IL VERBO METTERE E LA SUA FRASEOLOGIA
parte prima.
Questa volta, prendendo spunto dall’antica locuzione
METTERE o MENÀ ‘O
VELLÍCULO Ô FFUOCO
è stato il caro amico P. G. (i consueti problemi di
riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)
a chiedermi via e-mail di
chiarirgli significato e portata
delle espressioni partenopee costruite
con il verbo METTERE .
Mi accingo alla bisogna elencando dapprima le espressioni cosí come mi
sovvengono per poi esaminarle analiticamente:
1- Mettere o menà
‘o vellículo ô ffuoco.
2 – Mettere ‘o ppepe ‘nculo â zoccola.
3 – Mettere ‘a capa a ffà bbene.
4 – Mettere’a coppa.
5 – Mettere ‘a lengua ‘int’ô ppulito.
6 – Mettere ‘a supponta.
7 – Mettere ‘a vammacia ‘mmocca.
8 – Mettere campanielle ‘ncann’â gatta.
9 – Mettere carne a ccocere.
10 – Mettere mane.
11 - Mettere mane ê fierre oppure Mettere mane â tela.
12 – Mettere mane â sacca.
13 - Mettere ‘e mmane ‘nnanze.
14 - Mettere recchie p’’e pertose.
15 - Mettere ll’uoglio ‘a copp’ô peretto.
16 - Mettere ‘mpuzature.
17 - Mettere ‘na pezza a cculore.
18 - Mettere ‘na pezza arza.
19 – Mettere puteca.
20 – Mettere spia.
21 – Mettere ‘ncalannario .
22 – Mettere nciuce.
23 – Mettere prete ‘e ponta.
24 – Mettere tenna.
25 – Mettere a uno ‘ncopp’a ‘nu puorco.
26 – Mettere ‘o ssale ‘ncopp’â códa/córa.
27 – Metterse ‘e casa e pputeca.
28 – Metterse ‘e ddete ‘nculo e caccià ‘anielle.
29 – Metterse ‘a lengua
‘nculo.
30 – Metterse ‘mmiezo.
31 – Metterselo dint’ ê chiocche.
32 – Metterse pavura.
33 – Metterse ‘nu cienzo ‘ncuollo.
34 – Metterse scuorno.
35 – Metterse ‘o cappotto ‘e lignammo.
36 – Mettere ‘a si-loca arreto.
37 - Miettele nomme
penna!
38 - Metterse cu ‘a panza e ccu ‘o penziero.
Prima di
principiare l’esame analitico delle locuzioni diciamo súbito che il verbo
mettere à nel napoletano varie accezioni, quali
disporre, collocare, porre (anche fig.) indossare, vestire etc. ed è
voce dal lat. mittere 'mandare' e
poi 'porre, mettere'.
E veniamo all’analisi delle locuzioni:
1- Mettere o menà
‘o vellículo ô ffuoco.
Letteralmente: Mettere o buttare l’ombelico ( piú
esattamente il cordone ombelicale) al fuoco. Antica espressione partenopea
risalente addirittura al ‘600 (attestata nel Cortese, Basile, Trinchera ed
altri, con la quale si era e si è soliti
riferirsi all’atteggiamento da
profittatore di chi, non invitato,
faceva o fa in modo di appalesarsi in
casa di amici e/o semplici conoscenti in occasione di una qualche ricorrenza o festività per partecipare ad una
approntata festa, comportante distribuzione, spesso abbondante , di cibi e
bevande; oppure appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di
scroccare un invito alla tavola imbandita, invito in uso tra i napoletani
che non lesinano a nessuno un pasto o una libagione.Di chi, non
espressamente invitato, si comportasse
in modo di trovarsi presente all’ora dei desinari, scroccando l’invito a tavola
si diceva e si dice che aveva miso o
aveva menato ‘o velliculo ô ffuoco! L’espressione nacque allorché, in tempi
andati, le donne partorivano in casa
assistite da una o piú levatrici dette
mammàne oppure meno opportunamente (e qui di sèguito chiarirò)vammane Costoro una volta che la puerpera aveva
partorito erano use tagliare il cordone ombelicale del bambino o bambina nato/a
e buttare, con intento augurale, nel fuoco del braciere o del focolare il pezzo
di cordone tagliato. A questa funzione seguiva un immediato festeggiamento con
ampia distribuzione di cibo e bevande, festeggiamento cui partecipavano oltre i
genitori ed i parenti prossimi del neonato o neonata, la/le mammana/e e tutti
coloro che, invitati o no, fossero
intervenuti al rito della ustione
del cordone ombelicale. Dalla imitazione di
questa situazione nacque il modo di dire di cui all’epigrafe riferita a
tutti coloro che profittassero di una ricorrenza o festività per partecipare
senza invito ad una approntata festa,
comportante distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; oppure riferita a
tutti coloro che avessero l’abitudine di
presentarsi, senza preventivamente annunciarsi, in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di
scroccare un invito alla tavola imbandita. Tutto quanto qui detto è da riferirsi espressamente al cittadino
privato che approfitti di una situazione festevole per parteciparvi e
satollarsi di cibo o bevande. Per indicare il medesimo atteggiamento da
profittatore tenuto inizialmente non da
comuni cittadini. ma da militari a Napoli fu in uso un tempo l’espressione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare
l’alabarda id est: scroccare, profittare
a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che
viene tuttora usata quando si voglia
commentare il violento atteggiamento di chi
vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati
favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis, al tempo
del viceregno spagnolo (1503 e ss.) i
soldati iberici, di stanza in quelli che poi sarebbero stati chiamati quartieri
(spagnoli) a monte della strada di Toledo,
erano usi aggirarsi all’ora dei
pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove
annusavano odore di cibarie approntate, lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver
conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a
tavola per consumare a scrocco i pasti. Da questa abitudine prese vita la locuzione
appujià ‘a libbarda (poggiare
l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda
che valse dapprima : scroccare, profittare a spese altrui di un pasto e poi estensivamente profittare di una qualsivoglia situazione opportuna per conseguirne risultati favorevoli Si tratta dunque di espressione dal
significato un po’ piú esteso di quella in epigrafe che è invece usata piú
limitatamente per commentare
l’atteggiamento di chi ottenga, contendandosene,beneficî molto circoscritti (quali cibi e bevande elargiti
durante un festeggiamento).
menà verbo trans. =
buttare, sospingere dentro o fuori
ed anche, ma meno comunemente, trascorrere, passare, vivere ed
estensivamente assestare, dare con forza, picchiare; l’etimo è dal tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli
animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce';
velliculo s.vo m.le = letteralmente ombelico, ma nella fattispecie solo una parte
di esso e cioè il cordone ombelicale
quello che una volta che sia reciso
lascia un mozzicone che opportunamente legato e ripiegato verso l’interno forma
il vero e proprio ombelico;l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone,
ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della
prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca
barca→varca etc.), il raddoppiamento
espressivo della liquida nella sillaba
li→lli e l’aggiunta di un suffisso diminutivo ulo/olo← olus.
vammana/ mammana
s.vo f.le= levatrice, donna esperta che assiste le partorienti; per il vero nel
parlato comune popolare la voce usata per indicare la levatrice e cioè colei
che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto è mammàna con derivazione da un
lat. volgare *mammàna(m); la voce vammana ( pur derivata dalla medesima voce
del lat. volgare *mammàna(m)) ma con forma dissimilata nella cons. d’avvio che
da mammàna passa a vammana è usata, nel
parlato comune popolare, non per indicare una vera e propria levatrice che
assiste la puerpera e ne raccoglie il parto, ma per significare, in senso dispregiativo, quelle
praticone, prive di adeguata preparazione, ma non di esperienza, aduse ad esercitare pratiche
abortive clandestine (spesso servendosi di mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).Che si tratti di termine
dispregiativo è dimostrato dal fatto che già anticamente (cfr. Basile) la voce
vammana era usata quale epiteto.
appujià = verbo tr. 1in primis appoggiare, poggiare, avvicinare una cosa a un'altra che la
sorregga, 2(fig.) aiutare, favorire; sostenere;
l’etimo della voce napoletana, cosí come della corrispondente
dell’italiano è dal lat. volg. *appodiare, deriv. del greco pódion
'piedistallo' ma nel verbo napoletano è avvenuta la chiusura della tonica ó
→u, ed in luogo della dentale d
che è caduta s’è adottato il suono di transizione j
parte seconda.
