MIERCHE, GNASTE & DINTORNI
Questa volta prendo
spunto da una richiesta fattami da
un caro amico, quel G.D.N.,del
quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e
cognome, amico che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie
paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa alle due antiche parole napoletane in epigrafe, voci
che cercherò di illustrare assieme ad altre voci napoletane che ne siano
sinonime, e sono molto contento della
richiesta perché mi darà modo di illustrare alcune parole napoletane antiche e
disusate, ma grandemente icastiche.
Tanto détto, entriamo in medias res parlando della voce
mierco s.vo m.le che al pl. è mierche e che à un ampio ventaglio di significati valendo in primis: suggello,bollo, marcatura, emblema, segno, impronta
e per traslato figurato
cicatrice, marchio.;
la voce (che è attestata anche come s.vo f.le merca nei
medesimi significati) è un denominale del germ. marka =segno. Una volta perdutosi
l’uso di suggellare i documenti con
ceralacca, bolli e marcature, emblemi, segni ed impronte personali onnicomprensivamente détti mierche,
una volta perdutosi quell’uso, il termine mierco venne
usato nel significato traslato di cicatrice, marchio retaggio d’una qualche
ferita d’arma bianca (rammento l’espressione: fà ‘nu mierco a uno = ferirlo lasciandogli cicatrici), o venne
usato in senso meno rovinoso od esiziale per indicare le piccole sbucciature (anche
in assenza di cicatrici) spesso presenti sugli arti o altre parti del
corpo dei bambini adusi ad un comportamento scapestrato, scriteriato,
imprudente, dissennato tale da procurar loro piccoli danni nella persona; (tra
i mierche
piú noti in àmbito puerile vi furono le sbucciature di gomiti e
ginocchia e/o le sciaccate (ferite
prodotte per solito alla testa da un colpo di pietra o di bastone; voce
deverbale del lat. flaccare)ed i bomboloni/bombò (tumefazione prodotta
per solito alla testa da un urto ricevuto o procuratosi scontrandosi
inopinatamente con un corpo condundente; voce d’origine onomatopeica in relazione alla forma bombata della
tumefazione).Con uso quasi gergale il
termine mierco fu dato un tempo lontano
dai giocatori piú vecchi al
pallino del giuoco delle bocce
perché esso indicava appunto il
segno cui accostare le bocce!
gnaste/’nchiaste = s.vi
m.li pl. di gnasto/’nchiasto = in primis empiastro;
poi anche sciocchezza nonnulla, ma
fastidiosa seccante, noiosa, irritante, ed anche persona
petulante; per il vero si tratta d’un unico
sostantivo rappresentato in doppia morfologia di cui la seconda ‘nchiasto
fu quella originaria e di
partenza, mentre l’altra gnasto ne fu e ne è solo un
adattamento del parlato con
1)metatesi accompagnato dal passaggio dalla affricata
palatale sorda (c) alla corrispondente sonora (g) (‘nc→’ng→gn),
2)sincope della consonante diacritica (h) resa inutile dalla
metatesi,
3)semplificazione del
dittongo (ia→a);
etimologicamente
la voce ‘nchiasto (poi gnasto) è una derivazione dal lat. emplastru(m) (marcato sul greco émplastrom)con il seguente
percorso morfologico:emplastrum→(e)mplast(r)u(m)→mplastu(m)→’nchiasto
(con consueto passaggio del gruppo pl a
chi + vocale (cfr. cfr.
platea→chiazza – plus→cchiú – plangere/planctum→chiagnere/chianto –
plenam→chiena etc.) e valse in primis empiastro,fastidio
ed a seguire per traslato piccola
enfiagione,minuscola lividura ed ancóra sempre per traslato soprattutto
come diminutivo ‘nchiastillo/gnastillo
riferito ad oggetto valse cosa da nulla,
sciocchezzuola, mentre riferito a persona di genere maschile bassa di
statura valse omuncolo,omino, nanerottolo; declinato al femminile ‘nchiastella/gnastella
valse donna petulante e fastidiosa; infine sempre nella forma m.le ‘nchiastillo/gnastillo identificò
i nei posticci che le donne e/o i bellimbusti del ‘700 si dipingevano o
applicavano sul viso.
