IPOTESI SULLA CANZONE MICHELEMMÀ (& dintorni.)
Come
è riportato da tutti i testi  di storia
della CANZONE NAPOLETANA, la composizione 
rammentata in epigrafe, chiaramente di autori  ignoti, si fa risalire al 1600 circa
prendendo a spunto la citazione contenuta nel testo che fa riferimento alle
prime invasioni di turchi.
Salto
a pié pari la nota querelle intorno al falso operato da Salvatore Di Giacomo
che tentò pedestremente di far risalire la composizione di questa notissima
tarantella       all’estro di Salvator Rosa e mi soffermo
proprio sul titolo: MICHELEMMÀ. 
Cosa
vorrà mai dire Michelemmà?
La
domanda non à una risposta univoca o ovvia avendo il detto termine suscitato
varie ipotesi; la piú accreditata è che MICHELEMMÀ significhi: Michela
è mia; ma recentemente alcuni autori come il compianto Max Vajro, il
vulcanico  Salvatore Palomba, sulla scia
del ricercatore  Gaetano Amalfi,
ipotizzano che la parola sia un intercalare del tipo Michela e ba un  intercalare modellato  sullo schema di ‘o mare e ba presente in
altre canzoni partenopee.
Non
condivido né l’una, né l’altra opinione: la prima  perché un nome chiaramente maschile
(Michele)lo trasforma, ma non si capisce 
per quale ragione o strada semantica in uno femminile (Michela) ed
arbitrariamente fa divenire un MA,MIA 
con una capriola non  spiegabile;
Ugualmente
non percorribile mi appare l’opinione piú nuova che oltre a continuare con
l’equivoco del maschile fatto femminile fa un vero salto mortale trasformando
un MA
in un BA. ancora piú fantasioso,ma non comprovabile, del MIA
della prima ipotesi. 
E
allora?
Allora
bisogna armarsi di pazienza e seguirmi in un ragionamento.
Innanzi
tutto occorrerà rammentare che il termine MICHELE nel linguaggio napoletano non
indica solamente un nome proprio di persona, ma è usato anche come aggettivo
sostantivato di grado positivo nel significato di sciocco, tontolone e si usa
dire eufemisticamente in luogo del becero far
fesso (ingannare), far michele. La
ragione della degradazione semantica del nome proprio Michele a quello di
aggettivo nel significato di sciocco, tontolone è da ricercarsi nel fatto che
nel sec. XVII i soldati di fanteria leggera dell'esercito spagnolo, ritenuti
inetti, incapaci, incompetenti, inesperti, incapaci, buoni a nulla oltre
che tonti, stupidi,
idioti etc. furono detti micheletti  quale traduzione dello sp. miquelete,
perché originariamente  reclutati nel
distretto pirenaico di San Miguel de Cuxa; da micheletto a michele (aggettivo)
il passo è breve.  
Nel
linguaggio familiare poi tale accezione è usata dai genitori  quasi a mo’ di scherno affettuoso nei
confronti dei propri figliuoli, quando vogliono scherzare con loro ed in luogo
di dire: ‘o fesso mio, lo scemo mio, dicono, ma
affettuosamente: ‘o michele mio.
Ciò
premesso, dirò che ad un attento esame di tutta la canzone si può
ragionevolmente pensare che si tratti di un racconto che una mamma stia facendo
al proprio figliolo.
Se
ci poniamo in tale ottica possiamo giungere 
ad una conclusione che senza stravolgere il sesso della persona chiamata
in causa e senza capriole semantiche, ci può condurre a dire che MICHELEMMÀ
possa essere una corruzione trascrittoria o del cantato  di un ipotizzabile originario michele ‘e ma’ (michele di mamma)
corrottosi nel corso del tempo in michelemmà, trasformando la
preposizione ‘e (di) nella congiunzione e  che comportò la geminazione della successiva
consonante nasale bilabiale (m).
Ipotizzo
cioè che ci sia stata una mamma  che,
stringendo tra le braccia un suo bambino 
cui per scherzo ed affetto dava bonariamente  dello sciocco (michele), gli raccontava la favola della nascita  di un’isola (ISCHIA?)ricoperta di fronzuta
vegetazione (scarola) e che  su  tale
isola sbarcassero Turchi (Saraceni) e se la disputassero  chi per conquistarne il monte (la cimma), chi per impadronirsi della
spiaggia (lo streppone) .
Questa
ipotesi poggia sul fatto accertato che una delle versioni piú accreditate del
testo sia quella raccolta  proprio da
Gaetano Amalfi in Serrara d’Ischia , che è località situata nel cuore
dell’isola verde e ben   potrebbe essere quella stella Diana portata
‘mpietto proprio come riportato nel testo della canzone. 
Del
resto nelle canzoni napoletane non è 
unico il caso della colpevole trasformazione (per sciatteria,
impreparazione e pressappochismo) della preposizione  ‘e (de) = di, nella congiunzione e;
rammento infatti  che come l’ipotizzato
Michele ‘e ma (Michele di mamma) fu stravolto e trasformato in Michelemmà,
interpretando l’ ‘e(di) come la congiunzione e, cosí in un’altra
famosissima canzone: Fenesta vascia datata 1500 non c’è cantante (anche famoso
o famosissimo come  Sergio Bruni, Massimo
Ranieri, Roberto Murolo etc.)  che non
legga frettolosamente male e colpevolmente stravolga la lettera ed il senso del
primo verso della canzone facendo diventare Fenesta
vascia e ppadrona crudele (finestra bassa e padrona crudele) quello che in
origine è Fenesta vascia ‘e padrona
crudele (finestra bassa di  padrona
crudele)…, né sciattamente nessuno di essi si rende conto che se il verso fósse
Fenesta vascia e ppadrona crudele (finestra
bassa e padrona crudele) non potrebbero proseguire cantando quanta suspire m’aje fatto jettare, ma
dovrebbero render plurale la voce verbale e trasformare aje in ate
atteso che Fenesta vascia e ppadrona
crudele  sostanzierebbero un soggetto
plurale che esigerebbe il verbo coniugato al plurale!
E
transeat per i cantanti defunti, ma quelli in vita potrebbero e dovrebbero  emendarsi dell’errore e tornare a cantare
esattamente Fenesta vascia ‘e padrona
crudele (finestra bassa di padrona crudele) evitando altresí il
raddoppiamento della consonante occlusiva bilabiale sorda iniziale p di
padrona raddoppiamento esatto dalla congiunzione e, ma non dalla
preposizione ‘e. Hoc est in votis!
                                                 
Raffaele Bracale
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