sabato 28 dicembre 2019

BRASCIOLE E RAGÚ, RICETTA SCRITTA CU TTIERMENE NNAPULITANE


 BRASCIOLE E RAGÚ, RICETTA SCRITTA CU TTIERMENE NNAPULITANE
Come si sa il ragú napoletano è una salsa di carne e pomidoro, salsa che per esser conseguita necessita di lunghissima cottura( anche cinque o sei ore…) a fuoco dolce.Purtroppo non v’è univocità, tra i cultori della suddetta leccornia , in ordine al tipo di carne che deve concorrere alla formazione  del sugo: c’è disparità di vedute.Napoletano di lungo corso, quale sono, ò visto centinaia di ragú fatti con i piú disparati siti di carne  e posso dire che i rag che mi ànno soddisfatto il palato sono quelli che usavano la carne di manzo  sotto forma di brasciole ossia di grossi involti di carne  ricavati da quella che in napoletano si dice lòcena (dal latino auciu(m) che diede dapprima  ocio e poi (con agglutinazione dell’articolo lo)  locio =vile ,di scarto,donde il femminile  locia ed infine in napoletano  locina o meglio  lòcena con epentesi eufonica  della N) ed in toscano soppelo; ordunque sia con la voce locena  che con soppelo  si intende  la carne ricavata  tra la punta di petto e la clavicola della bestia.
C’è una scuola di pensiero che consiglia per il ragú la carne di maiale; dissento toto corde, in quanto il ragú conseguito con la sola carne di maiale è lento ed inconsistente, o almeno lo fu quando esistettero i grossi  maiali dalla saporita carne piuttosto ricca di grasso; oggi forse con l’uso di bestie magrissime, che di maiale ànno solo il nome, il ragú conseguito con la sola carne di maiale non corre piú il rischio di essere  lento ed inconsistente Qualora però qualche testarda massaia (e ce ne sono!),   voglia usare per la preparazione del ragú  della carne di maiale,non deve mai pensare di usarla da sola, ma sempre in unione con carne di manzo, e tra i varî pezzi di carne di maiale vanno preferiti o la gallinella(sopracoscio)  o la tracchiolella (costina che se di collo è detta tracchia umida , in quanto piú morbida e succosa, se di costato è detta tracchia asciutta in quanto essendo  povera di grasso è meno morbida e succosa) – mai la salsiccia! - ,che devono però, come ò detto, accompagnarsi indefettibilmente  alla carne di manzo,in pezzi di polpa della parte anteriore, o  preferibilmente, come dicevo, sotto forma di brasciola ossia  larga fetta di lòcena arrotolata su se stessa , fermata  con il refe da cucina dopo che sia stata ben imbottita di sale, pepe, prezzemolo ed aglio tritati, uva passita e pinoli oltre che di  cubettini di formaggio romano e/o caciocavallo da bestie podaliche .
La voce gallenella deriva dal fatto che il sopracoscio à quasi la forma di una piccola gallina con ali e cosce ripiegate sul corpo, mentre il termine tracchiolella diminutivo di tracchia è dal greco tràchelos= collo, cervice  in quanto le migliori tracchiolelle sono quelle umide  ricavate dalla sfasciatura delle vertebre del collo della bestia.
Il ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana. È diverso per gli ingredienti, per la lunga  preparazione, per l'estrema attenzione che richiede,per quella tipica fase di preparazione, fase  detta del peppiare ed infine  per l'aroma che purtroppo sempre piú raramente si  diffonde, il sabato sera,  nelle scale dei palazzi di Napoli, dove ahimé sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti mediatici che ànno convinto anche i poveri napoletani a bandire dal loro desco domenicale questa  sontuosa salsa per sostituirla con insipide salsine bollite, senza nerbo e/o gusto, insipide e prive di grassi animali, salsine  che mai e poi mai possono convolare a felici nozze sulla tavola domenicale con i tronfi  maccarune ‘e zite spezzati a mano  o, meglio ancora, con duttili pacchere  magari ‘mbuttunate!
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’antan, che  - come carbonari o cospiratori del tempo andato continuano a parlare e talvolta a preparare mitici ragú come il Cielo comanda!

