mercoledì 24 aprile 2019

13 LOCUZIONI


13 LOCUZIONI

 1.BBUONO PE SCERIÀ ‘A RAMMA
Ad litteram: buono per soffregare le stoviglie di rame
Un tempo, quando la chimica non aveva ancóra prodotto tutti i detergenti o detersivi che, aiutando la massaia, inquinano il mondo, e quando l’acciaio 18/10
non era entrato ancóra in cucina sotto forma di stoviglie, queste erano di lucente rame opportunamente, per le parti che venivano a contatto con il cibo, ricoperte di  stagno .Per procedere alla pulizia delle stoviglie di rame si usavano  due ingredienti naturali: sabbia ‘e vitrera (sabbia da vetrai, ricca di silice) e limoni ; orbene  quegli agrumi non edibili perché o di sapore eccessivamente aspro o perché carenti di succo, erano destinati allo scopo di pulire e rendere luccicanti le stoviglie; per cui di essi frutti si diceva che erano bbuone pe scerià ‘a ramma. Per traslato, oggi di chi, uomo o cosa, manchi alla sua primaria destinazione, si dice ironicamente che è buono etc. il verbo scerià id est: soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare  da cui  felericare  e poi flericare, donde scericare e  infine scerià tutti con il significato di soffregare.
2.    ACCUNCIARSE QUATT' OVE DINTO A 'NU PIATTO.
Ad litteram:Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...tutte quelle che eccedono sono state sottratte ad altri).
3.    BBUONO P’APARÀ ‘O MASTRILLO
Ad litteram:  buono per armare la trappolina  id est: appena sufficiente a predisporre l’esca di una trappolina. La locuzione si usa nei confronti di qualcosa, soprattutto edibile, che sia cosí parva res  da non poter soddisfare un sia pur modesto appetito, ma appena appena sufficiente a far da esca; per traslato la locuzione è usata nei confronti di tutto ciò che sia  palesemente piccolo e/o modesto.
Mastrillo s.m. = trappolina per topi  dal lat. mustriculu(m).
4.    BENE IN SALUTE E SCARZO A DDENARE
Ad litteram:Bene in salute, ma poco provvisto di danaro.
Spesso  alla semplice, spontanea domanda : “Come state?” fatta da un conoscente incontrato per caso, a Napoli si suole rispondere con la locuzione in epigrafe con la quale ci  si vuol mettere al riparo da eventuali sorprese, volendo quasi dire: “Se la tua domanda è stata fatta con la semplice intenzione di informarti sul mio stato di salute, sappi che sto bene; ma se la domanda era propedeutica ad una richiesta di prestito, sappi allora che le mie condizioni economiche attuali, non mi permettono di fare prestiti o elargizioni; evita perciò  di farmene richiesta!”La locuzione è divenuta col tempo, quasi una frase idiomatica  e viene usata sempre in risposta alla domanda de quo, indipendentemente se esistano o meno   condizioni economiche  precarie.
5.    CACCIÀ ‘E CCARTE
Ad litteram: tirar fuori le carte Non si tratta però, chiaramente di tra fuori da un cassetto le 40 carte di cui è formato il mazzo napoletano di carte da giuoco per principiare una partita.
Si tratta, invece, di procurarsi le necessarie documentazioni burocratiche per avviare una certa pratica o per portarla a compimento.In particolare la locuzione in epigrafe è usata  dai  promessi sposi che, intendendo contrarre il loro matrimonio, devono sobbarcarsi all’impresa di procurarsi  presso uffici pubblici e/o luoghi di culto  le prescritte documentazioni, dette in maniera onnicomprensiva: carte, senza le quali, non è possibile pervenire alla celebrazione delle nozze. Va da sè che quasi tutti i negozi giuridici  necessitano di ineludibili  carte da procacciare  e ciò à dato modo a taluni napoletani, disperatamente senza lavoro, di inventarsi un mestiere: quello di procacciatore di carte; questo utilissimo individuo, per poche lire  si accolla l’onere di fare lunghissime file davanti agli sportelli degli uffici dell’anagrafe pubblica, o si accolla la fatica di raggiungere posti lontani e impervi da raggiungere per procurare al richiedente le carte necessarie.
6.    CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA.
Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Lètta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di grande  offesa.
7.    CADÉ ‘A COPP’Ô PÈRE ‘E PUTRUSINO.
Ad litteram: cadere dalla pianta di prezzemolo; id est ammalarsi  , anche se di affezioni non importanti, ma reiterate; la locuzione è usata soprattutto per commentare lo stato di malferma salute delle persone anziane che son solite  ammalarsi  di piccole affezioni  che, se per la loro non eccessiva virulenza e/o importanza, non destano particolari preoccupazioni, pur tuttavia  son di gran fastidio  per gli anziani che  subiscono tali affezioni  paragonate nella locuzione in epigrafe alle cadute da una pianta di prezzemolo, cadute che poiché avvengono  da una pianta molto bassa non son pericolose, anche se - altrove si consiglia di evitare cadute vasce (cadute basse) in quanto pericolose.
8.    CAMPÀ ANNASCUSO DÔ  PATATERNO.
Ad litteram: Vivere nascondendosi all’ Eterno  Padre; id est: vivere non dando contezza di sè nemmeno al Cielo, quasi di soppiatto, clandestinamente se non addirittura a dispetto ed in barba di tutti gli altri.A Napoli  la locuzione è usata  quando si voglia dare ad intendere  che sia impossibile  conoscere da cosa o chi taluno tragga  i propri mezzi di sostentamento, posto che il suo tenore di vita  eccede  le di lui conclamate possibilità economiche.
9.    CCA NISCIUNO È FFESSO!
Ad litteram: Qui nessuno è sciocco! Affermazione perentoria fatta nei confronti di chi era aduso a ritenere che gli abitanti del Sud dello stivale fossero degli sciocchi, per significare che, invece  era ed è  in errore chi ritenesse o ancóra ritenga vera una  cosa simile .La locuzione, divenuta una sorta di monito, è passata poi a significare:bada che non ci casco, attento ché non riuscirai a prenderti gioco di me,bada bene che son pronto a render pan per focaccia giacché sono tutt’altro che fesso, come chiunque altro viva in questi luoghi.
cca avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua;  etimologicamente dal lat. (ec)cu(m) hac; da notare che in lingua napoletana (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine  va scritto senza alcun segno diacritico  trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; in lingua napoletana esistono , per vero, una cong. ed un pronome ca = (che), pronome e congiunzione  che  però  si rendono con la c iniziale scempia, laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la  c iniziale geminata ( cca)  e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti scrittori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’con un pleonastico erroneo  segno (‘) d’apocope atteso che non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico !

