dapprima con strutto pomodoro e formaggio e successivamente con altri ingredienti tra i quali l’olio d’oliva che sostituí lo strutto. Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un fenomeno esclusivo della città partenopea. A partire dalla seconda metà del '900 le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo, quasi sempre all’insegna di  PIZZA NAPOLETANA,termine spesso palesemente usurpato in quanto il piú delle volte chi conduceva quelle pizzerie non era napoletano né approntava autentiche pizze napoletane, ma le piú svariate schiacciate o focacce condite alla bell’ e meglio con i piú svariati ingredienti, anche i meno idonei!  Rammenterò  che la pizza, quale uno dei consueti nutrimenti popolari   si conquistò un posto persino  nella smorfia (cfr. alibi), dove  è considerato sotto il numero 24 ed  anche con moltissimi altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui avremo: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica – 37, p. con sugna e formaggio – 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e mozzarella – 53.
Torniamo ad illustrare i varii tipi di autentiche pizze napoletane:
1) PIZZA ALLA MASTUNNICOLA (pizza alla mastro Nicola) è questa la originaria prima  pizza napoletana,ideata da un non meglio identificato mastro Nicola che conduceva ( 1490 ca) una piccola taverna con cucina casareccia nei dintorni della centrale Rua Catalana  dove aprivano bottega numerosissimi artieri ed artigiani che si rifocillavano quotidianamente in quella piccola taverna; tale originaria prima  pizza napoletana   con la variazione successiva (cfr. n° 2)  diede  il la a tutte le altre;si tratta di una semplicissima pizza per la cui pasta vedi al successivo n° 2 sub A, condita con dello strutto di maiale, con abbondante formaggio pecorino,  guarnita con del basilico e cotta in forno.

2) PIZZA POMIDORO, SUGNA E FORMAGGIO;
si tratta della variazione apportata alla originaria prima  pizza napoletana, variazione  che diede  il la a tutte le altre ( la variazione fu forse apportata  dalla stesso mastro Nicola (1501 ca)per contentare i marinai che avevano cominciato a far conoscere in giro nelle taverne napoletane  come pianta edibile  quel pomodoro importato con le loro navi mercantali  dal Perú, pomodoro che alibi (Francia) era usato quale pianta ornamentale ritenuta velenosa;
A) l’autentica ricetta originaria prevede che per ogni litro di acqua necessitino  50 grammi di sale, 5 grammi di lievito e 1,8 kg di farina. È codificato altresí che la farina debba essere aggiunta gradualmente e  lentamente (non meno di dieci minuti) e che l'impasto vada lavorato per venti minuti fino a che non raggiunga il cosiddetto  punto di pasta, cioè fino a quando l’impasto non risulti  gonfio  e liscio, molto estensibile e poco elastico.Ancóra è  codificato  che lo impasto vada lasciato a riposare su di  un piano di marmo o in una madia di legno per quattro ore coperto da un panno inumidito  per evitare che la superficie indurisca. Trascorse le quattro ore l’impasto va poi suddiviso in pezzi (palle) sferici di circa 180-200 gr.cadauno. Da ogni singola sfera  si ricaverà una pizza  che si deve stendere, senza l’ausilio di matterello,  soltano con abili movimenti delle mani, pigliandola e stendendola  su un piano di marmo coperto di fior di  farina fino a che lo spessore diventa pari a circa  0,3 cm nella parte centrale  e pari ad  1 cm per il bordo  (cornicione).
B)A questo punto si può procedere ad aggiungere i condimenti sui dischi (di circa 15 – 20 cm. di diametro cadauno) di pasta approntati l’uno accanto all’altro sul piano di marmo; i condimenti per la pizza a margine sono pochi e semplici; su ogni pizza viene distribuito, per tutta la superficie (con movimento a spirale partendo dal centro della pizza) un cucchiaio e mezzo di sugna;  indi con uguale procedimento si aggiungono due cucchiai di pomidoro passato, infine si sala ad libitum e si aggiunge un cucchiaio e mezzo di formaggio (in origine pecorino, oggi anche grana) grattugiato distribuito accuratamente per quanto è ampia la pizza.