Molti grandissimi della letteratura e dell'arte lo ànno celebrato.Rammenterò per tutti don Peppino Marotta che usava dire che il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga e/o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!
Io mi limito a riportarne  la ricetta, premettendo  che il risultato finale dipenderà quasi esclusivamente dalla sensibilità e dalla … mano calda (lèggi: attenzione, preparazione, solerzia ed …amore)  del cuoco o della cuoca. 
Prima però  di dare la ricetta con ingredienti e preparazione, soffermiamoci sulla espressionePEPPïARE / peppïà che è voce onomatopeica indicante quella fase propedeutica  del momento prossimo alla conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, affiorano ripetutamente  in superficie delle bolle  d’aria che al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello  che  produce  chi  tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in maniera piuttosto imprecisa e  superficiale: sobbollire.
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 Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta – oltre che nel tenere la fiamma piuttosto bassa- nel non turare completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola mentre in direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di un’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto  che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno,  si potrà spegnere il fuoco .
In chiusura rammenterò che la voce peppïà  è resa  nelle Puglie con il termine pippijà che, ad un dipresso, ripete l’onomatopea partenopea peppïà, mentre in Sicilia è usato il termine carcariare  voce che, risultando essere un denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che l’azione significata dal vocabolo presupponga un’ebollizione così violenta tale  che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppïare che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In napoletano, in effetti,  il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi. 
Rammento infatti  ancòra  che quando in napoletano vogliamo indicare un'azione agitata di un individuo che aneli a qualcosa e lo voglia  subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato,  quell'individuo sta scarcarenno ossia è cosí agitato da  tracimare  l'ipotetica pentola del comportamento.

peppïà – pippijà = pipeggiare, fare il rumore della pipa ; voci onomatopeiche.
carcarïare/carcarïà =rumoreggiare; bulicare rumorosamente; voce verbale denominale di carcara che con derivazione dal  lat. tardo (fornacem) calcaria(m), deriv. di calx.calcis 'calce' indica innanzitutto la fornace in cui si fanno cuocere i calcari per produrre la calce o il  forno in cui si fonde la miscela di sabbia e soda usata per fabbricare il vetro e per traslato – nel caso che ci occupa -  una grossa pentola, una caldaia, un  grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa;
scarcarenno = tracimando  la caldaia  voce verbale (gerundio ) dell’infinito  scarcarí = tracimar la caldaia  denominale di carcara  da un   ex-carcara   però con cambio di coniugazione  che da un  atteso excarcarïà   che avrebbe dato il gerundio scarcarianno, passa ad excarcarí il cui gerundio è scarcarenno dell’espressione sta scarcarenno = sta figuratamente  tracimando la pentola.
A chistu punto è mmeglio si parlammo napulitano!

