FORCHETTA e dintorni
Mi dilungo un po', ma spero fruttuosamente, sull’argomento
in epigrafe, argomento che m’auguro
interessi anche qualcun’ altro dei miei ventiquattro lettori, dietro richiesta
del caro amico P. G. (i consueti
problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e
cognome).
Premesso che con il termine forchetta, cioè piccola forca (dal latino furca-m, ma pervenutoci attraverso il francese fourchette) in italiano si intende quel piccolo arnese di metallo o altro materiale provvisto di tre o piú rebbi o denti, col quale si infilza il cibo per portarlo alla bocca,arnese che venne probabilmente inventato in Oriente, nell'ambiente di Bisanzio, dove comparve sulle tavole elegantemente imbandite addirittura tra l'VIII ed il X secolo. Di qui emigrò con una certa facilità immediatamente dopo in Italia, dove ebbe la sua definitiva sistemazione, cosí come la conosciamo e di lí invase un po’ tutta l’Europa occidentale.
È quasi certo infatti che la forchetta fu vista per la prima volta su una tavola dell'Europa occidentale,proprio in Italia, durante il famoso banchetto di nozze tra la principessa greca Argillo ed il figlio del doge di Venezia, svoltosi nel 955. La tradizione vuole che in quell'occasione, mentre tutti, com’era costume dell’epoca, fossero intenti a mangiare con le mani, la raffinata principessa si portasse alla bocca il cibo aiutandosi con una piccola forchetta d'oro a due rebbi. Evidentemente nella cerchia bizantina l'uso di questa posata era già diffuso, ma a Venezia ciò suscitò un tremendo scandalo: secondo le cronache dell'epoca tale novità parve un segno di raffinatezza talmente eccessivo, quasi d’ispirazione demoniaca, che la principessa fu severamente disapprovata dai preti, i quali invocarono su di lei la collera divina. Poco tempo dopo fu colta da una malattia innominabile, e san Bonaventura non esitò a dichiarare, assai poco caritatevolmente, ed assai poco correttamente alla luce degli insegnamenti ecclesiali, che s’ era trattato di un castigo di Dio. L’uso comunque di quella posata si diffuse rapidamente anche per merito della raffinata Caterina de’ Medici e di suo figlio Enrico III, che ne impose l’uso generalizzato e fu cosí che la forchetta invase tutta l’Europa soprattuto sulle tavole dei nobili e sulle mense di tutte le corti europee e l’uso summenzionato della forchetta a due o tre rebbi durò varî secoli, fino a tutto il 1850, quando alla corte di Napoli il re Ferdinando II Borbone delle Due Sicilie(Palermo, 12 gennaio 1810 – †Caserta, 22 maggio 1859), che era golosissimo di maccheroni,soprattutto di quelli a trafila lunga e sottile détti vermicelli che la plebe era solita consumare addirittura per istrada, portandoli alla bocca con le mani, stanco di non poter farsi servire nei pranzi di corte codesti amati maccheroni (ché non era possibile consumarli con le posate ordinarie),diede mandato al suo ciambellano (e non maggiordomo, come erroneamente talvolta si riporta) Gennaro Spadaccini di risolvergli, pena il licenziamento, la faccenda; e lo Spadaccini, adeguatamente poi remunerato, ebbe un’idea semplice, ma geniale: portò da tre a quattro e poi a cinque i rebbi della forchetta, per modo che fosse possibile ammatassare con facilità i vermicelli, che da quel momento furono serviti ai pranzi di corte, accontendando il goloso sovrano.
Esaurito cosí il riferimento storico, passiamo ad occuparci del lato linguistico.
Dirò perciò che attualmente, impoveritisi – per troppi motivi, che non sto qui ad esaminare – la parlata napoletana ed il suo vocabolario, la posata di cui sopra è sbrigativamente chiamata furchetta evidente corruzione del termine forchetta italiana, ma anticamente ebbe almeno tre nomi che sono:
1)vrocca, dal basso latino bruccus (dai denti sporgenti)con tipica alternanza B/V
2) brucchiera , con il medesimo etimo: bruccus addizionato del suff.f.le di pertinenza iera collaterale di era dal maschile iere suffisso di sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in italiano, la cui origine è il lat. -ariu(m); forma nomi di professioni, mestieri, attività o nomi di utensili.