Rammento in coda a tutto ciò che le voci mierche e gnaste/nchiaste usate di conserva valsero (come in una notissima poesia satirica
dedicata a Giacomo Leopardi dal compianto Angelo Manna (Acerra, 8 giugno 1935 –† ivi 11 giugno 2001)) mestizie, cordogli,lutti, pianti, abbattimenti, scontentezze, malumori
etc.
E concludo esaminando i termini che nelle varie accezioni
considerate sono sinonimi delle voci in epigrafe; mierco inteso come suggello,bollo, marcatura, emblema, segno, impronta
oltre la già cennata merca à quali
sinonimi: sinco, schiacco, verzaglio; inteso come cicatrice mierco à quali sinonimi:sfríttula,
tracchia; mentre la voce gnaste/nchiaste nel significato di empiastro,fastidio à quali sinonimi tra i
piú ancóra in uso: afflezzione, apprietto, chiàjeto, fettiglia,sàsina,susta, taluorno,
zucamiento; inteso invece come cosa
da nulla, sciocchezzuola à quali sinonimi tra i piú ancóra in uso: cerenfruscolo,fessaría,
‘gnotula/’gnotularía, jacovella, jacuvella o ghiacovella; inteso infine come enfiagione
lividura à quali sinonimi tra i piú ancóra in uso: bòffa, attentuta, cravúgnolo/gravuognolo/cravuonchio,mulignana,
‘nturzore/’nturzamiento,peròteca, vozza/vozzola.
Prendo in esame tutte le voci e su qualcuna sarà giocoforza ch’io mi soffermi alquanto.
singo/sinco, s.vo m.le segno, marchio, ogni impronta visibile
lasciata da qualcosa; oggetto o figura che serve a distinguere o a indicare; voce
in doppia morfologia( originariamente con l’affricata palatale sonora (g)
e successivamente, nell’uso popolare con
la corrispondente sorda (c))etimologicamente lettura
metatetica del lat. signu(m)
'segno, marchio';
schiacco, s.vo m.le di per sé la voce indicò in
primis un bersaglio di carta, che colpito manteneva un’impronta donde per
metinomia l’impronta stessa, il segno;
etimologicamente deverbale del lat. ex-capulare→ex-caplare=
schiacciare, imprimere;
verzaglio, s.vo m.le
di per sé la voce indicò in primis l'obiettivo da colpire con un'arma obiettivo
che colpito (come per la voce precedente) manteneva un’impronta donde per
metinomia l’impronta stessa, il segno;
etimologicamente dal fr. ant. bersail, che è dal germ. *birson
'andare a caccia' con la consueta alternanza del napoletano b/v (cfr. bocca→vocca – barca→varca –
basiare→vasà etc.);
sfríttula, s.vo f.le
di per sé in primis pezzetto di carne e/o grasso di maiale residuale della
fusione del medesimo grasso per ottenerne la sugna; successivamente nella
morfologia per adattamento popolare di sfrestola,
ferita da taglio, cicatrice da
accostarsi semanticamente alla sfríttula
pezzetto di carne e/o grasso di maiale residuale per il fatto che la cicatrice
presenta un aspetto contorto e grinzoso tal quale le sfríttole dopo la lavorazione; etimologicamente la voce a margine è
un deverbale (p. pass.sfritto
addizionato del suff. dim. ola→ula che continua il lat. olus/ola e che unito ad aggettivi o sostantivi forma
alterati con valore diminutivo o vezzeggiativo) di sfrijere intensivo di frijere
dal lat. frigere;
tracchia, s.vo f.le voce che è dal greco tràchelos= collo, cervice ed
indica in primis un pezzo di carne di maiale, non particolarmente pregiata,una
costina che se di collo è detta tracchia
umida , in quanto piú morbida e succosa, se di costato è detta tracchia asciutta in quanto essendo povera di grasso è meno morbida e succosa;
per accostamento semantico poi la voce valse cicatrice che per solito presenta
un aspetto contorto e grinzoso e con margini non ben definiti tal quale le tracchie che son ricavate con un
taglio approssimativo e non ben definito; la voce a margine fu riferita alla
cicatrice in senso spregiativo specialmente quando le cicatrici fossero quelle
di persone pòvere, sporche e/o male in arnese;
afflezzione, s.vo f.le 1 stato di grande