2 – Mettere ‘o ppepe ‘nculo â zoccola.
Letteralmente:introdurre pepe nell’ano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro.
Quando ancora ci si serviva in primis,
come mezzo di trasporto, delle navi , capitava che sui bastimenti
mercantili, assieme alle merci, attratti dalle granaglie, solcassero i mari grossi topi ( in napoletano
zoccole
al sg zoccola dal lat. sorcula diminutivo di sorex), che
facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti
indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un
paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie
e poi le liberavano. Esse, quasi
impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con
le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare
che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli
ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per
sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una
disputa,si diverte e gode ad attizzare
il fuoco della discussione fra terzi...
3 – Mettere ‘a capa a ffà bbene
Letteralmente:porre
il capo a fare bene; id est: decidersi ad agire
secondo i dettami della correttezza tenendo un comportamento retto giusto, idoneo, ortodosso, regolare che non offra
appigli per reprimende, rimbrotti,
sgridate, strigliate, rampogne. Locuzione usata con riferimento a chi adulto o
che non lo sia ancóra
abbia finalmente dismesso il comportarsi
da spensierato e non agendo piú con leggerezza, sventatamente e/o superficialmente si sia risoluto a mettersi
sulla strada della serietà per
operare con responsabilità, affidabilità, impegno, scrupolosità,
coscienziosità, coscienza.
4 – Mettere ’a coppa
Letteralmente:mettere
[a chiacchiere]al di sopra. Détto sarcasticamente di chi millantatore e vuoto
parolaio decanti, ma senza alcun riscontro pratico, la sua vanagloriosa superiorità
nell’àmbito del sapere, dell’essere o dell’avere sull’universo mondo, sparandola piú grossa nell’intento di farsi
apprezzare per quel che non è.
‘a
coppa/ ‘ncoppa prep. impr. ed avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su,
sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò
che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare
qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare
tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa
come prep.
come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con
riferimento a cose che sono a contatto): ‘o
telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il
telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa);
saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a
quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà
ncoppa a ‘nu nummero( giocare
sopra un numero); t’ ‘o ggiuro
ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro
sull’anima di mio padre) giurare
sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge
l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â
tavula(stendere la tovaglia sopra la
tavola); tené ‘nu maglione
‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le
spalle); metterse ‘o cappotto
‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto
sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
- agg.vo invar. superiore (anche preceduto da di):’o rigo ‘e coppa; ‘o piano ‘e coppa( la riga di sopra; il piano di sopra)
s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): ‘a coppa è de plastica (il (di) sopra è di plastica.)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
- agg.vo invar. superiore (anche preceduto da di):’o rigo ‘e coppa; ‘o piano ‘e coppa( la riga di sopra; il piano di sopra)
s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): ‘a coppa è de plastica (il (di) sopra è di plastica.)
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato
da un in→’n illativo e coppa
dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è
dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a
coppa = da/di sopra deriva dalla
medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque
quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi
della preposizione da→’a.
5 – Mettere ‘a
lengua ‘int’ô ppulito. Letteralmente: Mettere la
lingua nel pulito. Locuzione di doppia valenza; strictu sensu è usata in
riferimento a chi pur non essendo di elevata condizione sociale, per adeguarsi
all’ambiente che fortuitamente frequenti, tenta, sforzandosi, di non usare l’eloquio dialettale e di usare la lingua nazionale pur non
essendovi avvezzo con risultati non sempre adeguati; con intento di dileggio è sarcasticamente usata in riferimento a chi
parli con affettata ricercatezza scegliendo un’elocuzione artefatta,
artificiosa, studiata esprimendosi con raffinatezza inusuale e perciò goffa
risultando tutt’ altro che elegante,
ricercato, raffinato.Albi, di costui si dice altresí
che “parla
cu
‘o sciò-sciommo”
espressione intraducibile ad
litteram che viene ancóra usata per canzonare il risibile modo affettato e falsamente
raffinato dell'incolto che
pensando erroneamente di esprimersi in corretto toscano, in realtà si esprime
in modo ridicolo e falso con un
idioma che scimmiotta solamente la
lingua di Dante, risultando spesso piú simile ad una lingua francese malamente
appresa però, della quale vengon colti essenzialmente molti fonemi intesi come
sci (←ch); da tale suono è stato tratto l’onomatopeico sciommo che reiterato nella prima parte (sciò) à dato lo sciò-sciommo inteso
sostantivo neutro.
ppulito s.vo astratto, neutro ciò
che è oppure è inteso netto, decente, decoroso, dignitoso, conveniente ed
anche fine, raffinato, distinto,
signorile, chic, ricercato; voce deverbale del lat. pōlire→pulire;
trattandosi di
voce astratta è voce neutra ed esige [se preceduto dall’art. neutro ‘o
(il/lo)oppure dalla crasi ô (al/allo)]il raddoppiamento della consonante
d’avvio (p) indipendentemente dal fatto che in napoletano la
consonante occlusiva bilabiale sorda (p) e quella sonora (b) vengono costantemente
raddoppiate quale sia il posto che occupino nella parola.
6 – Mettere ‘a supponta Letteralmente: Apporre un puntello. Locuzione
anch’essa di doppia valenza; se usata nel senso pratico fa riferimento al
propizio intervento di chi fornisca il bisognoso di un piccolo asciolvere che
faccia da temporaneo rincalzo del vuoto
stomaco che reclami
un sostegno, rinforzo, appoggio,
supporto per lenire i morsi della fame; se usata in senso traslato con la locuzione in esame ci si riferisce al fatto che ad un neonato
sia stato imposto il nome di suo nonno che avrà – hoc est in votis – nel
nipotino un bastone della propria
vecchiaia.
supponta s.vo f.le = 1 in primis
puntello,supporto ausilio; 2 per estensione appoggio, base, collaborazione, assistenza. voce deverbale del lat. sub-punctare frequentativo di sub-pungere.
7 – Mettere ‘a vammacia ‘mmocca Letteralmente:mettere l’ovatta
in bocca. Locuzione richiamante in primis
un’antica, ma deprecabile
abitudine usata nei confronti dei defunti, abitudine che, a censurabili fini
estetici,prevedeva che ad un trapassato
emaciato una volta che fósse stato privato di probabili protesi dentarie, venisse
riempita la bocca con voluminosa ovatta per modo che il soggetto apparisse piú florido; la locuzione è usata
altresí a
dileggio di chi – benché vivo e vegeto – sia in cosí
tanto cattive condizioni fisiche, da farlo apparire in tutto simile ad
un macilento,scavato,
scarno defunto e
quasi sia d’uopo che gli si riempia la bocca d’ovatta.
vammacia s.vo f.le = bambagia, ovatta, cascame della filatura del cotone, nell'uso comune, cotone a fiocchi, non filato; voce dal lat. bambagiu(m),
dal gr. pámbax -akos 'cotone' con risoluzione della prima
b in v (cfr. bucca-m→vocca, barca-m→varca etc.)ed assimilazione regressiva della seconda b assimilata
alla antecedente m ed infine
passaggio dell'affricata palatale sonora
(g)
alla corrispondente affricata palatale sorda (c).