Appruntammo ‘o rraú; accumminciammo a ddicere

Chello ca serve  e  ‘e ddose pe seje perzone

Mazzeca e una:
‘a lardellatura
  • 100 gramme ‘e presutto cruro, bastantamente ricco ‘e grasso  oppure 100 gramme ‘e lardo ‘e panza,
  • 50 gramme ‘e   pancetta tesa  affummecata ,
‘Nu ramusciello ‘e peperna fresca,
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  • Pepe niro quant’abbasta.
  • Mazzeca e ddoje
  • 1,5 Kg. cu ‘nu  sulo piezzo ‘e   primmo o pure siconno  taglio ‘e vaccina grossa: (pezza a cannella, vammunciello o si proprio nun ce sta ato lacierto)
  • ½ Kg di brasciole  fatte cu felle  ‘e   locena (‘mbuttunate a mestiere  cu sale fino, pepe niro macenato fino, quadrucce ‘e  furmaggio pecorino, aglio e prutusino ‘ntritate , uva passa  e pigniuole) attaccate strette cu ‘nu capo’e cuttone o spavo ‘e cucina),
  • (a piacere)3  tracchiolelle e ‘na gallenella   ‘e puorco  pe 500 gramme in tutto.
  • 600 - 800 g. ‘e cepolle  vecchie ammunnate e ntritate
  • 100 gramme ‘e ‘nzogna
  • 50 gramme  ‘e lardo ‘e panza
  • 1 bicchiere e miezo  d'uoglio d’auliva e.v.p. s. a f.
  • 50 gramme ‘e  pancetta tesa  affummecata
  • ‘Nu bbicchiere gruosso ‘e vino russo asciutto,
  • ‘a 100 a 300 gramme ‘e doppio  cuncentrato ‘e pummarola (buattone),
  • ‘Nu litro e miezo ‘e passata ‘e pummarola oppure ‘nu kg. e miezo ‘e pummarole tipo Roma o san Marzano vullute, spellate e passate p’’o clicò cu ‘e pertuse asritte
  • ‘na vranca ‘e vasenicola [= basilico; la voce napoletana vasenicola è dal lat. basilicu-m(marcato sul greco basilikòn)addizionato del suff. diminutivo lat. ola con alternanza  partenopea B→V (cfr. bucca-m→vocca) dissimilazione popolare L→N donde basilicola→vaselicola→vasenicola ].
  •  
  • sale duppio quanto ce ne vo’
  • Priparazione
    Lardellate( zoè facite cu ‘nu curtielle suttile e affilato ‘ncopp’ ô piezzo ‘e carne tanti sfrestulelle e ‘mpurtusatece dinto retaglie ‘e prusutto, pancetta, ‘o ppoco ‘e peperna e ‘o pepe)  e â fine attaccate ‘o piezzo ‘e carne stritto stritto cu ‘o spavo; ‘mbuttunate ‘e felle ‘e locena cu sale fino, pepe niro macenato fino, quadrucce ‘e  furmaggio pecorino, aglio e prutusino ‘ntritate , uva passa  e pignuole) attaccate ‘sti ffelle ‘mbuttunate strette strette cu ‘nu capo’e cuttone o spavo ‘e cucina e facitene tanta brasciole);
Ntretate a comme vène vène  (grossolanamente), ausanno  ‘nu curtiello a lama larga e affilata  oppure ausanno   ‘na lama a meza luna,’ncoppa a ‘nu laganaturo ‘e lignammo apprimma ‘o llardo  e ppo a mmano a mmano,’a pancetta ch’è avanzata , e ‘e cipolle. Se po’ pure ausà  ‘nu tritacarne pe ffà chesta funzione; sarrà ‘na facenna fatta cchiú ‘e spiccio, ma i’ v’’a scunziglio; infatti po’ succedere ca se perde ‘o zuco d’’e cepolle e cu isso se va a fa fottere pure ‘o gusto d’’e cepolle!

Mettite  tutto chello ca avite ntretato dinto a ‘nu tiano ‘e terraglia   oppure ‘e   ramma stagnata, assieme â ‘nzogna e a ll'uoglio e, a fuoco miccio miccio, scarfate fino a quanno ‘a ‘nzogna  nun se  sarrà squagliata e ‘a cipolla comminciarrà appena a suffriere. Aunite ‘o piezzo ‘e  carne, ‘e brasciole  e pe urdemo ‘e tracchiulelle e ‘a gallenella ‘e puorco.
‘Ncupirchiate  e facite marcà tutt’’a carne  , sempe a fuoco miccio miccio ,avutannola ògne tanto: chesta funzione cca  a Nnapule vène détta sturdí ‘a carne (stordire la carne) e è ‘nu fatto ‘mpurtante assaje, pecché serve  a  ‘nchiudere ‘e pore d’’a carne pe fa sì ca  – durante ‘a cuttura  – ‘a carne nun perdesse   tutte ‘e zuche suoje e tutte ‘e sapure, risultanno alla fine poco morbida e troppo, troppo secca.

 

Attenzione! ‘E tracchiulelle e cierte vvote pure ‘a gallenella ‘e puorco se coceno assaje primma, e  po’ succedere ca s’ànn’’a levà pe ‘nu poco ‘e tiempo ‘a dint’ ô tiano!

Quanno ‘e cepolle accummenciano a piglià culore, scummigliate,vutate e girate ‘a carne cchiú spisso mettenno poco pe vota ‘o vino ca avite ‘a fa sfumà tutto a fuoco cchiú forte. Fatto chesto, ‘e cipolle se saranno oramaje stufate a mestiere (stateve accorte a nun ‘e ffà appiccià!...), sarrà sparuta ògne traccia ‘e vino  e restarrà sulamente ‘o ggrasso che volle lentamente.

Tutta ‘sta procedura ve ‘mpignarrà pe circa doje ore, doje ore e meza  e pe tutto chistu tiempo è mmeglio ca nun v’alluntanate da ‘e furnelle: ‘e cipolle se ponno abbruscià e ‘nguajarrisseve  tutto cosa.!

