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16
ESPRESSIONI
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1.'A
sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: :(Voi)Di
sotto (attenti) ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una
narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano:
accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che
demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali
cadute di panconcelli(chiancarelle)le piú o meno sottili assi trasversali di
legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano
olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze. Al proposito a
Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo
di F. Solimena,che costruito nel 1738 su commissione del
marchese di Poppano Nicola Moscati un
palazzo [noto poi con il nome di ‘o
palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto
appunto lo spagnolo , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di
Spagna] nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques
Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un
bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello
stabile, aggiunse a lettere cubitali LEVÀTEVE 'A SOTTO (toglietevi di
sotto! ).
Chiancarelle s.vo f.le diminutivo pl. di chiancarella =pancocello, asse
di legno (dal lat. planca + il
suff. diminutivo ella ed epentesi di una erre eufonica; normale il passaggio
in napoletano del gruppo lat. pl a chi come ad es. plus→cchiú –
plangere→chiagnere – plumbeum→chiummo).
Dal
s.vo lat. planca (=asse di legno)
deriva anche il nap. chianca =macelleria, rivendita al
minuto di carni e ciò perché anticamentela carne veniva sezionata ed esposta
al publico su di un’asse di legno.
|
2. A 'stu nunno sulo 'o càntero/càntaro è nicessario.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo
mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente
necessarii alla buona riuscita dell'esistenza; la sola cosa che conta è
nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola càntero - oggetto
destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la
buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è
avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che le parolecàntero/càntaro
non à l'esatto corrispettivo in
italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato
ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il càntero/càntaro era
destinato ad accogliere quelli solidi.
càntaro o càntero s.vo m.le =alto e
vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente
sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce
càntero o càntaro è dal basso latino càntàru(m) a sua volta dal greco kàntàros;
rammenterò ora di non confondere le voci a margine con un’altra voce
partenopea
cantàro (che è dall’arabo
quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è
voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale
misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca
n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che
(il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia
richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la
faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè:
meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che
è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo
(càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
|
3.Sparterse
'a cammisa 'e Cristo.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí
a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie
porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che
spogliato Cristo sul Golgota , divisero in piú parti la sola tunica di cui
era ricoperto il Signore.
|
4.Essere
aurio 'e chiazza e tribbulo 'e casa.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e
lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in
piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico,
mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche
immotivato.
aurio s.vo neutro a. atteggiamento cordiale,
augurale, beneaugurante; voce derivata dal lat. au(gu)riu(m)
'presagio';
chiazza
s.vo f.le = piazza, ampio spazio urbano contornato da edifici
nel quale confluiscono piú strade; la voce napoletana è dal lat. platea(m)
'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio,
largo'; da platea(m)→platía→chiazza con normale passaggio di pl a chi (cfr. plus→cchiú
–plumbeum→chiummo etc.) e raddoppiamento espressivo della z da tia→za→zza.
tribbulo s.vo neutro =
tribolo, 1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.)
pruno, rovo, sterpo; 2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici
provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare
l'avanzata della cavalleria
3 (fig.) ed è il caso che i occupa tormento, preoccupazione,
angustia.; voce che è dal
lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino' con raddoppiamento
espressivo della esplosiva labiale;
casa s.vo f.le = casa,
abitazione,edificio a uno o piú piani, suddiviso in vani e adibito ad
abitazione; l'appartamento in cui una famiglia dimora; voce che è dal lat.
casa(m) propriamente casa rustica: quella padronale era la domus.
|
5.Avenno,
putenno, pavanno.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana
locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a
tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un
debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la
soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il
potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio
della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito;
ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
|
6.Ammèsurate
'a palla!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura
preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in
grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti
stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te
delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con
diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto
dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di
esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
|
7. A
-Appennere 'a giacchetta.
B -
Appennere 'o cazone.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone.
Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma
quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello
sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di
lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per
lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche
di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è
intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato piú grave la
locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una
vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del
calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
|
8.Â
bbona 'e Ddio!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci
assista Dio. È l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa
affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad
litteram l'augurio “A la buena de Dios”
che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle
àncore.
|
9. Scuntà
a ffierre 'e puteca.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id
est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di
lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati
nella propria bottega.
|
10.Paré
'o carro 'e Battaglino.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id
est: essere simile ad un famoso carro che veniva usato a Napoli per una
processione votiva della sera del sabato santo, processione promossa dalla
Cappella della SS. Concezione a Montecalvario. Detta Cappella era stata
fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino; sul carro che dal nobile prese
il nome, era portata in processione l'immagine della Madonna accompagnata da
un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di detto carro, ogni mezzo di
locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori si dice che sembra il
carro di Battaglino.
|
11. Fattélla
cu chi è mmeglio 'e te e fance 'e spese.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e
sopportane le spese. Il proverbio compendia la massima comportamentale
secondo la quale le amicizie vanno scelte nell'ambito di persone che siano
migliori di se stessi, soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna
coltivare questo tipo di amicizia anche se esso tipo comporta il doverci
rimettere economicamente parlando.
|
12.I'
faccio pertose e tu gaveglie.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id
est: io faccio buchi e tu sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La
locuzione è usata anche profferendone la sola prima parte, lasciando
sottointenderne la seconda quando si voglia redarguire qualcuno che si
adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un altro e lo faccia non per
ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il bastone tra le ruote
altrui.
pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile
pertuso (dal t. lat. *petrusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl.
masch. pertusi/e ma viene usato per
indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o
segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro
tipo di buco;
gaveglie= cavicchi, stecchi (di
legno) s.vo f.le pl. di gaveglia (dal t. lat. *cavicla per il class. clavicula).
|
13. 'A
musica giappunese.
La musica giapponese. Cosí i napoletani - abituati
a ben altre armoniche melodie - sogliono definire quelle accozzaglie di suoni
e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la musica ànno
ben poco da spartire. Quando ancora esisteva la magnifica festa di
Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti
di ragazzi che producevano una dissonante musica ( che fu détta: musica
giapponese) servendosi di particolari strumenti musicali quali: scetavajasse,
triccabballacche, zerrizzerre e putipú.
|
14.Te
faccio sentí Muntevergine cu tutt''e castagne spezzate.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con
accompagnamento delle castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si
promette una violenta reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul
ricordo della gita fuori porta fatta il lunedí dell' angelo allorché interi
quartieri solevano recarsi al santuario di Montevergine su carrozze trainate
da cavalli bardati a festa. Il ritorno verso la città avveniva in una
sarabanda di suoni e di canti corali portati allo strepito anche per i fumi
dei vini consumati in gran copia; il vino era consumato per accompagnare il
consumo di castagne secche ed infornate che erano vendute confezionate come
grani di collane di spago che ogni cavallo si portava al collo come
abbellimento.
|
15.Fà
scennere 'na cosa dê ccoglie 'Abramo.
Letteralmente: far discendere una cosa dai
testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido
commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere
al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il
quid richiesto sia di difficile ottenimento stante la augusta provenienza.
|
16.Canta
ca te faje canonico!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id
est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare
l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni
da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di
prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della
Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso
elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
Brak
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16
ESPRESSIONI
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1.'A
sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: :(Voi)Di
sotto (attenti) ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una
narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano:
accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che
demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali
cadute di panconcelli(chiancarelle)le piú o meno sottili assi trasversali di
legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano
olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze. Al proposito a
Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo
di F. Solimena,che costruito nel 1738 su commissione del
marchese di Poppano Nicola Moscati un
palazzo [noto poi con il nome di ‘o
palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto
appunto lo spagnolo , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di
Spagna] nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques
Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un
bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello
stabile, aggiunse a lettere cubitali LEVÀTEVE 'A SOTTO (toglietevi di
sotto! ).
Chiancarelle s.vo f.le diminutivo pl. di chiancarella =pancocello, asse
di legno (dal lat. planca + il
suff. diminutivo ella ed epentesi di una erre eufonica; normale il passaggio
in napoletano del gruppo lat. pl a chi come ad es. plus→cchiú –
plangere→chiagnere – plumbeum→chiummo).
Dal
s.vo lat. planca (=asse di legno)
deriva anche il nap. chianca =macelleria, rivendita al
minuto di carni e ciò perché anticamentela carne veniva sezionata ed esposta
al publico su di un’asse di legno.