‘mmocca = nella bocca; voce formata dall’asgglutinazione
[in posizione protetica] della preposizione in
con il s.vo f.le bocca (dal lat. bucca-m)
seguendo la norma che vuole che quando la preposizione in diventa
proclitica di una parola che inizia con
una consonamte labiale esplosiva: p o b, perde la i d’avvio
sostituita dal segno (‘) dell’aferesi e muta la enne che diventa emme,spingendo
talvolta all’assimilazione progressiva
la consonante d’avvio come ad es. nel caso di in+ bocca→ ‘mbocca → ‘mmocca.
8 – Mettere campanielle ‘ncann’â gatta Letteralmente:Porre dei
campanelli alla gola del gatto.Locuzione usata per riferire l’atteggiamento riprovevole di chi
si diverta a propalare notizie riservate per il solo gusto di nuocere al
prossimo, o a diffondere voci infondate
seminando zizzania e ciò nell’intento di
farsi notare attirando l’altrui attenzione sulla propria persona.
Ricordo
che altri (e per tutti l’Altamura)leggono la locuzione nel significato di: suscitare in chi non li avrebbe, sospetti ,
dubbi o diffidenze e giustificano questa lettura riallacciandola ad una
favola d’Esopo e/o La Fontaine sul gatto
ed i topi che benché anelassero a
volerlo fornire di sonagli per essere tenuti sull’avviso del suo accostarsi,
non trovarono tra di essi il coraggioso che lo facesse. Ora, a mio avviso,se si
eccettua il tenue richiamo a campanelli ed al gatto non esistono altri punti di contatto tra la menzionata favola ed
i significati della locuzione sia che
venga lètta cosí come ò riportato, sia che si
prenda per buona l’altra lettura; in ogni caso la locuzione mi pare che nulla abbia a che spartire con la favola d’Esopo e/o La
Fontaine .
- ‘ncanna= in gola espressione usata
sia in senso reale come nel caso di funa
‘ncanna= corda alla gola – annuzzà ‘ncanna= soffocare per non riuscire a
deglutire un boccone di cibo finito per traverso oppure in senso figurato
come nel caso dell’rdpressione “'o sanco saglie 'ncanna e tt'affoca” (la parentela può soffocarti)[cfr. alibi]
oppure in senso metaforico restà ‘ncanna= restare in gola détto di
ciò a cui non sia pervenuti e/o non si
sia potuto conseguire; ‘ncanna
è: in+canna→(i)ncanna→’ncanna; (canna deriva dal
latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale
della gola); l’altra voce usata per indicare propriamente il canale della gola
il gorgozzúle (dall'ant. gorgozzo o gorgozza, che è dal lat.
volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’) è cannarone palesemente accrescitivo della
pregressa canna; cannarone tuttavia non dovrebbe indicare la trachea (dal
lat. tardo trachia(m), dal gr. trachêia (artìría), propr. '(arteria)
ruvida', f. sost. dell'agg. trachys 'ruvido', perché al tatto risultano
sensibili i passaggi fra un anello cartilagineo e l'altro) che è poi l’organo dell'apparato respiratorio
a forma di tubo, costituito da una serie di anelli cartilaginei, compreso fra
la laringe e i bronchi, organo cui si fa riferimento con il napoletano canna; cannarone è usato infatti soprattutto nelle espressioni in cui
occorra sottolineare una pretesa vastità del tratto del tubo digerente che va
dalla faringe allo stomaco, cioè
dell’esofago (dal gr. oisophágos, comp. di óisein
'portare, trasportare' e phaghêin 'mangiare') di chi ingurgiti molto
cibo e lo faccia voracemente; possiamo perciò dire che in napoletano – contrariamente
da ciò che ritengono i piú avvezzi a far d’ogni erba un fascio, la voce canna corrisponde alla trachea mentre il cannarone è l’esofago.
A margine rammenterò che nell’uso
del parlato soprattutto provinciale e/o dell’entroterra accanto al termine cannarone ne esistono altri
due da esso derivati e che ne
sono una sorta di dispregiativo e sono: cannaruozzo
e cannaruozzolo; il suffisso ozzo/uozzo di matrice tardo latino volgare fu usato per
indicare (cfr. Rohlfs G.S.D.L.I.E S.D.
sub 1040 )qualcosa di rozzo, grossolano, contadinesco e dunque di pertinenza di
voci dispregiative; tuttavia nel caso di cannaruozzolo
ci troviamo in presenza di una sorta di divertente ossimoro determinato dall’aggiunta d’un
suffisso diminutivo olus→olo ad un
termine accrescitivo e dispregiativo come cannaruozzo
(che in origine è cannar(one)+uozzo).
â preposizione
art. = alla; â è la crasi (forma contratta) di a+ ‘a (a+ la), come alibi ô è crasi di a + ‘o (a+ il/lo) e vale al/ allo, come alibi
ê è crasi di a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) e vale ai/a
gli oppure alle.
9 – Mettere ata carne a ccocere Letteralmente: Porre altra carne a cuocere. Détto del deplorevole
modo di agire di chi provi piacere a dar
motivo, destro, occasione, opportunità di
discussioni, dispute e litigi, sobillando ed istigando e fornendo materia di contesa a persone i cui
rapporti siano già esacerbati. Nella lingua nazionale è in uso un analogo, ma
meno icastico “mettere legna al fuoco”.
carne/carna s.vo
f.le
1 nel corpo dell'uomo e degli animali vertebrati, la parte costituita dai muscoli tené poca carna ‘ncuollo avere poca carne addosso, essere piuttosto magro; essere ‘ncarne essere (bene) in carne, essere ben nutrito, florido | carna viva carne viva, quella che rimane scoperta, senza la protezione della pelle, in seguito a una ferita o a una bruciatura | carne toste, mosce carnisode, flaccide, con riferimento all'aspetto esteriore del corpo di una persona | ‘ncarne e ossa in carne ed ossa, in persona: sî pproprio tu ‘ncarne e ossa? sei proprio tu, in carne ed ossa?! | ‘a propria carna la propria carne, (fig.) i figli, i congiunti
2 (estens. lett.) corpo umano; persona| carne ‘e maciello, ‘e cannone carne da macello, da cannone, soldati mandati allo sbaraglio | carna vattiata carne battezzata, i cristiani | ‘a resurrezzione d’ ‘a carna la resurrezione della carne, (teol.) la ricostituzione dei corpi dopo il giudizio universale
3 (fig.) l'essere umano considerato nella sua corporalità (si contrappone ad anima, spirito): ‘e piacere, ‘e debbulezze, ‘e tentazzione d’a carna 5i piaceri, le debolezze, le tentazioni della carne | essere fatto ‘e carne e d’ossaessere (fatto) di carne e ossa, avere le esigenze, i limiti e le debolezze proprie della natura umana
4 parte degli animali, spec. dei mammiferi d'allevamento, costituita soprattutto dal tessuto muscolare e adiposo, che viene usata come alimento dell'uomo;
1 nel corpo dell'uomo e degli animali vertebrati, la parte costituita dai muscoli tené poca carna ‘ncuollo avere poca carne addosso, essere piuttosto magro; essere ‘ncarne essere (bene) in carne, essere ben nutrito, florido | carna viva carne viva, quella che rimane scoperta, senza la protezione della pelle, in seguito a una ferita o a una bruciatura | carne toste, mosce carnisode, flaccide, con riferimento all'aspetto esteriore del corpo di una persona | ‘ncarne e ossa in carne ed ossa, in persona: sî pproprio tu ‘ncarne e ossa? sei proprio tu, in carne ed ossa?! | ‘a propria carna la propria carne, (fig.) i figli, i congiunti
2 (estens. lett.) corpo umano; persona| carne ‘e maciello, ‘e cannone carne da macello, da cannone, soldati mandati allo sbaraglio | carna vattiata carne battezzata, i cristiani | ‘a resurrezzione d’ ‘a carna la resurrezione della carne, (teol.) la ricostituzione dei corpi dopo il giudizio universale