Premesso che con il termine forchetta, cioè piccola forca (dal latino furca-m, ma pervenutoci attraverso il francese fourchette) in italiano si intende quel piccolo arnese di metallo o altro materiale provvisto di tre o piú rebbi o denti, col quale si infilza il cibo per portarlo alla bocca,arnese che venne probabilmente inventato in Oriente, nell'ambiente di Bisanzio, dove comparve sulle tavole elegantemente imbandite addirittura tra l'VIII ed il X secolo. Di qui emigrò con una certa facilità immediatamente dopo in Italia, dove ebbe la sua definitiva sistemazione, cosí come la conosciamo e di lí invase un po’ tutta l’Europa occidentale.
È quasi certo infatti che la forchetta fu vista per la prima volta su una tavola dell'Europa occidentale,proprio in Italia, durante il famoso banchetto di nozze tra la principessa greca Argillo ed il figlio del doge di Venezia, svoltosi nel 955. La tradizione vuole che in quell'occasione, mentre tutti, com’era costume dell’epoca, fossero intenti a mangiare con le mani, la raffinata principessa si portasse alla bocca il cibo aiutandosi con una piccola forchetta d'oro a due rebbi. Evidentemente nella cerchia bizantina l'uso di questa posata era già diffuso, ma a Venezia ciò suscitò un tremendo scandalo: secondo le cronache dell'epoca tale novità parve un segno di raffinatezza talmente eccessivo, quasi d’ispirazione demoniaca, che la principessa fu severamente disapprovata dai preti, i quali invocarono su di lei la collera divina. Poco tempo dopo fu colta da una malattia innominabile, e san Bonaventura non esitò a dichiarare, assai poco caritatevolmente, ed assai poco correttamente alla luce degli insegnamenti ecclesiali, che s’ era trattato di un castigo di Dio. L’uso comunque di quella posata si diffuse rapidamente anche per merito della raffinata Caterina de’ Medici e di suo figlio Enrico III, che ne impose l’uso generalizzato e fu cosí che la forchetta invase tutta l’Europa soprattuto sulle tavole dei nobili e sulle mense di tutte le corti europee e l’uso summenzionato della forchetta a due o tre rebbi durò varî secoli, fino a tutto il 1850, quando alla corte di Napoli il re Ferdinando II Borbone delle Due Sicilie(Palermo, 12 gennaio 1810 – †Caserta, 22 maggio 1859), che era golosissimo di maccheroni,soprattutto di quelli a trafila lunga e sottile détti vermicelli che la plebe era solita consumare addirittura per istrada, portandoli alla bocca con le mani, stanco di non poter farsi servire nei pranzi di corte codesti amati maccheroni (ché non era possibile consumarli con le posate ordinarie),diede mandato al suo ciambellano (e non maggiordomo, come erroneamente talvolta si riporta) Gennaro Spadaccini di risolvergli, pena il licenziamento, la faccenda; e lo Spadaccini, adeguatamente poi remunerato, ebbe un’idea semplice, ma geniale: portò da tre a quattro e poi a cinque i rebbi della forchetta, per modo che fosse possibile ammatassare con facilità i vermicelli, che da quel momento furono serviti ai pranzi di corte, accontendando il goloso sovrano.
Esaurito cosí il riferimento storico, passiamo ad occuparci del lato linguistico.
Dirò perciò che attualmente, impoveritisi – per troppi motivi, che non sto qui ad esaminare – la parlata napoletana ed il suo vocabolario, la posata di cui sopra è sbrigativamente chiamata furchetta evidente corruzione del termine forchetta italiana, ma anticamente ebbe almeno tre nomi che sono:
1)vrocca, dal basso latino bruccus (dai denti sporgenti)con tipica alternanza B/V
2) brucchiera , con il medesimo etimo: bruccus addizionato del suff.f.le di pertinenza iera collaterale di era dal maschile iere suffisso di sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in italiano, la cui origine è il lat. -ariu(m); forma nomi di professioni, mestieri, attività o nomi di utensili.
3) cincurenza e cioè dai cinque denti , nome originariamente di pertinenza del forcone usato per spostare la paglia ed il fieno e solo successivamente riferito, in ispecie dalla plebe campagnola, alla posata; per traslato, poi, il termine cincurenza indicò anche la mano (provvista di cinque dita) e da ciò la frase idiomatica: menà ‘a cincurenza (letteralmente: gettar la mano) id est: rubare. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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