tristezza e abbattimento;
2 ciò che provoca tormento, angoscia; voce dal lat. afflictione(m) con il tipico raddoppiamento espressivo della l'affricata alveolare sorda (z) come in tutte le voci terminanti in zione precedute da vocali, raddoppiamento espressivo presente altresí in tutte le voci terminanti in gione precedute da vocali, che comporta la geminazione della affricata palatale sonora (g);
2 ciò che provoca tormento, angoscia; voce dal lat. afflictione(m) con il tipico raddoppiamento espressivo della l'affricata alveolare sorda (z) come in tutte le voci terminanti in zione precedute da vocali, raddoppiamento espressivo presente altresí in tutte le voci terminanti in gione precedute da vocali, che comporta la geminazione della affricata palatale sonora (g);
apprietto, s.vo m.le voce usata per indicare in
primis un tipo particolare di fastidiosa lite che è quella derivante da una
sollecitazione noiosa o petulante tipica – come vedemmo altrove – dell’apprettatore
cioè dell’ annoiatore; etimologicamente, come il ricordato apprettatore, anche
l’apprietto è un deverbale del latino adplictare(figuratamente:
ridurre in pieghe; lat.: plecta = piega );al proposito rammenterò che
anche il toscano appretto cioè la miscela chimica usata per dar
particolar forma e consistenza ai tessuti o pellami, piú che al francese apprêt penso debba collegarsi al latino ad-plictare; per ampiamento semantico la voce a margine
vale poi fastidio, atteso che una lite comporta una sensazione di
molestia e di disturbo;
chiàjeto, s.vo m.le è essenzialmente la lite
(accompagnata dal fastidio che ne deriva) tesa a reclamar per sé cose o priorità di atteggiamento davanti a talune
situazioni; a Napoli infatti di chi litigando,
esiga, richieda qualcosa che pensa gli spetti di diritto, s’usa dire, a
mo’ di giustificazione, che se sta
chiajtanno ‘o ssujo :sta reclamando il suo; etimologicamente la parola chiàjeto
viene da un latino medievale: placitu(m) = disputa, lite in attesa di
giudizio; cuntrasto che è
la seccante, noiosa, irritante, sgradevole, spiacevole, fastidiosa lite forte
per contrapposizione anche maschia e dura, resistenza puntigliosa; etimologicamente dal basso latino contra +stare = star di contro, porsi di
fronte;
fettiglia, s.vo f.le noia, seccatura, grattacapo, impiccio, bega, molestia, portata quasi di lontano a mo’ di strale; la parola
usata piú spesso al plurale fettiglie è
da collegarsi etimologicamente al verbo latino figere, verbo che diede il termine fictilia da cui il
napoletano fettiglie usato nella gustosissima espressione partenopea senza figlie, senza fettiglie= chi non à
figli(maschi o femmine che siano)non à fastidi..., ma – aggiungo io – neppure
soddisfazioni o gioie; alle medesime fettiglie
come già alibi dissi ma qui
ribadisco penso sia da collegarsi il
verbo napoletano fettiare verbo che un
tempo serví ad identificare un’azione ben precisa: quella di sogguardare
insistentemente una persona o anche solo un quid, in maniera però concupiscente
fino a determinare fastidio nella persona guardata; in particolare i
giovanotti che si fossero messi sulle
piste di un’avvenente ragazza insistentemente, negli anni tra il 1950 ed il
1960, se la fettiavano fino a che la
ragazza infastidita, o non cedeva alle non dichiarate, ma chiaramente
sottintese avances o non chiamasse a
propria difesa un fratello, un cugino, un fidato amico che convinceva con le
buone o le tristi il disturbatore esortato a fettiare
altrove. Il verbo veniva usato anche nei riguardi di cose
desiderate, ma – per mancanza di soldi – mai conquistate; a mo’ d’es. diremo
che in quegli anni se fettiavano
un abito, un paio di scarpe, una cravatta, o anche l’intera vetrina di una
pasticceria o trattoria;
sàsina, s.vo f.le voce