C) Cosí condita la pizza è pronta per la cottura che va fatta in un forno con brace  di  legna, poggiandola su di un piano formato con  mattoni refrattari ed  una cupola anch'essa in materiale refrattario ad una  temperatura di 460 - 490 gradi e va sollevata  brevemente e di tanto in tanto  ricevendo il calore in modo uniforme. A fine cottura il bordo esterno (cornicione) che sarà stato leggermente pizzicato prima che s’inforni la pizza  risulterà  regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico del pane. La parte centrale sarà invece morbida.
3) PIZZA Â MARENARA;
Si tratta quasi di una naturale evoluzione della pizza precedente della quale conserva la medesima procedura sub A) e C); cambia invece  la parte sub B quella relativa al condimento che nella pizza â marenara (pizza alla maniera dei marinai) è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente,   origano secco e sale. La pizza a marigine deve il suo nome al fatto che dismessa l’usanza di condire le pizze con sugna pomidoro e formaggio  invalse quella (dapprima tra i marinai (donde il nome â marenenara) del mandracchio (vedi ultra) e poi tra altri artieri) di mangiare una pizza cotta al forno e condita con olio, pomidoro, aglio, sale  ed origano; in sèguito  essendo diventato questo, per ogni pizzaiolo il piú comune modo di condire la pizza, questo  tipo di sugo usato per condire altri alimenti (pasta, carne e pesce fu detto alla pizzaiola ( cioè alla maniera dei pizzaioli), mentre per la pizza si mantenne il nome di â marenara in quanto sarebbe stato del tutto tautologico parlare di una pizza alla pizzaiuola! Altra scuola di pensiero ritiene che il nome â marenara derivi dal fatto deriva dal fatto  che gli ingredienti, facilmente conservabili, potevano essere portati dai marinai per preparare pizze nel corso dei loro lunghi viaggi.La cosa però non è dimostrata, né probabilmente vera e/o accettabile in quanto tra il finire del ‘700 ed i principi        dell’ ‘800 una delle malattie maggiormente diffuse tra i marinai fu proprio lo scorbuto malattia dovuta a carenza di vitamina C quella contenuta in parecchi vegetali, quasi mai presenti tra le scorte di cibo dei marinai (ed i pomidoro son dei vegetali!...) ,malattia  che si manifesta con dimagramento, ulcerazioni ed emorragie delle gengive e degli organi interni. Son perciò convinto che il termine â marenara  sia da collegarsi a quei marinai adusi a frequentare le taverne e/o bettole nella zona del mandracchio taverne e/o bettole dove si facevano preparare delle pizze condite con olio, pomidoro, aglio, sale  ed origano;Il mandracchio  non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da marinai,  facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto.
Le successive  classiche pizze napoletane son quasi tutte una evoluzione della pizza â marenenara.Abbiamo:
4) PIZZA CU ‘ALICE ;
5) PIZZA CU ‘E CICENIELLE
Si tratta per ambedue di due pizze che della pizza sub 1)(pizza ‘nzogna pummarola e ffurmaggio) conservano i punti A) e C) cambiano invece  le parti sub B quelle relative al condimento che nella pizza cu ‘alice  è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, piccole alici fresche decapitate e diliscate, sale e pepe;il condimento della pizza cu ‘e cicenielle è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, ed un paio di cucchiaiate di bianchetti freschissimi, sale e pepe.