3 (fig.) l'essere umano considerato nella sua corporalità (si contrappone ad anima, spirito): ‘e piacere, ‘e debbulezze, ‘e tentazzione d’a carna 5i piaceri, le debolezze, le tentazioni della carne | essere fatto ‘e carne e d’ossaessere (fatto) di carne e ossa, avere le esigenze, i limiti e le debolezze proprie della natura umana
4 parte degli animali, spec. dei mammiferi d'allevamento, costituita soprattutto dal tessuto muscolare e adiposo, che viene usata come alimento dell'uomo;
voce dal lat. carne-m
cocere, v. tr. [ dal lat. *cŏcĕre per il class. cŏquĕre] 1 sottoporre al calore del fuoco gli
alimenti per renderli mangiabili e digeribili, o sostanze quali vetro, argilla
ecc. per renderle adatte a determinati usi:cocere ‘a carne, ‘a pasta; cocere ô
furno/tiesto, dint’â tiellaa ffuoco miccio (cuocere la carne, la
pasta; cuocere al forno, in padella; cuocere a fuoco lento)
2 bruciare, ustionare; per estens., seccare, inaridire: teste ‘e vasenicola cotte dô sole (piante di basilico cotte dal sole)
3 (fig. non com.) far innamorare: ll’ à fatto cocere primma ‘e lle dicere ‘e sí (lo à lasciato cuocere prima di dirgli di sí) ||| v. intr. [aus. essere]
1 essere sottoposto a cottura: ‘a menesta sta cucenno (la minestra sta cuocendo)
2 seccare, inaridire, ‘e tteste coceno sott’ô sole (le piante inaridiscono sotto il sole)
3 scottare, esser febbricitante :’stu guaglione coce (questo ragazzo scotta)
2 bruciare, ustionare; per estens., seccare, inaridire: teste ‘e vasenicola cotte dô sole (piante di basilico cotte dal sole)
3 (fig. non com.) far innamorare: ll’ à fatto cocere primma ‘e lle dicere ‘e sí (lo à lasciato cuocere prima di dirgli di sí) ||| v. intr. [aus. essere]
1 essere sottoposto a cottura: ‘a menesta sta cucenno (la minestra sta cuocendo)
2 seccare, inaridire, ‘e tteste coceno sott’ô sole (le piante inaridiscono sotto il sole)
3 scottare, esser febbricitante :’stu guaglione coce (questo ragazzo scotta)
4 (fig.) procurare offesa,
umiliazione: chell’offesa ll’ è cuciuto
assaje quella offesa gli è cociuto
molto ||| cuocersi v. intr. pron.
1 pervenire a cottura: ‘a carne nun s’ è cuciuta bbuono (la carne non si è cotta bene)
2 bruciarsi, scottarsi: cocerse ô sole (cuocersi al sole) '
1 pervenire a cottura: ‘a carne nun s’ è cuciuta bbuono (la carne non si è cotta bene)
2 bruciarsi, scottarsi: cocerse ô sole (cuocersi al sole) '
3 (fig.
non com.) innamorarsi, tormentarsi,
affliggersi, provare dispetto.
10 – Mettere mane Letteralmente: Porre mano; id
est: principiare (alcunché).Espressione generica usata in riferimento a chi,
presa una decisione, le dia continuità
pratica affrontando una qualsivoglia attività con la dovuta solerzia; va da sé
che con la locuzione non si intenda
restringere il campo alla mera manualità, ma pur se si accenna alle mani, si intende comprendervi quanto altro necessiti di spirito, di intelligenza,
di attenzione etc. per il conseguimento dell’opera intrapresa.
11 - Mettere mane ê fierre oppure Mettere mane â tela. Letteralmente: Porre mani ai ferri oppure Porre mani alla tela
Espressione analoga alla precedente, ma piú circostanziata. Nel caso in
esame si fa riferimento all’attività di
chi dà principio ad una attività di tipo artigianale; la prima riguarda l’attività di un artiere: fabbro, meccanico, falegname
e simili, attività per le quali occorre munirsi di adeguati arnesi da lavoro,
qui genericamente détti ferri; la seconda
riguarda l’attività del sarto o
del tessitore attività per le quali occorre
lavorare stoffe, fodere o tessuti
onnicomprensivamente détti tela.
fierre s.vo m.le pl. del sg. fierro = ferro, utensile, arnese per il lavoro voce dal lat. fĕrru-m→fierro; voce da non confondere con il s.vo neutro fierro = ferro,
minerale elemento chimico di simbolo Fe; è un metallo grigio-argenteo, tenero,
duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran
numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità. La
voce neutra comporta , se preceduta dall’art. neutro ‘o oppure
dalla prep, art. ô,
il raddoppiamento della consonante d’avvio (es.: ‘o ffierro – vattere cu ‘o
martiello ‘ncopp’ô ffierro
caudo[il ferro –picchiare con il martello sul ferro caldo]) mentre la voce
maschile, anche se preceduta dall’art. maschile
‘o oppure dalla prep,
art.ô, mantiene scempia la consonante
d’avvio (es.: ‘o fierro pe stirà – leva chella pezza ‘a copp’ô fierro pe sturà ‘a funtana[il ferro per stirare – Togli quello straccio
di sopra il ferro per sturare la fontana]).
12 – Mettere mane â sacca Letteralmente:Ficcare le mani in
tasca (per cavarne del danaro). Espressione usata con rassegnazione quando si
è costretti a spendere danaro per
sopperire alle quotidiane necessità. ed
usata con rabbia davanti a sopravvenute necessità non previste e
pertanto piú
dolorose a petto delle usuali.
13 - Mettere ‘e mmane ‘nnanze Letteralmente: Porre le mani
davanti (per premunirsi e/o difendersi). Locuzione che fotografa
l’atteggiamento di chi chiarisca
dall’inizio al proprio contraente illico
et immediate di che panni vesta, quali siano
le proprie idee, cosa ci si attenda dal negozio che si sta per compiere e quali
siano i termini della questione sui quali non si è intenzionati a trattare e
men che meno a cedere.
annanze/annante/’nnante/’nnanze prep. impr. ed avv.
1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti)
2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo)
1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti)
2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo)
etimologicamente l’avv. in esame
deriva dal lat. tardo abante
'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e successivo raddoppiamento espressivo della
nasale: abante→anante→annante/annanze
quest’ultimo anche nella forma
aferizzata ‘nnanze/’nnante;
14 - Mettere recchie p’ ‘e
pertose
Letteralmente: Porre le orecchie per i pertugi; id est: porsi all’attento
ascolto, origliare, orecchiare, usciolare con attenzione e continuità al fine
di non lasciarsi sfuggire notizie e/o voci che potrebbero riuscire utili, se
non necessarie per l’azione che si à in mente di condurre in porto o che già
sia in corso d’opera.
pertose = buchi; s.vo f.le pl.
metafonetico del maschile pertuso (dal t. lat. *pertusu(m)); di pertuso esiste
anche il normale pl. masch. pertusi/e ma
viene usato per indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti
e/o scarpe) o segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl.
f.le pertose si indica qualsivoglia
altro tipo di buco e segnatamente quelli piú grandi secondo il criterio
napoletano per il quale un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se
maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile et versa vice ;
abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo
piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú
piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú
piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú
piccolo ), fanno eccezione ‘o
tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de
‘a caccavella.
