‘A SOCCIA MANA STEVA
APPESA ‘INT’Ê GUANTARE
Questa volta sollecitato dalla richiesta dell’amico L. P. (i
soliti problemi di riservatezza m’impongono l’indicazione delle sole iniziali…)
parlo qui di sèguito dell’antica
icastica espressione in epigrafe, illustrandone significato ed uso e fornendo
un rapido esame delle parole che la formano, augurandomi di contentare l’amico L.P. ed
interessare qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori. Ciò détto scendo in medias res, dando la traduzione della
locuzione antica, ma ancóra in uso soprattutto tra i napoletani d’ antan.
Letteralmente essa vale: L’identica mano
stava (cioè era)
sospesa nei (negozi della strada dei) guantai.
Va da sé che la mano di cui si parla non è, né potrebbe mai
essere una reale mano; si tratta infatti d’una mano in effigie, di un simulacro costruito in legno, stoppa e cuoio
rappresentante una mano guantata aperta e
con le cinque dita ben distese da usarsi quale insegna sospesa al centro delle architravi
delle numerose botteghe di fabbricanti e
venditori al minuto di guanti lí nella strada napoletana dei Guantai un tempo (fine ‘700) Vecchi e poi (dopo l’abbattimento e ricostruzione operati nel dopoguerra) Guantai Nuovi strada
sita a Napoli tra via San Tommaso d’Aquino e via Armando Diaz, strada che come
ricordano i napoletani di vecchio conio odorava o putiva (a seconda dei gusti)
per le esalazioni di quella famosa (un tempo!) colla ‘e retaglie (“colla di
ritagli”, usatissima da mobilieri e doratori) fabbricata sull’uscio delle botteghe
per bollitura servendosi appunto degli
scarti (fodere o pellami) residui della lavorazione dei guanti. Faccio notare
che abbenché siano quasi del tutto sparite botteghe e negozi di fabbricanti e
venditori al minuto di guanti la strada continua ad esser détta dei Guantai Nuovi . Tanto premesso passiamo
demum ad illustrare il significato sotteso e
l’uso dell’espressione in epigrafe che viene còlta in senso ironico e
perciò antifrastico sulle labbra di chi intenda rivolgersi a o voglia parlare irrisoriamente,
canzonatoriamente di una persona taccagna, avara, incapace di qualsiasi
elargizione, restia a mostrarsi generosa,
prodiga, munifica, insomma un soggetto inidoneo ad allargar la propria mano
alla maniera di quella sospesa nei guantai preferendo tenerla ben rinserrata
come gli dètta la sua natura tirchia, spilorcia, avida, esosa ed ingorda. Da tanto si evice tutta la portata
sardonica, sarcastica, beffarda, oltre che pungente, graffiante, mordace,
caustica dell’espressione in esame.
Passiamo all’esame delle parole:
soccia= stessa, uguale, pari agg.vo f.le del m.le suoccio
= stesso, uguale, pari; etimologicamente la voce di partenza è quella
m.le che è derivata dal lat. sŏciu(m)→ sŏcciu(m)→suoccio con raddoppiamento espressivo della l'occlusiva velare sorda (c) e normale
dittongazione della ŏ→uo; la voce
femminile fu ricostruita su di una sŏcia(m) ma in questo caso, per questione
di metafonesi (cambiamento di timbro di una vocale tonica per influenza di
un'altra vocale appartenente alla sillaba finale della parola) non si ebbe la
dittongazione della ŏ pur mantenendosi il raddoppiamento espressivo della l'occlusiva velare sorda (c).
steva appesa letteralmente
stava appesa che in napoletano
corrisponde ad era appesa voce
verbale (3ª pers. sg. imperfetto ind. passivo) dell’infinito appennere
= sospendere, attaccare, agganciare, appiccare; voce dal
lat. appendere→appennere (con assimilazione progressiva nd→nn)
'pesare', poi 'appendere', comp. di ad e pendere 'sospendere';
‘int’ê/ dint’ê néi/negli
altrove anche nelle prep. art. qui m.le, ma alibi, come ò détto anche f.le
formata da dinto a e dall’ articolo pl. ‘e (i/gli/le); rammento
che con dinto a e gli articoli
‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) si
ànno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,néi/negli/nelle;
dinto/’into
avv./preposizione impropria =dentro, in è dal
lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro');
guantare = guantai,fabbricanti e/o venditori di guanti s.vo m.le pl. di guantaro guantaio,fabbricante e/o venditore di guanti con etimo, quale denominale da un francone want addizionato del suff. di
pertinenza arius→aro.
E qui penso di
poter chiudere queste paginette,
augurandomi d’essere riuscito ad accontentare l’amico L.P. ed aver interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori.
Satis est.
Raffaele Bracale
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