10. CCA SSOTTO NUN CE CHIOVE
Ad litteram: Qui sotto non ci piove
L’espressione (che viene pronunciata usando il dito indice della mano destra tenendolo ben teso puntato contro il palmo rovesciato della mano sinistra) viene usata, a mo’ di risentito avvertimento , nei confronti di chi - dopo di aver promesso un aiuto o una liberalità - sia venuto meno clamorosamente a quanto promesso, nell’intento di fargli capire che non si è piú disposti  a sopportare una simile mancanza di parola data  e, per converso, si è pronti a restituire pan per focaccia; l’espressione talora è usata nelle medesime accezioni della precedente.
11. CE MANCANO DICIANNOVE SORDE P’APPARÀ ‘A LIRA.
Ad litteram:ci mancano (ben) diciannove soldi per raggranellare una lira. Poiché la lira de quo contava venti soldi il fatto che, come affermato in epigrafe, mancassero diciannove soldi, significava che ci si trovava in gran carenza di mezzi  e la locuzione, riferita ad una azione principiata con tal carenza  voleva significare che, con ogni probabilità, non si sarebbe potuto portare a compimento il principiato e che, forse, sarebbe stato piú opportuno il desistere.
12. CE MANCANO  QUATTO LASTE I ‘O LAMPARULO.
Ad litteram: mancano i quattro vetri e il reggimoccolo Locuzione di portata simile alla precedente; in questa, in luogo della lira, il riferimento è fatto ad una ipotetica lanterna che è stata costruita in maniera raffazzonata di talché non è adatta allo scopo per cui è stata costruita  e non potrà produrre vantaggi a chi se ne dovesse servire, posto che essa lanterna manca dei quattro vetri che ne  costituiscono le pareti e manca  addirittura del reggimoccolo centrale: un simile oggetto non potrà mai servire ad illuminare.
13.    CURAGGIO NE TÈNE, MA È ‘A PAURA CA ‘O FOTTE. Ad litteram: à coraggio, ma la paura lo sconfigge.
Ironica locuzione usata per deridere chi, a parole, si dichiari coraggioso, ma poi all’atto pratico si dimostri codardo, pauroso, pavido, timoroso, vigliacco, vile.

Brak

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