6) PIZZA ‘E QUATTO MANERE
nota anche come pizza quattro stagioni  ma si tratta di un’apposizione inesatta in quanto nel pretto napoletano con la voce staggiona/e  si indica segnatamente l’estate e non ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l'anno solare (primavera, estate, autunno, inverno); nella fattispecie l’antica napoletanissima  pizza ‘e quatto manere si è imbolsita nel nome ed oggi è détta sconciamente pizza quattro stagioni quasi che i componenti di cui è guarnita quali condimenti fossero reperibili ognuno in una determinata stagione, laddove invece sono sempre reperibili nel corso dell’anno; si tratta di una pizza pur essa partita  dalla pizza sub 1)(pizza ‘nzogna pummarola e ffurmaggio) di cui  conserva i punti A) e C) cambia invece  la parte sub B quella relativa al condimento; innanzi tutto è da ricordare che sull’originario disco di pasta della pizza cardine, vegono aggiunti due bastoncelli di pasta posti ortogonalmente a croce lungo i due diametri del disco fino a determinare quattro comparti che vengon conditi tutti  con sugo di pomidoro,olio, sale, mentre poi   ciascun comparto è guarnito  in modo diverso con altri ingredienti : a)funghetti sott’olio, b) cubetti di salame, c) cubetti di mozzarella di bufala, formaggio  e basilico, d)aglio vecchio tritato ed origano.
Non esistono altri tipi di pizza autenticamente napoletane; qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate (ad es. pizza capricciosa (con pomidoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico, funghi, carciofini, prosciutto cotto, olive nere, olio, uova sode ed acciughe)oppure pizza quattro formaggi: pomidoro (facoltativo), mozzarella, altri formaggi a discrezione, basilico) oppure ancóra stranezze del tipo  pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e mais, da molti chiamata mimosa, o la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e funghi, detta anche dello chef. qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate, dicevo,   usurpa il nome di pizza napoletana, come non esito ad affermare che anche  la pizza margherita (non quella originaria, ma quella ideata dall’Esposito della pizzera Brandi…) usurpa il nome di pizza napoletana trattandosi di una  focaccia, pur se nata a Napoli, dedicata ad una regina di casa Savoia quella casa  che invase ed usurpò per il tramite del masnadiero Garibaldi Giuseppe,della Massoneria inglese e di una manica di generali traditori  il libero, indipendente e sovrano Reame di Napoli!E trattandosi di una pizza dedicata alla rappresentante d’una famiglia usurpatrice,è da ritenersi – a mio parere e  per la proprietà transitiva – essa stessa usurpatrice, come del resto ò già dimostrato quando ò illustrato la pizza, antecedente a quella del Brandi,originaria pizza che su di uno specchio di pomidoro aveva una guarnizione di mozzarella posta a mo’ dei petali di una margherita !
Esistono infine tre tipi di pizze di cui le prime due autenticamente  napoletane, mentre la terza è in uso in provincia: queste tre pizze di cui ora dico  non derivano dalla pizza ‘nzogna pummarola e ffurmaggio; si tratta per le prime due  di gustosi ripieni di cui uno, détto cazone (= calzone),  è un ripieno  farcito  con ricotta di pecora,pomidoro, mozzarella, formaggio e  pepe, ripieno  cotto al forno come tutte le pizze fin qui viste, mentre il secondo ripieno è détto pizza cicule e rricotta essendo appunto un ripieno farcito  con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale (quelli di salumeria, venduti al taglio, che derivano dalla cottura a vapore ed ad alta temperatura e successiva pressatura sino ad ottenerne un cilindro alto tra i quindici e venti centimetri ed un diametro di base di circa quaranta cm., derivano dalla cottura ad alta pressione e successiva pressatura delle carni, grasso e cotenne della  gola del maiale, il tutto salato e speziato)  e non quelli casarecci residui della cottura e successiva pressatura dei cubi di grasso di maiale(se di gola lardiciello, se di fianco/pancia ‘nzogna ‘mpana) fuso per ottenerne sugna) e fritto in olio bollente e profondo;la pasta di partenza per il calzone è il consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio) su détto disco lungo l’ideale linea di un diametro vengono distributi a seguire  la ricotta spalmata, i dadi di mozzarella, il sugo di pomidoro,il formaggio grattugiato ed il pepe, indi il calzone viene rinchiuso facendo combaciare i lembi del disco in modo che la farcitura resti serrata nella pasta; sul calzone cosí confezionato viene distribuita un'altra cucchiaiata di sugo di pomidoro ed infine si inforna alle consuete temperature e per i consueti tempi; diversa la procedura per la pizza cicule e ricotta che essendo  un ripieno farcito appunto con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale da friggere in olio bollente e profondo, può ricavare la pasta da farcire non dal consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio), ma da un fazzoletto quadrato della medesima pasta (quantunque piú assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza) quadrato di circa 10 -12 cm. di lato, quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale distribuiti lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di  triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.Il terzo ripieno di cui dicevo che è in uso non in Napoli città, ma nella sua provincia  è un ripieno che prende il nome di caniscione/canniscione  che è la corruzione popolaresca di un originale cannicchione = golosone (e per metonimia golosità); e di golosità si tratta in quanto il cannicchione/caniscione  è  un pletorico fazzoletto quadrato di pasta di pane  (quantunque piú assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza)  di circa 13 -15 cm. di lato, quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora,provola affumicata, formaggio pecorino grattugiato,  pepe, ciccioli di maiale, salame e spicchietti di uova sode, il tutto distribuito lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di  triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.   
