CHE SCIORTA! E CHE MAZZO!
Questa volta
faccio sèguito ad una stimolante
richiesta rivoltami dall’amica B.G. (al
solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di
chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi delle due icastiche
espressioni esclamative partenopee in
epigrafe usate ambedue alternativamente per sottolineare, con un malcelato
senso d’invidia, la buona fortuna che accompagna talora l’esistenza altrui. Tale fortuna si sostanzia talvolta nella buona
riuscita di uno o piú
accadimenti che veda coinvolti gli
invidiati. Le locuzioni vengono usate soprattutto quando gli invidiosi mettano a
confronto analoghe situazioni che li abbiano visti protagonisti, ma che non
abbiano avuto soluzioni positive,utili, feconde, favorevoli, vantaggiose o valide, quelle che al contrario son occorse a
gli invidiati.
Analizziamo
singolarmente le espressioni:
Che
sciorta! Ad litteram: Che sorte!
Id est: Che (gran, buona) fortuna (à avuto oppure
ànno avuto colui/coloro)! Come si vede nella locuzione è sempre sottinteso
l’aggettivo grande (granna) oppure buona (bbona) che accompagna il
sostantivo f.le sciorta, s.vo che [con derivazione dal lat. sorte-m] vale destino, sorte, fortuna la
cui valenza positiva (bbona sciorta) o negativa (mala sciorta) è indicata appunto
dall’aggettivo che l’accompagna.
Rammento che
talvolta l’espressione a margine è usata sarcasticamente per autocommiserarsi ed in tal frangente va intesa in senso
antifrastico: accidenti, che sventura mi
è occorsa!
E passiamo
alla piú icastica ancorché
becera:
Che mazzo! che ad
litteram vale: Che sedere, che fondoschiena! Anche questa locuzione, per essere
intesa al meglio nel suo significato di invidioso commento alla buona fortuna
altrui, dovrebbe vedere il sostantivo mazzo addizionato dell’ aggettivo rutto oppure scassato . Indico qui di sèguito la semantica
dell’espressione e la ragione dell’opportunità di addizionarla
dell’aggettivo rutto oppure scassato
il tutto dopo d’aver ricordato che il s.vo.m.le mazzo di per sé in primis è l’ano e poi per
sineddoche il culo, il sedere,il
deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e
degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. alibi) non son forniti di natiche, ma del solo ano;
cionnonpertanto nella locuzione ‘a
gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo esaminata altrove si
preferisce mantenere la voce mazzo
riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare di ‘o bbuco
d’’o culo con cui in napoletano,
accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo
è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e
la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare
mazza à dato mazzo;la
maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra
un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al
maschile mazzo anche tenendo presente
che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso, se maschile, piú piccolo o
contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú
piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú
piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú
piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú
piccolo ), fanno eccezione ‘o
tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de
‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è
certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone.
A margine di
questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o
carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom.
lat. med. macĭus. Quanto alla
semantica dell’espressione, essa è risalente addirittura alle teorie di Ippocrate
di Cos o Kos (Coo, 460 a.C.
circa – †Larissa, 377 a.C.) medico,
geografo
e aforista
greco antico,
considerato il padre della medicina
il quale riportando un’elencazione di
alcuni organi del corpo umano ritenuti sede di sentimenti e/o sensazioni
rammentò che la memoria risiedesse nel cervello, l’amore nel cuore, il coraggio
nel fegato e buon ultima la sorte, il destino nel fondoschiena e nell’inteso
greco si ritenne che un sedere sodomizzato fósse titolare di piú
ampia fortuna in quanto per i greci antichi la sodomia non fu onta subíta,
ma veicolo per ottenere il favore dei facoltosi e dei potenti e pertanto fósse una comoda via per aggrandire la propria
buona fortuna rappresentata da guadagni o favori ricevuti!
Non mi pare ci
sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato
l’amica B.G. ed interessato qualcun altro
dei miei ventiquattro lettori e chi forte
dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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