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2. A 'stu nunno sulo 'o càntero/càntaro è nicessario.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo
mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente
necessarii alla buona riuscita dell'esistenza; la sola cosa che conta è
nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola càntero - oggetto
destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la
buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è
avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che le parolecàntero/càntaro
non à l'esatto corrispettivo in
italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato
ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il càntero/càntaro era
destinato ad accogliere quelli solidi.
càntaro o càntero s.vo m.le =alto e
vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente
sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce
càntero o càntaro è dal basso latino càntàru(m) a sua volta dal greco kàntàros;
rammenterò ora di non confondere le voci a margine con un’altra voce
partenopea
cantàro (che è dall’arabo
quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è
voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale
misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca
n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che
(il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia
richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la
faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè:
meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che
è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo
(càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
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3.Sparterse
'a cammisa 'e Cristo.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí
a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie
porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che
spogliato Cristo sul Golgota , divisero in piú parti la sola tunica di cui
era ricoperto il Signore.
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4.Essere
aurio 'e chiazza e tribbulo 'e casa.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e
lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in
piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico,
mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche
immotivato.
aurio s.vo neutro a. atteggiamento cordiale,
augurale, beneaugurante; voce derivata dal lat. au(gu)riu(m)
'presagio';
chiazza
s.vo f.le = piazza, ampio spazio urbano contornato da edifici
nel quale confluiscono piú strade; la voce napoletana è dal lat. platea(m)
'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio,
largo'; da platea(m)→platía→chiazza con normale passaggio di pl a chi (cfr. plus→cchiú
–plumbeum→chiummo etc.) e raddoppiamento espressivo della z da tia→za→zza.
tribbulo s.vo neutro =
tribolo, 1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.)
pruno, rovo, sterpo; 2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici
provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare
l'avanzata della cavalleria
3 (fig.) ed è il caso che i occupa tormento, preoccupazione,
angustia.; voce che è dal
lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino' con raddoppiamento
espressivo della esplosiva labiale;
casa s.vo f.le = casa,
abitazione,edificio a uno o piú piani, suddiviso in vani e adibito ad
abitazione; l'appartamento in cui una famiglia dimora; voce che è dal lat.
casa(m) propriamente casa rustica: quella padronale era la domus.
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5.Avenno,
putenno, pavanno.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana
locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a
tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un
debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la
soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il
potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio
della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito;
ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
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6.Ammèsurate
'a palla!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura
preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in
grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti
stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te
delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con
diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto
dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di
esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
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7. A
-Appennere 'a giacchetta.
B -
Appennere 'o cazone.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone.
Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma
quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello
sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di
lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per
lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche
di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è
intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato piú grave la
locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una
vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del
calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
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8.Â
bbona 'e Ddio!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci
assista Dio. È l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa
affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad
litteram l'augurio “A la buena de Dios”
che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle
àncore.
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9. Scuntà
a ffierre 'e puteca.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id
est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di
lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati
nella propria bottega.
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10.Paré
'o carro 'e Battaglino.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id
est: essere simile ad un famoso carro che veniva usato a Napoli per una
processione votiva della sera del sabato santo, processione promossa dalla
Cappella della SS. Concezione a Montecalvario. Detta Cappella era stata
fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino; sul carro che dal nobile prese
il nome, era portata in processione l'immagine della Madonna accompagnata da
un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di detto carro, ogni mezzo di
locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori si dice che sembra il
carro di Battaglino.
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11. Fattélla
cu chi è mmeglio 'e te e fance 'e spese.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e
sopportane le spese. Il proverbio compendia la massima comportamentale
secondo la quale le amicizie vanno scelte nell'ambito di persone che siano
migliori di se stessi, soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna
coltivare questo tipo di amicizia anche se esso tipo comporta il doverci
rimettere economicamente parlando.
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12.I'
faccio pertose e tu gaveglie.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id
est: io faccio buchi e tu sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La
locuzione è usata anche profferendone la sola prima parte, lasciando
sottointenderne la seconda quando si voglia redarguire qualcuno che si
adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un altro e lo faccia non per
ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il bastone tra le ruote
altrui.
pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile
pertuso (dal t. lat. *petrusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl.
masch. pertusi/e ma viene usato per
indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o
segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro
tipo di buco;
gaveglie= cavicchi, stecchi (di
legno) s.vo f.le pl. di gaveglia (dal t. lat. *cavicla per il class. clavicula).
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13. 'A
musica giappunese.