Siconna funzione
Aumentate, ma ‘e poco, ‘o ffuoco, pe darle ‘nu poco ‘e forza, ma no assaje: appena appena bastante pe ricevere, comme si deve, tutta ll’ata rrobba ca è fredda. Mettite dint’ ô tiano
 dduje o tre cucchiare ‘e cuncentrato ‘e pummarola e facitelo suffrijere, fino a quanno nun deventa scuro scuro.Stateve attiente: ‘o concentrato/buattone s’à dda sciogliere sí dint’ ô ggrasso,  piglianno calore,  ma nun  s’à dda abbruscià!
Sulo a chisto punto refunnite  tutto l’atu cuncentrato, sempe cu ‘e  stesse quantità, e continuate chianu chiano, sempe cu ‘a  stessa procedura, fino a cche  ‘o buattone nun sarrà fernuto.

Durante chesta funzione sicuramente tracchiolelle e gallenella se sarranno cotte e vanno levate da ‘o tiano  delicatamente,si no se ponno spaccà e s’arapono sfrantummannose.

Chesta siconna funzione che è ancòra cchiú dellicata d’’a primma giacché avite ‘a  cuntrullà ‘a cuttura d’’a carne la cottura della carne e pecché po’ succedere ca s’azzecca sotto ‘o buattone) ve farrà stù ‘mpignate pe n’ati ddoje o tre ore.
Arrivate a chistu  punto revacate dint’ô tiano  tutt’’a  passata ‘e pummarole ,’nu poco ‘e sale duppio e ‘e ffronne ‘e vasenicola  spezzettate a mmano e sulamente ‘nu cuppino d’acqua vullente,e a tiano scupierto  lasciate primma cocere per circa n’ora e ppo,cummiglianno comme v’aggiu ditto, lassate  peppià per  lo meno n'ora e meza.

Si non l'avete già fatto, levàte tutta ‘a carne e mettitela ‘e parte dinto a ‘nu piatto: ‘a mettarrite dint’ ô zuco  a fine cuttura.

‘A sarza allora sarrà cotta quanno risultarrà bella densa,lucente, scura scura e sedonta.
Verificate ‘o ssale, ma nun avesse ‘a  essere nicessario refonnercene;mettite n’ata vota ‘a carne dint’ô tiano  e facite ripiglià ‘o vullo  pe pochi minute.

Datosi ca nce vonno allimmeno 7 ore pe priparà ‘o rraú  ve cunziglio ‘e pripararlo ô sabbato, passannolo, a fine cuttura da ‘o tiano dinto a ‘na zuppiera o ‘e terraglia o ‘e purcellana. Inoltre, lasciannolo repusà, ‘o rraú  matura e sarrà ancòra cchiú sapurito.
Chesta sarza  va ausata pe cunní seje o setticiente gramme ‘e maccarune ‘e zite spezzettate a mmano a piezze ‘e quatto o cinche   centimetre peduno.
Rignite cu paricchi zite spezzate e cunnite ‘e piatte accuppute e mettitece ‘ncoppa paricchio furmaggio grana o meglio ancòra pecorino rattate  a mmano e pure assaje pepe niro macenato a ffrisco. Passate comme siconno piatto ‘a carne fettata e ‘e brasciole ‘mbuttunate tutto cuperto cu quacche cucchiarata ‘e sarza cavera.


‘O rraú  serve a cunní, quase esclusivamente, ‘a pasta grossa: maccarune ‘e  zite spezzate a mmano, ma se ponno ausà pure   rigatoni, maltagliati rigati o mezzemaniche purché rigate. ‘E  meglio venono a essere   ‘e pacchere, magare ‘mbuttunate cu ricotta ‘e pecora ma  difficilmente si ponno truvà, specialmente chille originarie ‘e Gragnano!

Doppo ‘nu bbello, abbundante piatto ‘e zite a rraú se po’ pure evità ‘e mangià ato, fatta eccezione, comme aggiu ditto,  p’’a  carne d’’o rraú , cu ‘nu  contorno ‘e  verdura cotta; a Nnapule s’ ausano ‘e frjiarielle(ca so’ ‘na specie ‘e cimme ‘e rapa tennere tennere, ‘a suffrijere a cruro dint’â tiella cu  aglio, uoglio e pipero forte), ma fora Napule nun se trovano  e uno s’à dda arrangià cu quacch’ata verdura, ma nun è ‘a stessa cosa!
Mangia Napoli! Facitene salute e scialàteve!
raffaele bracale







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