ampiamente desueta che valse in primis sequestro
dei beni; poi per ampiamento semantico
seccatura,grattacapo,persecuzione; etimologicamente derivata dal
fr. saisie=pignoramento con epentesi
eufonica della consonante nasale dentale (n);
susta, s.vo f.le
molestia inveterata ed assidua tale da spingere ad una reazione, anche violenta,
il/i molestato/i. la parola è un deverbale di sustà che è dal latino suscitare→sus(ci)tare→sustà= eccitare;
taluorno, s.vo m.le lamento reiterato, ripetizione noiosa, canto fastidioso;
etimologicamente taluorno non
deriva come improvvidamente e fantasiosamente
pensò qualcuno (D’Ascoli) da un
inesistente latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella
lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente
esclusa (manca persino nel Pianegiani, ma non nel D.E.I.!) nei correnti ed accreditati lessici della
lingua italiana; tale latorno (etimologicamente
deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento
reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una
tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve) la voce
latorno divenne latuorno
sia in area calabro-lucana che in
area pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle
prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus 'messo a
capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che
piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani,
veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza
ancóra sopravvive in alcune aree
mediterranee europee; scherzosamente la
voce prefica è usata poi anche per
indicare una persona che si lamenti per
nulla; ,il lamento funebre, nelle aree
soprindicate è detto anche riépeto/liépeto
che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi; riépeto o liépeto s.vo m.le sono un’unica voce con due grafie leggermente
diverse cioè con la tipica
alternanza/dissimilazione partenopea
delle liquide r/l etimologicamente
risultano essere deverbali di repetà,
che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o
le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente
all’etimo di taluorno si possa
finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno
indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente
atto noioso e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto
all’etimo- messo da parte il fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno.
zucamiento, s.vo m.le
la molesta tipica d’un molestatore che
assale il molestato quasi con la riprovevole foga di volergli suggere l’anima o i succhi vitali; deverbale
di zucà =succhiare che è dal latino sucus; il piú noioso di tali molestatori
détti zucature fu un tempo il cosiddétto zucafistole (succhiapiaghe)
personaggio, peraltro veramente esistente in antichi ospedali napoletani dove
si assumeva il compito di depurare, mediante suzione/aspirazione, del pus
esistente, le piaghe di taluni malati, operazione necessaria, ma pur sempre
fastidiosa!Figurarsi poi quando il fastidio non porti almeno il beneficio della depurazione!
cerenfruscolo, s.vo m.le
voce desueta, ma registrata da tutti i calepini d’antan nel significato primo
di bagattella, minuzia, sciocchezza e per estensione ed ampliamento
semantico, in quello di bizzarría,
stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i
lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio; il
cerfoglio in nap. cerefuoglio indica oltre che la pianta delle ombrellifere
anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta ed ancóra
i vezzi, le moine, le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson
ricondursi alle bizzarríe,alle stranezze bizzose nonché alle minuzie e/o
sciocchezze;
fessaría,
s.vo f.le che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa
tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff.
astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale
femminile esterno) ( part. pass. del
verbo latino findere) dalla fessaría
(da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo). Faccio notare qui la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando
una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría
vien cioè trasformata in fessería) forse nella
sciocca convinzione che la vocale chiusa E
sia piú consona dell’aperta A alla
elegante (?!) lingua di Alighieri Dante, Manzoni(Imbonati?) Alessandro…etc.In
ogni caso con la voce fesso
(dell’italiano e del napoletano)
derivato
attraverso il sign. del femm. fessa
dell'Italia merid., pop. si indica
l’imbecille, lo sciocco quello
cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse
etc. Rammento talune espressioni
popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê
fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare
il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il
temerario. Scherz si indica
lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al
lat. fissu(m),
part. pass. di findere 'fendere');
‘gnotula/’gnotularía,
s.vo f.le bagattella, minuzia, nonnulla, quisquilia. cosa di poco conto ed ancóra
estensivamente sciocchezza, stupidaggine,
azione non chiara ed inutile etc.
voce dalla doppia morfologia, ma dall’identico significato; etimologicamente
nella prima forma ‘gnotula è dal lat. ignotus→(i)gnot(us)→’gnotula
con influenza del lat. inutilis addizionato del suffisso diminutivo neutro
plurale, poi inteso femminile ula;
nella seconda forma all’iniziale ‘gnotula è stato aggiunto il suffisso
tonico aría suffisso corrispondente
al lat. –arius/aria, che forma aggettivi e sostantivi, derivati dal
latino o formati direttamente in italiano e/o napoletano , che stabiliscono una
relazione;
jacovella, jacuvella o
ghiacovella, s.vo f.le Le
parole in esame sono tre
rappresentazioni morfologiche leggermente diverse di un’ unica voce, termine antichissimo, presente fin dal sec.
XIV e ss., già preso in esame e contenuto nell’ Elenco di parole napoletane
(primo modesto tentativo di dar vita ad un vocabolario della lingua
napoletana), elenco che Colantonio Stigliola (Nola1548 -†Napoli1623)
mise in appendice alla sua versione in
napoletano dell’ Eneide.
Pur essendo antichissimo, il termine non è però desueto ed
ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato
principalmente sia nell’ alta Irpinia
che nel napoletano. Amplissimo il ventaglio dei significati che partendo dal comportamento
superficiale, cosa poco seria,modo di agire che genera confusione,
inconcludenti tira e molla, giungono all’
intrigo, pretesto, banale astuzia,
sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo
di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il
vocabolo che sto esaminando fu usato anche per indicare dispettucci da innamorati,
vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quegli stessi che – come vedemmo
alibi – erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle;
piú spesso comunque la jacovella, jacuvella o
ghiacovella indicò la trama,
l’intrigo, la gherminella piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca,
semplicistica.
Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella,
questa volta devo dissentire da quanto proposto dall’ amico il dotto avv.to
Renato de Falco, attivissimo (ad
ottant’anni suonati!) esperto di cose
napoletane il quale per la voce in
esame, rifiutando altre piú accolte e
convincenti etimologie, ipotizza una culla latina, chiamando in causa uno
strano jaculum= dardo dandone però
una connessione semantica a jacovella
che mi pare troppo inconferente se non pretestuosa…
Non so come sia accaduto, ma questa volta reputo che l’amico
Renato – solitamente preciso ricercatore – sia stato un po’ superficiale e si
sia lasciato sfuggire che la parola jacovella/ jacuvella/ ghiacovella nacque in ambito
teatral-marionettistico per identificare le gherminelle, le azioni sceniche di
un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo id est
Giacomo che poi altro non era che
l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale colà si
soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste
entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni
furono le jacovelle jacuvelle o,
con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon
prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo
di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si
trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato
indossato dai contadini.
Non so cosa abbia spinto Renato de Falco a scartare
l’ipotesi Jacovo e a proporre il latino jaculum.
Ma è rimasto solo!
F. D’Ascoli, C.
Jandolo e recentemente M. Cortelazzo propendono in coro ,ed indegnamente io con
loro, per una degradazione semantica del nome proprio Giacomo – Jacovo.
bòffa attentuta, s.vo
f.le addizionato di agg.vo; rigonfiamento scuro, tumefazione illividita,
gonfiore bluastro retaggio d’ un colpo ricevuto con un corpo
contundente;etimologicamente la voce boffa
è d’origine onomatopeica, mentre l’agg.vo attentuta è voce verbale(p.pass. f.le aggettivato di attentà= tinteggiare di bruno denominale
di ténta=tinta,colore);
cravúgnolo/gravuognolo/cravuonchio s.vo m.le dalla triplice morfologia, ma identico significato.