15 - Mettere ll’uoglio ‘a copp’ô peretto Letteralmente: aggiungere olio
al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. Un tempo sulle damigiane
colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi
si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla
imboccatura del contenitore vitreo. La locuzione in senso traslato viene usata sia per indicare che è
impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia
per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione
distruttrice o contraria al richiedente.
uoglio:s.vo
neutro = olio: da un latino oleu(m) cfr. greco: élaion;
il classico oleu(m) diede il volgare òliu(m)
con li→gli donde oglio → uoglio.
peretto s.vo m.le al pl. periette: caraffe
vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui
si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola :
etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe
vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che
piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a
mia memoria ‘e periette ch’io conobbi non somigliavano ad una pera, né dritta,
né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente
vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo
verso l’alto presentavano una contenuta strozzatura che costringeva il vaso dapprima
ad un modesto restringimento del passo e poi
a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco che quanto all’etimologia,
penso che piú che alla forma ci si debba riferire al materiale ed al modo
d’apparire d’essi periette che essendo (come ò detto) di terso e scintillante
vetro (non esistono, né esistettero periette in coccio o porcellana…) penso
ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco peràt= chiaro,
splendente, trasparente cosí come i periette furono e sono;quanto alla
morfologia è normale nel napoletano fornire d’una paragoge (sillaba finale) le parole straniere
terminanti per consonante che viene espressivamente raddoppiata e corredata d’
una semimuta finale (e/o); nel ns. caso peràt→peràtto→peretto, alibi
ggasse←gas, tramme←tram etc.
16 - Mettere ‘mpuzature Letteralmente:aizzare, suscitare liti, alterchi, contrasti; fomentare dissidi. Locuzione usata per
fotografare il deplorevole comportamento di chi [soprattutto donne] per mera
cattiveria si diverta provocare, produrre,
generare, originare, accendere, stimolare litigi, alterchi, diverbi,
battibecchi, dissidi, dispute quando non
zuffe, baruffe ed addirittura risse; tutti questi contrasti sono
rappresentati con il termine onnicomprensivo ‘mpuzature il cui sg. ‘mpuzatura
s.vo f.le è un deverbale di ‘mpuzà
(che è dal lat. impulsare frequ. di
impellere = aizzare).
17 - Mettere ‘na pezza a cculore Letteralmente:Apporre una toppa
in tinta; id est: rabberciare,riparare un danno prodotto o verificatosi
attraverso l’uso di un rattoppo, un rappezzo,una
pezza che almeno nascondano lo strappo. Va da sé che la
locuzione e usata sia nel senso reale
(quando si tratta di rattoppare adeguatamente un abito strappato), che
figuratamente in riferimento a chi con adeguate parole tenti di porre ripare ad
una situazione interpersonale che si sia logorata.
pezza
s.vo f.le = straccio, cencio,
pezzo, ritaglio di tessuto, ma alibi anche
lunga striscia di tessuto avvolta intorno a un cilindro di cartone o a uno
scheletro di legno che i commercianti tengono per la vendita; è
voce con etimo dal dal lat. med. pettia(m); rammento che la voce or ora
esaminata non è il f.le del s.vo piezzo
che à tutt’altro significato e con esso non va confuso; infatti piezzo
è un s.vo m.le = pezzo, quantità,
parte non determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido, qui
usato nel significato di coccio, ciascuno dei pezzi in cui si rompe un oggetto
fragile; l’etimo di piezzo è
anch’esso dal lat. med. pettia(m) con metaplasmo e cambio di
genere;
18 - Mettere ‘na pezza arza Letteralmente:Applicare un panno
bollente o addirittura ardente.Locuzione che rappresenta l’esatto contrario
della precedente; con questa ci si riferisce all’errata, se non malevola azione
di chi invece di por riparo si adoperi
per peggiorare una situazione come chi per lenire gli effetti di un’ustione
adoperasse un panno bollente o addirittura ardente.
arza agg.vo f.le bruciata, ardente, bollente, inaridita, secca, riarsa;
etimologicamente è un part. pass. agg.ato dal lat. arsa-m con passaggio di rs a rz come in borza←bursa-m
- perzo←perso etc.
19 – Mettere puteca Letteralmente: Mettere bottega;
id est: principiare un’attività commerciale o di servizio impiantandone
una bottega.
puteca s.vo f.le = bottega, negozio, esercizio,
rivendita, emporio, laboratorio, officina;
voce
dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→puteca.
20 – Mettere spia Letteralmente: Mandare in giro
uno o piú
informatori che uscioli/ino con
attenzione e continuità e
riporti/ino notizie e/o voci che
potrebbero riuscire utili, se non necessarie per l’azione che si à in mente di
condurre in porto o che già si abbia in corso d’opera.Come si vede la locuzione
fotografa ad un dipresso la medesima situazione rammentata antea sub 14 con la differenza che lí l’indagine è svolta di persona
impegnando le orecchie proprie, mente in questa ci si serve di terze persone
cui si affida l’incauto lavoro di origliare, informarsi e riferire.
spia s.vo f.le 1 (in primis) chi di nascosto, per compenso[come nel caso che ci occupa] o [alibi] mosso da malevolenza, riferisce
notizie segrete e/o fatti compromettenti e non
a chi possa valersene; chi esercita lo spionaggio 2(fig.) indizio, sintomo, segno rivelatore; 3 (tecn.)
termine generico con cui si indicano i dispositivi di controllo e di
segnalazione, luminosa o acustica, delle condizioni di funzionamento di una
macchina, di un impianto, di un apparato e sim. voce dal got. *spaiha.
21 – Mettere ‘ncalannario. Letteralmente: Appuntare sul
calendario. Espressione usata in riferimente all’agire di chi sempre anche
eccessivamente prudente, cauto,
accorto,timoroso che gli possano
accadere danni o inconvenienti pensa per
tempo a quel che potrebbe
accadergli e prende in anticipo
provvedimenti utili a evitare perdite, svantaggi, scapiti e discapiti ed addirittura programmi
minuziosamente la propria vita scadenzandone per iperbole gli avvenimenti con cura e precisione
maniacali annotandoli, analiticamente su di un calendario.
‘ncalannario = in/sul calendario agglutinazione funzionale in posizione
protetica della preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le calannario = calendario [sistema di suddivisione del
tempo in periodi costanti (anno, mese, giorno), stabiliti in base alla durata
di determinati cicli astronomici]; calannario è voce dal lat. calendariu(m)→calennariu-m→calannario, deriv. di calendae 'primo giorno del mese'.
22 – Mettere nciuce Letteralmente: Seminare pettegolezzi,
maldicenze, calunnie diffamazioni con acrimonia e/o malevolenza nell’intento di
nuocere al prossimo o addirittura per fomentare discordie.
Espressione usata in riferimento al deprecabile atteggiamento soprattutto delle donne, ma pure di taluni uomini (appartenenti
solo all’anagrafe al sesso maschile) che si divertono e godono nel far del male
al prossimo pettegolando ,parlandone male, diffamandolo e spesso
propalando fatti altrui, fatti appresi
talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la
segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece da pettegole e
pettegoli viene bellamente disattesa!...); il svo nciuco di cui nciuce è il pl.
è etimologicamente deverbale di nciucià = pettegolare, verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico
di chi confabuli. Qui giunto rammento che partendo dalla premessa che trattasi
di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucio e nciucià ed alibi nciucessa
= pettegola, non deriva da un in→’n
illativo, ma è una semplice
consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di nc’è per
c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti
incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià
con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘);
a margine rammento poi che è l’italiano ad aver
derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo
ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto nella lingua nazionale )] è l’italiano, dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dallo inciucio italiano (nel qual caso sí
che sarebbero state opportune e
l’aferesi e la scrittura ‘nciucio).
23 – Mettere prete ‘e ponta Letteralmente: Frapporre pietre
appuntite; id est: creare artificiosi ostacoli. Locuzione da intendersi
sia nel senso reale che in quello
traslato con riferimento all’azione ostile di chi[per solito donne
invidiose],al solo fine di impedire a qualcuno/a il raggiungimento di uno scopo si adoperi
astiosamente e con cattiveria contro quel/quella qualcuno/a
per frammettere, inframmezzare,
inserire reali o figurati intoppi, impedimenti, impacci, impicci, ingombri,
intralci, paragonabili a pietre
pericolosamente aguzze e nelle quali si possa inciampare, ferendosi.
prete s.vo f.le pl. di preta = pietra, nome generico
per indicare blocchi o frammenti di minerale o di roccia veri o figurati. voce
etimologicamente lettura metatetica del lat. petra(m)→preta-m
, che è dal gr. pétra.
ponta s.vo f.le =punta, estremità
acuminata di qualcosa; voce dal lat.
tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere
'pungere'.
