giovedì 9 maggio 2019

SPANNE ‘STI PPENNE E PPO VALL’ÂRRECUCCHIÀ


SPANNE ‘STI PPENNE E PPO VALL’ÂRRECUCCHIÀ
Mi è stato chiesto, via e-mail,  dal  caro amico A. A. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per illustrare significato, portata ed origine della locuzione in epigrafe.
Mi sbrigo  súbito dicendogli che si tratta di un’icastica, datata locuzione, di origine contadina, trasmigrata nella  città bassa  a far tempo dal 1764 circa,nel periodo del passaggio dei Padri Passionisti, come predicatori e missionari della parola della Croce, ovunque, nelle piccole o grandi città dove si recavano a  predicare  in uno   o più gruppi  di missionari passionisti per evangelizzare, per dare conforto e speranza, per riavviare un processo di impegno pastorale, spesso segnato dalla stanchezza o dall’abitudine, oppure potenziare il cammino spirituale e apostolico delle singole parrocchie o di intere città e vi portavano con l’esempio prima e con la parola poi la catechesi sistematica a tutte le ore, l’amministrazione del sacramento della riconciliazione, di incontri pastorali per gruppi o per categorie di persone, di visita agli ammalati, di visite pastorali alle famiglie del territorio servendosi nel loro eloquio, anche di aneddoti o raccontini semplici ed istruttivi che esemplificassero quanto anche in confessione venivano dicendo ai penitenti. Nella fattistispecie dell’espressione in esame, da rendersi ad litteram: “Spargi queste penne e poi va’ a raccoglierle!” che si usa per significare quanto sia difficile porre riparo ad una maldicenza profferita, che – una volta uscita dalla bocca di un diffamatore è quasi impossibile fermare nel suo espandersi, cosí  come le penne sparse in giro – non possono essere piú raccolte, per cui è buona norma morale oltre che civica astenersi da qualsivoglia calunnia che si sa donde parte, ma non dove può giungere. L’aneddoto sotteso all’icastica locuzione si riferisce alla penitenza che un confessore impose ad una sua penitente, una contadina che s’era accusata di aver spettegolato ingiustamente di una sua vicina di casolare: Il confessore le impose come penitenza di spiumare un’oca e di spargerne le penne all’aperto dell’aia, cercando súbito dopo di recuperarle senza che nessuna sfuggisse alla raccolta. Si narra che la contadina non vi riuscisse e tornata, piú pentita che mai dal confessore,  solo piangendo calde lacrime ottenne che la penitenza fosse mutata in offerta di cibo e danaro per il convento.
  Ârrecucchià  voce verbale  tr.       Inf. raccogliere,raccorre, recuperare, riprendere.Eimologicamente: intensivo di accucchià attraverso Ad + r + copul-are > arrecopplare>arrecocchià/arrecucchià.
 E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. A.  ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale

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