lunedì 3 febbraio 2020

CAZZIBOCCHIO/CAZZIMBOCCHIO/CAZZIBÒ


 CAZZIBOCCHIO/CAZZIMBOCCHIO/CAZZIBÒ

Mi scrive da Bologna il gentilissimo dr. Salvatore  C. (al solito, per questioni di riservatezza  mi tocca evitare di indicare per esteso nome e cognome) per chiedermi cosa ne pensi della sua idea che la voce napoletana cazzibò/cazzibocchio/cazzimbocchio  possa avere una derivazione dal tedesco  KATZENKOPF"(cioè a dire: ciottoli lavorati a  testa di gatto). Gli ò risposto che, sulle prime, quella sua  idea  per un attimo à fatto traballare le mie precedenti certezze semantiche-etimologiche; ma il dubbio è durato poco  e si è dileguato allorché ò preso in considerazione le  due cose che qui di sèguito  indico:
1) la forma del cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò;
2) la  morfologia della parola.
Vediamo:
1) il napoletano cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò, quanto alla forma, non è un ciottolo semisferico come il katzenkopf, né – d’altra parte – à forma di cubo (chiamandolo perciò  erroneamente  cubetto o quadruccio) come sbrigativamente si afferma di quel tal
elemento lapideo di leucitite, che non è cubico, ma a tronco di piramide a base quadrata, usato a Roma ed in molte altre città  per la pavimentazione di varie strade urbane e, fra l’altro, della piazza S. Pietro (donde il nome sampietrino). , manufatto di porfido o basalto usato per pavimentare le strade, chiamandolo cubetto o quadruccio ; in realtà il cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò, come ò détto,  à forma di tronco di piramide con base e vertice quadrati, forma che consente ai lastricatori  di acconciamente infiggere tali manufatti su di uno spesso letto di sabbia e terriccio, seguendo esattamente l’andamento curvato a schiena d’asino o a  botte del piano stradale, facendo accostare i lati delle basi nei cui interstizî vien fatta colare poi della pece liquida per assicurare tenuta ed una sorta  di impermeabilità alla strada cosí lastricata. Come si vede nulla che, per forma,   possa  appaiare  il tronco di piramide del  cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò napoletano con il ciottolo  semisferico del  katzenkopf tedesco.
2) altro importante ragione che mi spinge a non lasciare la via vecchia per la nuova è quella che investe la morfologia della parola in esame; in realtà morfologicamente,  se si esclude una tenue assonanza tra cazzibò e katzenkopf non esistono chiari e documentabili passaggi  linguistici per pervenire a cazzibò partendo da katzenkopf; ricorderò che  la originaria voce espressiva, nata nell’àmbito dei lastricatori fu cazzibocchio (nata da cazzi + occhio con epitesi, per evitare lo iato, di una consonante eufonica (b) ottenendosi cazziocchio→cazzibocchio) poi a mano a mano trasformatasi per evidente aggiustamento fonetico  in cazzimbocchio ed infine semplificata in cazzibò, ma in tutte e tre le forme (cazzibocchio – cazzimbocchio – cazzibò) è riconoscibile il richiamo  osceno d’attacco (cazzo→cazzi) con riferimento vuoi alla forma (il tronco di piramide  richiama – sia pure con molta buona volontà - l’organo maschile in erezione)  del manufatto di pietra lavica, vuoi al fatto che allorché d’un oggetto non si conosca o non sovvenga  con precisione il nome,nel parlato popolare, si adotta quello generico di cazzo (cfr. damme ‘stu cazzo lloco = dammi codesto oggetto di cui mi sfugge il nome!): ed è probabile che ciò sia avvenuto anche nel gergo dei lastricatori; è altresí riconoscibile nelle forme cazzibocchio – cazzimbocchio il suffisso diminutivo latino  uculus→occhio suffisso che non è in alcun modo leggibile nel tedesco   katzenkopf.
Mi auguro d’essere stato esauriente e d’aver convinto, sia l’amico S.C. che chiunque altro dovesse leggermi  ad abbadonare, per ciò che riguarda i termini in epigrafe,  pericolose strade... etimologiche!
raffaele bracale  

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