24 – Mettere tenna Letteralmente: Inalzare una
tenda; id est: prender posto in una tenda al fine di accamparsi. Locuzione
usata sarcasticamente con riferimento a chi si attardi in un posto oltre il consentito o il preventivato quasi
che, a mo’ di milite invasore, conquistata una posizione, avesse intenzione di stabilirvisi anche in
barba o con malgrado di altri.
tenna s.vo f.le = tenda, piccolo padiglione facilmente smontabile, formato da teli
di grosso tessuto impermeabile, sostenuto da pali e fermato da picchetti, usato
come abitazione da popoli nomadi e come ricovero provvisorio da soldati e
campeggiatori; voce dal lat. tardo tenda(m)→tenna-m, deriv. di (tílam) tentam; propr. '(tela) tesa', part. pass. di tendere
'tendere'
25 – Mettere a uno ‘ncopp’a ‘nu puorco Letteralmente:mettere uno a
cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne,ingiuriarlo ed
insultarlo additandolo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente ( dai
primi del 1600 sino a tutta la seconda metà del 1700) allorché il condannato
alla gogna o alla pena capitale vi era trasportato a dorso di maiale (animale
di cui la città di Napoli brulicava [essendo détta bestia allevata da
chiunque e dovunque]) affinché il
condannato venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie.A
Roma e stati pontifici, nel medesimo periodo,
il medesimo trasporto ignominioso
era fatto a dorso d’asino.
‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed
avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su,
sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò
che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare
qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare
tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa
come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con
riferimento a cose che sono a contatto): ‘o
telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il
telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa);
saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a
quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà
ncoppa a ‘nu nummero( giocare
sopra un numero); t’ ‘o ggiuro
ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro
sull’anima di mio padre) giurare
sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge
l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola);
tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra
¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica.
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra
¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica.
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato
da un in→’n illativo e coppa
dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è
dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a
coppa = da/di sopra deriva dalla
medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque
quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi
della preposizione da→’a. Mette conto parlare anche di ‘ncopp’â = sulla, sopra la -
ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo e di ‘ncopp’ê su gli/sulle,
sopra i,gli/le;
queste tre locuzioni prepositive
napoletane sono forgiate da un in→’n
illativo e da coppa dal
latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque
quella posta sopra, addizionate volta a
volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a
‘e= ai,a gli, alle).
puorco s.vo m.le =1 (in primis e come nel caso che ci occupa) maiale, porco, porcello 2 (per
estensione .) carne di maiale:
sacicce ‘e puorco (salsicce di porco) 3 (fig.)
persona che fa o dice cose oscene. voce dal lat. pŏrcu-m→puorcu-m→puorco
26 – Mettere ‘o ssale ‘ncopp’â códa/córa. Letteralmente: Cospargere il
sale sulla coda; id est: fallire il conseguimento di un risultato. Locuzione
sarcastica usata a dileggio di chi tenti di pervenire ad un risultato positivo,
ma inevitabilmente non riesca a conseguirlo
per pochezza o inadeguatezza dei mezzi usati o piú spesso per mancanza di attitudine. Anticamente a gli
uccellatori ed a gli addetti alla
doma dei puledri tutti operai di modesta levatura mentale e dunque creduloni veniva suggerito, ma a mo’
di sfottò che per ottenere i risultati sperati di catturare gli uccelli o di
ammansire i puledri fósse
necessario cospargere di sale la loro coda; naturalmente la pratica [se anche fósse stata segúita] mai poteva sortire l’effetto
voluto e l’espressione fu conservata per commentare il fallimento e/o la inutilità, l’inefficacia del tentativo intrapreso.
ssale s.vo neutro = sale, nel linguaggio corrente, il cloruro di sodio,
presente in natura come salgemma o disciolto nelle acque del mare, e usato
spec. per dar sapore ai cibi o conservarli; voce dal lat. sale-m; trattandosi
di un alimento e voce neutra e quando è preceduta dall’art. neutro ‘o (il/lo)
esige il raddoppiamento della consonante d’avvio per cui: ‘o ssale (cfr. alibi ‘o ppane,
‘o ppepe, ‘o ccafè etc.).
‘ncopp’â = sulla cfr.
antea sub 25
códa/córa s.vo f.le [lat. volg. cōda, per il class. cauda] doppia morfologia d’un’unica voce; la seconda córa
[con rotacizzazione osco-nediterranea della d→r] è del parlato, mentre códa è
d’uso piú letterario. Parte assottigliata del corpo dei vertebrati opposta al
capo, costituita da un asse scheletrico (regione caudale della colonna
vertebrale), da muscoli e da tegumento; lo sviluppo e la funzione variano
notevolmente, non solo da classe a classe, ma anche da ordine a ordine, da
genere a genere di animali (la c. dei pesci e delle larve degli anfibî serve
alla locomozione nell’acqua; la c. degli uccelli serve di sostegno alle penne
timoniere;
27 – Metterse ‘e casa e pputeca. Letteralmente: porsi di casa e
bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento
puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente
casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di
continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si
dovesse spostare dalla bottega alla casa e viceversa.
casa s.vo
f.le 1 (in primis)abitazione, dimora, alloggio, 2(per estensione) domicilio, residenza; voce
dal lat. casa-m , propr. 'casa
rustica' laddove la domus era propr. ' la casa padronale/signorile'.
28 – Metterse ‘e ddete ‘nculo e caccià
‘anielle Ad litteram:ficcarsi
le dita nel sedere e tirarne fuori anelli.Détto sarcasticamente di chi
abbia una fortuna cosí grande da
procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili, agendo
addirittura a mo’ di un prestidigitatore,capace
di trucchi impensabili.
ddete s.vo
pl. f.le del m.le dito [ dal lat. dĭgĭtus] (il plur. f. le ‘e ddete è usato per indicare ‘e
dite non considerati
separatamente, ma nel loro complesso). – 1. Complesso dei segmenti terminali della mano e del
piede, segmenti che nell’uomo sono in numero di cinque per ciascun arto e si
designano in italiano col numero
ordinale (I, II, ecc.) o piú comunem., nella mano, con i nomi di pollice,
indice, medio, anulare e mignolo; nel napoletano portano sia per la mano che
per il piede i nomi di: dito gruosso (pollice),énnece (indice), dito ‘e miezo (medio), anulare
e dito piccerillo (mignolo).
‘nculo = nel sedere; agglutinazione funzionale in posizione protetica della
preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le culo
= in
origine l’orifizio anale delle bestie poi per sineddoche il culo, il
posteriore, il didietro, il sedere, il complesso delle natiche degli esseri
umani ; etimologicamente è voce dal lat. culum
che è dal greco koîlos ; questa voce
napoletana a margine fu accolta temporibus illis anche nella lingua nazionale e
viene tuttora usata ancorché catalogata,
ma non se ne comprende il motivo, come
voce volgare o popolare. Un tempo da qualcuno si ipotizzò che
etimologicamente la voce potesse essere
un adattamento del lat. caelu(m)(cielo) pigliando a riferimento semantico la
concavità e dell’uno e dell’altro. Idea balzana stante la presenza diretta come
ò détto della voce lat.