In coda a tutto quanto fin qui détto e prima di segnalare alcune tipiche espressioni partenopee che dalla pizza prendono il la, esamino alcune voci incontrate in questo excursus; di pizza, marenara  e mandracchio ò già détto antea; andiamo oltre e troviamo
pummarola s.vo f.le = pomodoro 1 pianta erbacea annuale con foglie composte imparipennate, fiori gialli piccoli in grappoli e frutto a bacca (fam. Solanacee)
2 il frutto rosso, carnoso e commestibile di tale pianta, usato come vivanda e come condimento; la voce napoletana deriva da pomo d’oro  con la variazione di po→pu in quanto vocale atona, raddoppiamento espressivo della emme intervocalica, alternanza osco-mediterranea d/r  ed infine dissimilazione r – r →r-l  e cambio di genere per cui si è avuto pomo d’oro→pummod’oro→pummororo→pummarola;
mozzarella s.f.
1 formaggio fresco di origine campana e bassolaziale,  a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala
2 (fig.) persona estremamente fiacca.
Ci troviamo a parlare di una voce nata in Campania e poi adottata nel basso Lazio ed infine trasmigrata nel lessico nazionale; per il vero la voce mozzarella dovrebbe essere d’uso esclusivo di Campania e basso Lazio in quanto è in tali regioni e non in  altre che viene prodotta l’autentica, vera mozzarella formaggio fresco a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala; formaggi simili prodotti in altre regioni con latte vaccino usurpano il nome di mozzarella di cui copiano i sistemi di lavorazione ,ma non l’ingrediente di base: il latte intero  di bufala,  di modo che  tuttalpiú possono  chiamarsi fiordilatte= (formaggio fresco di pasta filata, molle e cruda, prodotto con latte di vacca) ma non mozzarella che etimologicamente è un deverbale di mozzare = troncare in un sol colpo una parte da un tutto,  come avviene nel caso appunto delle mozzarelle che in pezzi di circa 3 etti cadauno vengono troncati (un tempo a mano, oggi anche con l’ausilio di mezzi meccanici),mediante torsione e strappo (mozzatura) da un filone di pasta filata , filone ricavato dalla lavorazione artigianale, con procedure trasmesse di padre in figlio, del  latte intero di bufala.
recotta s.vo f.le = ricotta latticino molle e bianco, che si ottiene facendo bollire il siero di latte rimasto dopo la lavorazione del formaggio | è un uomo di ricotta, (fig.) debole, senza carattere | aver le mani di ricotta, (fig.) lasciar cadere frequentemente le cose che si hanno in mano | avere le gambe di ricotta, (fig.) deboli, che non reggono. Voce deverbale di recocere (cuocere due volte) di cui è part. pass. f.le
‘nzogna s.vo f.le = sugna, struttopreciso súbito che la voce napoletana a margine  che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna con un congruo apice () d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e  sgombriamo  súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa  essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo  passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare   un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza:  inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
bianchetti s.vo m.le = voce regionale plur. di bianchetto (da non confondere con l’omonima sostanza imbiancante, generalmente a base di biacca, che a seconda delle combinazioni può servire come cosmetico, per cancellare errori in testi scritti a macchina o a mano, come prodotto sbiancante per il bucato o per la pulitura di scarpe bianche ecc. ) ;  avannotti di acciughe o sardine appena nati, quasi trasparenti, che assumono un colore bianchiccio anche  dopo la cottura, l’etimo è dal ligure gianchetto  diminutivo di gianco (bianco).