La musica giapponese. Cosí i napoletani - abituati
a ben altre armoniche melodie - sogliono definire quelle accozzaglie di suoni
e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la musica ànno
ben poco da spartire. Quando ancora esisteva la magnifica festa di
Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti
di ragazzi che producevano una dissonante musica ( che fu détta: musica
giapponese) servendosi di particolari strumenti musicali quali: scetavajasse,
triccabballacche, zerrizzerre e putipú.
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14.Te
faccio sentí Muntevergine cu tutt''e castagne spezzate.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con
accompagnamento delle castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si
promette una violenta reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul
ricordo della gita fuori porta fatta il lunedí dell' angelo allorché interi
quartieri solevano recarsi al santuario di Montevergine su carrozze trainate
da cavalli bardati a festa. Il ritorno verso la città avveniva in una
sarabanda di suoni e di canti corali portati allo strepito anche per i fumi
dei vini consumati in gran copia; il vino era consumato per accompagnare il
consumo di castagne secche ed infornate che erano vendute confezionate come
grani di collane di spago che ogni cavallo si portava al collo come
abbellimento.
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15.Fà
scennere 'na cosa dê ccoglie 'Abramo.
Letteralmente: far discendere una cosa dai
testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido
commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere
al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il
quid richiesto sia di difficile ottenimento stante la augusta provenienza.
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16.Canta
ca te faje canonico!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id
est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare
l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni
da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di
prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della
Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso
elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
Brak
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ESPRESSIONI
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1.'A
sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: :(Voi)Di
sotto (attenti) ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una
narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano:
accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che
demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali
cadute di panconcelli(chiancarelle)le piú o meno sottili assi trasversali di
legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano
olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze. Al proposito a
Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo
di F. Solimena,che costruito nel 1738 su commissione del
marchese di Poppano Nicola Moscati un
palazzo [noto poi con il nome di ‘o
palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto
appunto lo spagnolo , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di
Spagna] nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques
Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un
bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello
stabile, aggiunse a lettere cubitali LEVÀTEVE 'A SOTTO (toglietevi di
sotto! ).
Chiancarelle s.vo f.le diminutivo pl. di chiancarella =pancocello, asse
di legno (dal lat. planca + il
suff. diminutivo ella ed epentesi di una erre eufonica; normale il passaggio
in napoletano del gruppo lat. pl a chi come ad es. plus→cchiú –
plangere→chiagnere – plumbeum→chiummo).
Dal
s.vo lat. planca (=asse di legno)
deriva anche il nap. chianca =macelleria, rivendita al
minuto di carni e ciò perché anticamentela carne veniva sezionata ed esposta
al publico su di un’asse di legno.
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2. A 'stu nunno sulo 'o càntero/càntaro è nicessario.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo
mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente
necessarii alla buona riuscita dell'esistenza; la sola cosa che conta è
nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola càntero - oggetto
destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la
buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è
avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che le parolecàntero/càntaro
non à l'esatto corrispettivo in
italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato
ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il càntero/càntaro era
destinato ad accogliere quelli solidi.
càntaro o càntero s.vo m.le =alto e
vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente
sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce
càntero o càntaro è dal basso latino càntàru(m) a sua volta dal greco kàntàros;
rammenterò ora di non confondere le voci a margine con un’altra voce
partenopea
cantàro (che è dall’arabo
quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è
voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale
misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca
n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che
(il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia
richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la
faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè:
meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che
è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo
(càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
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3.Sparterse
'a cammisa 'e Cristo.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí
a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie
porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che
spogliato Cristo sul Golgota , divisero in piú parti la sola tunica di cui
era ricoperto il Signore.
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4.Essere
aurio 'e chiazza e tribbulo 'e casa.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e
lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in
piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico,
mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche
immotivato.
aurio s.vo neutro a. atteggiamento cordiale,
augurale, beneaugurante; voce derivata dal lat. au(gu)riu(m)
'presagio';
chiazza
s.vo f.le = piazza, ampio spazio urbano contornato da edifici
nel quale confluiscono piú strade; la voce napoletana è dal lat. platea(m)
'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio,
largo'; da platea(m)→platía→chiazza con normale passaggio di pl a chi (cfr. plus→cchiú
–plumbeum→chiummo etc.) e raddoppiamento espressivo della z da tia→za→zza.
tribbulo s.vo neutro =
tribolo, 1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.)
pruno, rovo, sterpo; 2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici
provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare
l'avanzata della cavalleria
3 (fig.) ed è il caso che i occupa tormento, preoccupazione,
angustia.; voce che è dal
lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino' con raddoppiamento
espressivo della esplosiva labiale;
casa s.vo f.le = casa,
abitazione,edificio a uno o piú piani, suddiviso in vani e adibito ad
abitazione; l'appartamento in cui una famiglia dimora; voce che è dal lat.
casa(m) propriamente casa rustica: quella padronale era la domus.