culum marcata
sul greco koîlos (vuoto, concavo) donde anche kolon= intestino; tuttavia rammento che la voce caelu(m)(Cielo) fu usata, quale
nome proprio, al posto di Ciullo ( che della voce culo era stato un
adattamento di comodo attraverso l’epentesi eufonica della vocale (I) ed il raddoppiamento espressivo della
consonante laterale alveolare (L) ed infatti quel poeta di Alcamo nato nella prima metà del XIII secolo, e che fu uno dei piú significativi rappresentanti
della poesia popolare giullaresca della scuola siciliana s’ ebbe in origine il nome di Ciullo
d’Alcamo ( e cioè Culo di Alcamo)per essere il piú famoso pederasta
passivo della sua città e successivamente al tempo del bigotto perbenismo
didattico vide il suo nome mutato in Cielo
d'Alcamo per non turbar la mente
dei/delle giovani discenti.
caccià = cacciare il
verbo napoletano rispetto all’omonimo italiano, quantunque abbia il medesimo
etimo da un lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere'non è
usato nel senso di dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o
catturarlo o nel senso di introdurre, ficcare; spinger dentro con violenza, ma
esclusivamente nel senso di tirar fuori, , cavare, estrarre, emettere; ò
trovato perseguibile ed ò adottata l’ipotesi propostami da un amico cacciatore irpino
che il verbo caccià nella sua accezione venatoria, si possa rendere
graficamente con un utile caccïà
nel quale la dieresi posta sulla i,
aumentandone le sillabe e modificando la lettura dell’originario caccià,
può indurre ad intendere il verbo in altro significato: nel senso cioè non di
trar fuori, ma in quello di dar la caccia.Del resto già il buon D’Ambra nel suo insostituibile vocabolario,
quantunque non adottasse la grafia caccïà
avvertiva che in napoletano esistevano due verbi cacciare: l’uno trisillabo = metter
fuori, cavare, estrarre etc. ed uno quadrisillabo = andare a caccia
Va da sé che qualora fosse accettata palam l’ipotesi proposta di usare l’infinito caccïà, per indicare l’andare a caccia, lasciando il caccià solo per indicare il mettere fuori, occorrerebbe modificare l’intera coniugazione del verbo che ad es. all’indicativo presente non potrebbe piú coniugarsi
io caccio
tu cacce
isso caccia
nuje cacciàmmo
vuje cacciàte
lloro càcciano
ma dovrebbe diventare per il verbo venatorio:
io caccéjo
tu caccíje
isso caccéja
nuje caccíjammo
vuje caccíjate
lloro caccéjano
ricalcando ad un dipresso la coniugazione del verbo ‘mmezzïà ( che è il sobillare, lo spingere ad azioni malevole, l’istigare con etimo da un lat. volgare in +*vitiare che all’indicativo presente à:
io ‘mmezzéjo
tu ‘mmezzíje
isso ‘mmezzéja
etc.
Quanto ò espresso à trovato riscontro in ciò che il vecchio cacciatore mi à riferito; e cioè che un tempo la battuta di caccia fu detta caccïata/caccíata (che risulta essere il part. pass. femminile sostantivato dell’infinito caccïà, laddove il part. pass. femminile sostantivato/aggettivato di caccià è cacciàta e vale messa fuori.
Va da sé che qualora fosse accettata palam l’ipotesi proposta di usare l’infinito caccïà, per indicare l’andare a caccia, lasciando il caccià solo per indicare il mettere fuori, occorrerebbe modificare l’intera coniugazione del verbo che ad es. all’indicativo presente non potrebbe piú coniugarsi
io caccio
tu cacce
isso caccia
nuje cacciàmmo
vuje cacciàte
lloro càcciano
ma dovrebbe diventare per il verbo venatorio:
io caccéjo
tu caccíje
isso caccéja
nuje caccíjammo
vuje caccíjate
lloro caccéjano
ricalcando ad un dipresso la coniugazione del verbo ‘mmezzïà ( che è il sobillare, lo spingere ad azioni malevole, l’istigare con etimo da un lat. volgare in +*vitiare che all’indicativo presente à:
io ‘mmezzéjo
tu ‘mmezzíje
isso ‘mmezzéja
etc.
Quanto ò espresso à trovato riscontro in ciò che il vecchio cacciatore mi à riferito; e cioè che un tempo la battuta di caccia fu detta caccïata/caccíata (che risulta essere il part. pass. femminile sostantivato dell’infinito caccïà, laddove il part. pass. femminile sostantivato/aggettivato di caccià è cacciàta e vale messa fuori.
anielle s.vo m.le pl. del sg aniello = cerchietto di metallo che
si porta al dito per ornamento o come simbolo di una condizione, di una
dignità; il metafonetico pl. f.le anelle
è voce poetica usata per indicare i
riccioli di capelli. voce dal lat. anĕllu(m), dim. di anulus, e questo dim. di anus
'cerchio'.
29 – Metterse ‘a lengua ‘nculo Letteralmente: Porsi la lingua nel sedere; id est:
zittirsi,ammutolirsi, tacere evitando di
continuare a profferire vacue sciocchezze. Icastico, ma perentorio invito da
intendersi chiaramente in senso metaforico [atteso che si è materialmente
impossibilitati ad addivenire a quanto si è sollecitati] rivolto ai vuoti
parolai, ai vacui ciarloni, ai futili
millantatori,a gli insulsi fanfaroni
affinché evitino di continuare a far vibrare a sproposito la lingua nel cavo
orale, ponendosela lí
dove non possa in alcun modo articolarsi riecheggiando!
30 – Metterse ‘mmiezo Letteralmente: Porsi nel mezzo.
Locuzione da intendersi con un significato positivo oppure con uno negativo; in
senso positivo è espressione riferito a chi dotato di altruismo e di buona
volontà si interponga tra due questionanti per rabbonirli facendo
da paciere anche a rischio della propria incolumità; in senso negativo
l’ espressione è riferita a chi [saccente e supponente] senza alcun
titolo usa intromettersi tra disputanti,
specialmente quando non sia
interpellato, tentando di imporre la
propria presenza e dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú
delle volte- non risolvono la disputa,
ma anzi comportano in coloro che li ricevono
un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va
da sé finisce per essere motivo di
risentimento e rabbia per i poveri individui
fatti segno delle stupide e vacue chiacchiere di colui che si mette in
mezzo definito icasticamente:spallettone; al proposito penso che essendo il sostrato dello spallettone, la
vuota chiacchiera, è al parlare che
bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio
avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S
intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L
successiva e l’aggiunta del suffisso
accrescitivo ONE.
31 – Metterselo dint’ ê chiocche Letteralmente:Ficcarselo nelle
tempie; id est: porsi bene in mente un’idea,un principio, una norma
comportamentale, quasi fissate/o nelle meningi, immagazzinarle/o a puntino nel
cervello al fine di non dimenticarle/o
mai e metterle in pratica senza avere a scusante il non averle/o apprese/o
bene. Espressione usata dai genitori e rivolta a mo’ di monito ai figlioli quasi sempre in forma imperativa/esclamativa
: Miettatillo dint’ ê chiocche!
chiocche s.vof.le pl. del sg chiocca = 1 (in primis) tempia 2(per estensione) meningi 3(per
sineddoche ) testa, cervello; voce
dal tardo lat. clocca-m→chiocca; di per sé clocca-m indicava
la campama e semanticamente le tempie sono intese il punto della testa dove le idee risuonano.
32 – Metterse pavura Letteralmente: Impaurirsi; id est:prendere
addoso la paura, spaventarsi quasi
avvertendo sulla propria pelle, a mo’ d’abito messo, indossato, lo spavento,
la fifa, la strizza o addirittura
lo sgomento, il terrore, il panico.
pavura, s.vo f.le
voce che ripete tutti i significati della corrispondente voce
dell’italiano paura
1 sensazione inquietante che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato: tené pavura; pigliarse ‘na bbella pavura; deventà janco p’ ‘a pavura; tremmà ‘e pavura; 2 (estens.) timore serio, preoccupazione allarmante; presentimento scoraggiante: aggio pavura ca perdimmo ‘o treno!
1 sensazione inquietante che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato: tené pavura; pigliarse ‘na bbella pavura; deventà janco p’ ‘a pavura; tremmà ‘e pavura; 2 (estens.) timore serio, preoccupazione allarmante; presentimento scoraggiante: aggio pavura ca perdimmo ‘o treno!