cicenielle = plur. di ciceniello  voce regionale  campana usata per indicare il medesimo novellame (bianchetti)  quanto all’ etimo penso che esso vada cercato piú che nel latino “caecella” = anguillina, come per un certo tempo pensai, ma altrove e cioè che  si tratti  molto probabilmente  di un  diminutivo (eniello/e) derivato dal lat. caec(um)  atteso che il novellame che è molto piccolo si presume cieco.
Staggiona/e  s.vo f.le  letteralmente in napoletano vale estate e non uno  dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l'anno solare (primavera, estate, autunno, inverno) A prima  vista potrebbe sembrare strano il fatto che la parlata napoletana renda il toscano estate con il termine staggione anzi staggiona (correttamente scritto con la doppia  G, come del resto  tutte le parole del  napoletano che terminano in zione,gione parole  che invece il toscano rende con la consonante scempia) riferendo cioè  alla sola estate il generico termine stagione  usato in toscano per indicare uno qualsiasi dei quattro periodi di tempo in cui si è soliti suddivider l’anno e cioè ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l'anno solare; se si esamina però  un po’ piú attentamente dal punto di vista etimologico, la parola stagione (staggiona/e in napoletano) ci si renderà conto che il fatto non è affatto strano, anzi il napoletano  nel definire staggiona  la sola estate, si dimostra alquanto piú preciso della lingua toscana; vediamo infatti che la parola stagione è dal lat. statione(m), propr. 'luogo e/o tempo di sosta', con riferimento alle apparenti soste del sole agli equinozi e ai solstizi; dalla medesima statione(m) latina il napoletano trae la sua staggiona intesa come tempo di sosta e riposo  e quale periodo piú adatto dell’estate per prendersi una sosta o un riposo della fatica?
Di per sé infatti la parola estate dal lat. aestate(m), che in origine significava calore bruciante, come aestus  da collegarsi al greco aíthos= calore,  non richiama alla mente che il solo  caldo fastidioso, non la piacevole sosta del napoletano staggiona. A margine rammenterò i nomi napoletani delle quattro stagioni che sono
vierno s.vo m.le la stagione piú fredda dell'anno; nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo; etimologicamente la voce napoletana è dal tardo lat. (hi)bernu(m) (tempus) 'stagione invernale', dall'agg. hibernus 'invernale';nel napoletano si è avuta la consueta dittongazione della ĕ con alternanza della b→v (cfr. barca→varca – bucca→vocca etc.);
primmavera s.vo f.le  stagione intermedia fra l'inverno e l'estate; nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno, nell'emisfero australe inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre ' etimologicamente la voce napoletana è dal lat. volg. *primavera(m), per il class. primo víre 'sul principio del verdeggiare (riferito alla prima fioritura di alberi e fiori); tipico nel napoletano  il raddoppiamento espressivo della labiale;
autunno s.vo m.le     stagione dell'anno compresa fra l'estate e l'inverno; nell'emisfero boreale inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre; nell'emisfero australe inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno:   etimologicamente la voce napoletana è dal lat. autumnu(m) con assimilazione regressiva n→m.
staggiona/e  s.vo f.le = estate: la stagione piú calda dell'anno; nell'emisfero boreale ha inizio intorno al 21 giugno e termina il 23 settembre; nell'emisfero australe à inizio invece intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo e ne ò già détto ad abundatiam.