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5.Avenno,
putenno, pavanno.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana
locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a
tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un
debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la
soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il
potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio
della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito;
ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
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6.Ammèsurate
'a palla!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura
preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in
grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti
stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te
delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con
diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto
dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di
esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
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7. A
-Appennere 'a giacchetta.
B -
Appennere 'o cazone.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone.
Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma
quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello
sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di
lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per
lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche
di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è
intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato piú grave la
locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una
vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del
calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
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8.Â
bbona 'e Ddio!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci
assista Dio. È l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa
affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad
litteram l'augurio “A la buena de Dios”
che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle
àncore.
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9. Scuntà
a ffierre 'e puteca.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id
est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di
lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati
nella propria bottega.
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10.Paré
'o carro 'e Battaglino.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id
est: essere simile ad un famoso carro che veniva usato a Napoli per una
processione votiva della sera del sabato santo, processione promossa dalla
Cappella della SS. Concezione a Montecalvario. Detta Cappella era stata
fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino; sul carro che dal nobile prese
il nome, era portata in processione l'immagine della Madonna accompagnata da
un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di detto carro, ogni mezzo di
locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori si dice che sembra il
carro di Battaglino.
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11. Fattélla
cu chi è mmeglio 'e te e fance 'e spese.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e
sopportane le spese. Il proverbio compendia la massima comportamentale
secondo la quale le amicizie vanno scelte nell'ambito di persone che siano
migliori di se stessi, soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna
coltivare questo tipo di amicizia anche se esso tipo comporta il doverci
rimettere economicamente parlando.
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12.I'
faccio pertose e tu gaveglie.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id
est: io faccio buchi e tu sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La
locuzione è usata anche profferendone la sola prima parte, lasciando
sottointenderne la seconda quando si voglia redarguire qualcuno che si
adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un altro e lo faccia non per
ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il bastone tra le ruote
altrui.
pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile
pertuso (dal t. lat. *petrusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl.
masch. pertusi/e ma viene usato per
indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o
segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro
tipo di buco;
gaveglie= cavicchi, stecchi (di
legno) s.vo f.le pl. di gaveglia (dal t. lat. *cavicla per il class. clavicula).
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13. 'A
musica giappunese.
La musica giapponese. Cosí i napoletani - abituati
a ben altre armoniche melodie - sogliono definire quelle accozzaglie di suoni
e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la musica ànno
ben poco da spartire. Quando ancora esisteva la magnifica festa di
Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti
di ragazzi che producevano una dissonante musica ( che fu détta: musica
giapponese) servendosi di particolari strumenti musicali quali: scetavajasse,
triccabballacche, zerrizzerre e putipú.
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14.Te
faccio sentí Muntevergine cu tutt''e castagne spezzate.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con
accompagnamento delle castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si
promette una violenta reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul
ricordo della gita fuori porta fatta il lunedí dell' angelo allorché interi
quartieri solevano recarsi al santuario di Montevergine su carrozze trainate
da cavalli bardati a festa. Il ritorno verso la città avveniva in una
sarabanda di suoni e di canti corali portati allo strepito anche per i fumi
dei vini consumati in gran copia; il vino era consumato per accompagnare il
consumo di castagne secche ed infornate che erano vendute confezionate come
grani di collane di spago che ogni cavallo si portava al collo come
abbellimento.
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15.Fà
scennere 'na cosa dê ccoglie 'Abramo.
Letteralmente: far discendere una cosa dai
testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido
commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere
al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il
quid richiesto sia di difficile ottenimento stante la augusta provenienza.
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16.Canta
ca te faje canonico!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id
est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare
l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni
da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di
prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della
Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso
elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
Brak
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