Cosí nel napoletano vengono indicati foruncoli, un bitorzoli, sporgenze,
pustolette presenti in genere sul volto di persone il piú delle volte giovani; foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette talora
lividi o di colore bruno; à/ànno derivazione da carbunculus diminutivo di carbo/onis; debbo ritenere quindi che “graungelo” o “gravungelo”attestate in Castelvolturno nei medesimi significati
siano adattamenti locali delle voci
che ò indicato.
s.vo m.le
mulignana, s.vo f.le
= indica in primis la melanzana, pianta
erbacea largamente coltivata per i frutti commestibili di forma oblunga o
ovoidale, con buccia violacea lucente e polpa amarognola; la voce (per
accostamento semantico al colore bluastro/violaceo del frutto) è usato per
indicare una lividura,una contusione,un’ecchimosi; etimologicamente è voce
dall’arabo badingian incrociato
con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi melign(i)ana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e s’ebbe petonciano o
petronciano.
la voce melanzana fu
talvolta ritenuta, ma impropriamente
derivata da mela+ insana in quanto
ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia
‘nturzore/’nturzamiento s.vi
m.li tumefazione, turgescenza, turgore,tumescenza,tumidezza spesso di color
bruno; ambedue i sostantivi sono deverbali di ‘nturzà/’nturzare=gonfiare(denominale del lat. tardo in→(i)n→’n+tursu(m), per il class. thyrsu(m)= torso umano la cui morfologia richiama il
senso della tumidezza;
peròteca, s.vo f.le
letteralmente infiammazione che
colpisce mani e piedi accompagnata da manifestazioni di enfiagioni illividite;per estensione generica enfiagione; etimologicamente la
voce è stata ricavata per bisticcio/incrocio del s.vo père= piede con il tardo lat. parotĭda = parotide, la piú
voluminosa delle ghiandole salivari, a struttura acinosa, situata tra il
condotto uditivo esterno e il ramo montante della mandibola, ghiandola talora
soggetta ad infiammazione e tumefazione;
vozza/vozzola, s.vo f.le in
primis vistosa tumefazione, rigonfiamento nella parte anteriore del collo,
dovuta all'ingrossamento della tiroide, gozzo; per traslato
(fam.) gola, stomaco di una persona: regnerse ‘a vozzola(riempirsi il gozzo), mangiare esageratamente | tené coccosa dint’â vozza(aver qualcosa nel gozzo), (fig.)
non riuscire a mandar giú un'offesa, un affronto o a tollerare qualcosa di
sgradito | me sta ‘ncopp’â vozza ( mi sta
sul gozzo), (fig.) si dice di cosa o persona che non si
sopporta | nun tenerse niente dint’â
vozza (non tenere nulla nel gozzo),
(fig.) dire tutto quello che si à da dire; la voce a margine nella
doppia morfologia (la seconda non è che una sorta di diminutivo della prima
attraverso l’aggiunta del suff. ola che continua il lat. olus/ola e che unito ad aggettivi o sostantivi forma
alterati con valore diminutivo o vezzeggiativo) la voce a margine, dicevo,
nella doppia morfologia è un derivato del lat. tardo gargăla «trachea», da una radice *garg- assai
diffusa in lingue romanze e in altre lingue indoeuropee antiche: da
gargăla→gargozza donde (gar)gozza→gozza→vozza con la tipica alternanza partenopea di g
e v
o v
e g/c
(cfr. volpe/golpe, vunnella/gunnella, vongola←concula –gallo/vallo – vappa→guappo etc.).
E con questo penso proprio d’avere esaurito l’argomento e
d’avere contentato l’amico G.D.N., ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro
lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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