Cazone s.vo m.le letteralmente sta per calzone s.m. voce maschilizzata ed  accrescitiva (cfr. suff. one) di calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto'; 1  correttamente da usarsi  al  pl.per indicare  l’indumento, in origine maschile ma oggi diffusissimo anche fra le donne, che copre il tronco dalla vita in giú e le gambe separatamente; pantalone: calzoni corti, lunghi, alla zuava | mettersi i calzoni lunghi;à messo i calzoni (fig.)detto di un ragazzo, diventare grande | farsela nei calzoni, (fig. fam.) avere una gran paura | è la moglie a portare i calzoni, (fig. fam.) a comandare in casa. DIM. calzoncini PEGG. calzonacci
2 ciascuna delle due parti dei calzoni che rivestono le gambe: calzone destro, calzonesinistro
3 (gastr.) ed è il caso che ci occupa:  involucro di pasta di pane, in genere ripieno di mozzarella e prosciutto, che viene fritto o cotto in forno; è tipico di alcune cucine centromeridionali; è proprio in quest’ultima accezione che la voce nap. cazone→calzone è pervenuta nella lingua nazionale.
cicule s.vom.le pl. di ciculo =ciccioli di maiale,  avanzi appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna; dal latino:(ins)cic(i)olu(m) Va da sé che i ciculi piú gustosi siano  quelli residui del napoletano lardiciello che è  il grasso di gola del maiale (altrove détto anche guanciale)  formato da due strati di grasso inframmezzato da uno strato di carne) e non della ‘nzogna ‘mpana(alto strato di solo grasso ricavato dalla pancia o dal fianco della bestia ). Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli in salumeria o, ma meno spesso,  in macelleria si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso e cotenna  provenienti in massima parte dal collo del maiale, opportunamente salati e speziati. Al termine della cottura a vapore il tutto viene  opportunamente pressato in forme metalliche  fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici piú larghi ( circa 50 cm.)  che alti(circa 15 cm) , che raffreddati vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da questa spremitura di carni,  grasso e cotenne viene venduta ugualmente  come condimento sia pure di seconda scelta. Ancóra in tema di sugna ricorderò che un tempo  chi non provvedesse a prepararla in casa liquefacendo i pannicoli di ‘nzogna ‘mpane e/o lardiciello poteva acquistarla dal proprio macellaio di fiducia che sostituendosi alla massaia provvedeva alla bisogna e metteva in vendita la sugna approntata in consistenza di pomata conservata non in vasetto, ma nelle vesciche di maiale: ‘a vessica (dal lat. vesica(m)) ‘e ‘nzogna.che poteva essere acquistata per intera o piú spesso a peso.E qui giunti posso rammentare alcune espressioni tipiche che prendono il via dalla pizza in epigrafe:
 - Fà a uno ‘nzogna e pummarola.
Ad litteram:  fare (cucinare) uno con sugna e pomodoro Icastica espressione  usata per indicare  che si intende maltrattare qualcuno, violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato  fino ad iperbolicamente cucinarlo  in forno dopo averlo schiacciato a dovere come si farebbe  con  una pizza condita, a maggior disdoro, non con il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna  e la classica salsa di pomodoro.
‘a pizza ‘nzogna e pummarola fu, come ò ricordato,  anticamente uno dei piú classici modi di approntare la pizza napoletana  che veniva appunto condita con sugna,  pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno; successivamente, e mi ripeto  il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí condita non ebbe piú il nome di napoletana,  ma divenne â marenara.
-      Chijarsela a libbretta.
-      Letteralmente:piegarsela a mo’ di  libretto.
È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non si possa farlo comodamente seduti al tavolo e si sia costretti a farlo in piedi.In tal caso  si procede alla piegatura in quattro parti della pizza ed il disco prima piegato in due e poi ancóra ripiegato nel verso opposto assume quasi la forma di un piccolo libro di alcuni (quattro) fogli e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento che trattenuto nella ripiegatura, difficilmente deborda . Id est: obtorto collo,far di necessità virtú, sopportare,  far buon viso a cattivo gioco.
E giunto qui faccio punto, scusandomi con qualcuno che si fosse sentito offeso dalle mie esternazioni anti-risorgimentali: ma al cuore non si comanda ed il mio pulsa per i Borbone e la sola vista d’un Savoia(ramo Carignano)mi mette l’orticaria addosso!
Raffaele Bracale


            




  

 



Nessun commento:

Posta un commento