Quanto all’etimo è voce derivata
come quella dell’italiano dal lat. pavore(m)
'timore', con cambiamento di suffisso; la voce napoletana però conserva al contrario dell’italiano
l’etimologica consonante fricativa labiodentale sonora v;
33 – Metterse ‘nu cienzo ‘ncuollo Letteralmente: Mettersi una
tassa addosso; id est: gravarsi per mera liberalità o per stupidità
remissiva di un balzello e/o peso non
dovuto quasi assoggettandosi a quella medioevale imposta, a quel tributo che i contadini
dovevano ai proprietari in virtú del jus domini.
cienzo s.vo m.le 1(in primis)
entità del patrimonio sottoponibile a tributi;
2 (estens.) ricchezza, patrimonio;
3 (nella Roma antica), censimento dei cittadini e dei loro beni;
3 (nella Roma antica), censimento dei cittadini e dei loro beni;
4(nel medioevo,come nel caso che ci occupa)
tributo, imposta; voce dal tardo lat.*cĕnsu-m→cienzo
per
il class. cinsu-m.
‘ncuollo avv. di luogo vale
1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso),
avere con sé, su di sé; indossare | tené
‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna
addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.)
procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’
‘a paura(per la paura se l’è fatta
addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi
prendere dalla paura, dal panico |parlarse
‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con
autocompiacimento
2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle
1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra)
2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo
3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto;
2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle
1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra)
2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo
3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto;
34 – Metterse scuorno Letteralmente: Vergognarsi; id
est: Quasi analogamente a quanto détto circa il metterse pavura, avvertire su di sé, quasi a pelle,a mo’ d’abito un sentimento che
qui è quello di mortificazione derivante
dalla consapevolezza che un'azione, un comportamento, un discorso, un
atteggiamento ecc., propri o anche di
altri, sono disonorevoli, sconvenienti, ingiusti o indecenti e provarne
apertamente anche con la manifestazione del rossore del viso, disonore, imbarazzo, disagio, scorno.
scuorno s.vo astratto
neutro = scorno, vergogna,
umiliazione, beffa, ignominia, infamia, disonore, macchia, onta; voce deverbale
di scurnà = mettere in ridicolo, deridere, svergognare che a sua volta è ricavato dal lat. cŏrnu-m.
35 – Metterse ‘o cappotto ‘e
lignammo
Letteralmente: Indossare il cappotto di legno.Icastica ed eufemistica locuzione usata per significare il decesso di
una persona che, defunto che sia viene posto in una bara lignea [raffigurata
come l’indumento che si porta su tutti gli altri cioè come un pastrano,come un soprabito questa volta di legno] per
essere sepolto.
cappotto s.vo m.le pesante soprabito invernale da uomo e da donna; voce
denominale di cappa che è dal lat.
tardo cappa(m) 'cappuccio', da caput
'capo, testa'
lignammo s.vo m.le legname derivato
del lat. ligname(n) 'armatura di legno' ( che è da ligna + il suff. coll.
amen); la voce napoletana à il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (M).
36 – Mettere ‘a si-loca arreto Letteralmente: Apporre di dietro
un (cartello dittante) LOCASI ; id
est:deridere qualcuno in maniera continuata e palese. L’espressione rammenta
una delle burle piú
brucianti che gli scugnizzi della città bassa negli anni ’50 dello scorso
secolo che per
beffare, canzonare, irridere,
dileggiare ignari, attempati e pazienti
passanti destramente
appiccicavano sulle code delle giacche di costoro un piccolo cartello con l’offerta d’affitto che a fine
di dileggio, burla, canzonatura salacemente si riferiva alla parte anatomica
dei malcapitati su cui il cartello andava ad insistere. Tecnicamente infatti
il cartello dittante LOCASI
, avviso che in napoletano era semplicemente ed acconciamente ‘a si-loca ,
era un annuncio che i
proprietari di appartamenti solevano esporre
sugli stipiti dei portoni di un
fabbricato per portare a conoscenza di probabili affittuatari che
nell’edificio v’era un’abitazione sfitta in attesa di inquilino.
si-loca s.vo f.le = 1 (in primis)cartello, avviso di cessione
in fitto; 2 (per traslato) giubba
eccessivamente lunga; voce ricavata per agglutinazione funzionale del pron. pers. rifl. m.le e f.le di
terza pers. sing. e pl. si(forma
complementare atona del pron. pers. sé[dal lat. si])posto in posizione proclitica e della voce
verbale loca [3ª p.sg. ind. pr. dell’infinito
lat. locare = 'collocare' ed 'affittare', deriv. di locus 'luogo'.
arreto
o areto =
(avv.di luogo) dietro,parte
posteriore opposta al davanti; esattamente arreto è dietro
con derivazione dal latino ad+retro con tipica assimilazione
regressiva dr→rr e dissimilazione totale della r
nella sillaba finale; invece areto (seppure spesso usato in
napoletano in luogo di arreto) esattamente è di dietro derivazione dal latino a+retro;
anche qui si verifica la dissimilazione che riduce retro a reto
e spesso l’avverbio (giusta l’etimo) è scritto oltre che areto anche
‘a reto (da dietro).
37 - Miettele nomme penna Letteralmente:
Letteralmente vale : Chiamala penna!;
Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi
vede qualcuno prestare un oggetto
a persona che si ritiene non restituirà
mai il prestito, volendo significare: “Ài
prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non
rivedrai mai piú il tuo oggetto che,
come una piuma d’uccello è volato via!”
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via,
procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso
che spesso sparisce un oggetto prestato
a taluni che per solito non
restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo
id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2ª pers. sing. imperativo)
dell’infinito mettere=disporre,
collocare, porre con etimo dal lat. mittere
'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome;
elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti
o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico
raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem,
ammore←amore(m), cammisa←camisia(m)
etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m)
'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a
Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima
moneta (dal valore irrisorio di
mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18
lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o
pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale
moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul
rovescio v’era raffigurato il
particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia
indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia,
trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o
perdersi.
38 - Metterse cu ‘a panza e ccu
‘o penziero.
Letteralmente: Porsi con la pancia e con la mente; id est: perseguire il
raggiungimento di una meta agognata,
inseguire il conseguimento di
uno scopo, d’ un obiettivo,un
intento,un piano, un progetto,un proposito rincorso con tutte
le proprie forze sia fisiche [quelle rappresentate dalla pancia ] che mentali
[rappresentate dal pensiero] Espressione che rende icasticamente l’ algido
italiano agire con il braccio e con la
mente. Mi corre l’obbligo di rammentare che l’amico avv.to Renato de Falco dà
tutt’altra lettura della locuzione,ritenendola [ma, a mio avviso, troppo
riduttivamente] di pertinenza femminile con riferimento al desiderio intenso di
maternità della donna che porrebbe a servizio del concepimento la mente e... la
pancia.
Ò
riportato la cosa per scrupolo di coscienza, ma [e me ne duole] questa volta
non mi sento di aderire all’idea, troppo limitativa, dell’amico de Falco!
panza s.vo f.le =
pancia, epa; voce dal basso
latino panticem con metaplasmo e sincope
della sillaba ti donde pantice(m)→ *pan(ti)cja→*pancja→panza).
penziero s.vo m.le = pensiero, l’attività
psichica mediante la quale l'uomo elabora dei contenuti mentali, acquisendo
coscienza di sé e della realtà esterna che i sensi gli propongono, e formulando
schemi concettuali che gli valgono come modelli interpretativi della realtà; la
facoltà del pensare; ciò che si pensa; il contenuto, l'oggetto del pensiero.
voce dal provenz. pensier, deriv. del lat. pensare;
E qui penso di poter far punto convinto
d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun
altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste
paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
(fine)
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