venerdì 27 marzo 2020

DUE DATATE LOCUZIONI


DUE DATATE LOCUZIONI
1)‘O CIUNCO I ‘O CECATO 2)’E SURDATE ‘E GIACCHINO: PEZZIENTE E FFANTASIUSE.
Ancóra  una  volta tenterò di dare adeguata risposta ad un  quesito dell’amico P.G. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza delle due  antiche espressioni in epigrafe, molto usate un tempo e che ancóra si possono cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan.Le due locuzioni non ànno punti di contatto per cui me ne occuperò separatamente cominciando da quella sub 1) ‘O ciunco e ‘o cecato. Ad litteram essa sta per il paralitico ed il cieco ed è espressione usata con riferimento sarcastico ad una coppia di individui che male in arnese procedano di conserva tendando inutilmente di prestarsi aiuto reciproco che non potrebbero mai fornirsi attese le pesanti menomazioni di cui son portatori. In senso piú ampio se non per motafora è locuzione da usarsi nei confronti di qualunque coppia di soggetti male assortiti che non possono  sortire né sortiscono dal proprio operato risultati positivi poste le gravi carenze o  insufficienze fisiche, ma piú spesso morali, di cui son portatori.In origine ( fine del XVI e l'inizio del XVII sec.) l’espressione nacque con riferimento ad   un’autentica coppia di individui, due musicanti   (male in arnese) che si esibivano di conserva dandosi, ma non si sa quanto reale e proficuo, aiuto. I due individui furono lo storpio  Janne de la Carreòla  (Giovanni della Carriola)   cantastorie  che armato di calascione si esibiva assiso su di una carriola, ed il cieco Junno cecato.che l’accompagnava suonando verosimilmente  il violino.Di questo Giovanni della Carriola   se ne ignorano il cognome ("della Carriola" è un evidente soprannome relativo al veicolo col quale o sul quale, essendo  storpio privo delle gambe, si spostava, aiutandosi con le mani o  lasciandosi trainare), il luogo e la data di nascita precisi. Si sa che fu poeta popolaresco e cantastorie attivo a Napoli, come ò détto,  tra la fine del XVI e l'inizio del XVII sec. Ad attestare la notevole consistenza della sua fama, il suo nome ricorre nelle maggiori opere dialettali napoletane dei primi decenni del Seicento: nel Micco Passaro di G. C.Cortese(Napoli, 1570 –† Napoli, 1640), accostato con intenti ironici a quello del Tasso(Sorrento, 11 marzo 1544 –† Roma, 25 aprile 1595) (e tale contiguità, anche se volutamente paradossale, resta degna di nota), nel LoCunto de li cunti di G.B. Basile(Giugliano in Campania, 1575 –† Giugliano in Campania, 23 febbraio 1632), significativamente primo nella triade dei principali "cantature" di Napoli che l'Orca del racconto Le tre corone (jornata IV, trattenimiento VI) invoca nel suo giuramento, e nella Tiorba a taccone, il canzoniere dell'enigmatico F. Sgruttendio,(di cui si ignora ogni  dato anagrafico),  inserito in elenchi di cantastorie ormai scomparsi, rievocati con tono di affettuosa nostalgia.
Il della Carriola  risulta autore di tre brevi componimenti in ottave: la Favola bellissima dimandata sdegno d'amanti, La morte di Martia Basile napolitana, e il Dialogo tra un povero di campagna et un ricco della città.Il secondo dei tre poemetti fornisce un'utile indicazione cronologica trattando di un episodio realmente accaduto a Napoli nel 1603 (come Benedetto Croce poté provare attraverso documenti, l'esecuzione di Martia/Marzia avvenne il 7 aprile di quell'anno) ed essendo verosimilmente stato scritto "a caldo", è anche il solo nel quale compaia il nome dell'autore a mo' di firma nel testo stesso che termina con i versi: "Et io Giovanni della Cariola / fermo la penna, inchiostro, e la parola". Ugualmente mancano precise notizie biografiche dell’altro musicante noto come Junno cecato ( il Biondo cieco) che con Janne de la Carreòla  formarono una coppia antesignana di posteggiatori.
Janne  nome proprio m.le = Giovanni (dal lat. Iohannes→I(oh)anne(s)→Janne) che dalla voce ebraica d’origine vale dono del Signore.
carreòla nome comune f.le = carriola

1 piccolo carretto di forma svasata, con una ruota e due stanghe, che si spinge a mano
2 quantità di materiale che può essere contenuta in questo carretto: una carriola di sabbia.
3 come nel caso che ci occupa piccolo mezzo di trasporto di fortuna costituito da un contenuto piano di legno munito di una corda e di  quattro piccole rotelle montate su due assi di cui quella anteriore orizzontabile a dritta o a mancina; tale mezzo era usato (antesignano della sedia a rotelle) o dagli storpi privi di gambe oppure quale mezzo ludico dai bambini con il nome di carruocciolo o carruocelo (a seconda che fosse usato nella zona collinare della città dove era détto carruocciolo per il maggior strepitio che produceva, oppure fosse usato nella zona pianeggiante della città bassa dove era détto carruocelo  con voce piú pacata stante il minor rumore ch’esso produceva...); la voce carreola è un denominale del lat. carru(m)  addizionato del suffisso diminutivo f.le  ola dal m.le olus; ugualmente  dal lat. carru(m) deriva   carruocciolo/ carruocelo qui però addizionato non solo del suff. diminutivo  olo/elo← olus , ma anche del suffisso occio/oce  suffisso alterativo  dal lat. volg. -oceu(m); con  valore diminutivo-vezzeggiativo;
Junno di per sé agg.vo m.le, ma qui usato come soprannome = biondo; etimologicamente junno è(cfr. D.E.I.)un prestito dell’ant. francese blond→biondo→(b)iondo→jonno/junno
ciunco agg.vo m.le  il f.le è per metafonesi cionca  = storpio/a paralitico/a sciancato/a, paraplegico/a, impedito/a nei movimenti degli arti superiori e/o inferiori; quanto all’etimo il prof. D’Ascoli fantasiosamente ipotizza un non attestato lat. reg. *concius deverbale di un *conciare; non ci siamo: la fantasia può aiutare a trovare gli etimi, non può inventarseli senza darne conto né morfologico, nè semantico!
Secondo  l’amico prof.C. Iandolo  e l’amico avv.to Renato de Falco si tratta invece  di un deverbale di truncare (atteso che lo storpio è privato di uno o piú arti o quanto meno  ne è impedito nell’uso; semanticamente la faccenda potrebbe reggere, ma nè Iandolo, nè il  de Falco spiegano come faccia (morfologicamente) il gruppo consonantico tr a diventare ci; mi spiace per loro, ma non mi convincono, quantunque  il  de Falco in una sua lezioncina orale rammentò che i siciliani usano leggere ci il gruppo consonantico tr (cfr. Trapani lètto Ciapani),ma a mio parere, non basta! Trovo invece che ci si possa lasciar convincere  dall’idea  di chi (S. Giarrizzo ed altri) legge in ciunco un lat. uncus(= contratto, rattrappito, piegato) con prostesi d’un antico prefisso k  donde uncus→kuncus→ciunco.
cecato agg.vo m.le = cieco, non vedente privo della vista, dell’uso degli occhi;  di per sé voce verbale (participio passato dell’infinito cecà/cecare  che in italiano è anche presente con morfologia   addizionata in posizione protetica
di un rafforzativo ad→ac ottenendo accecare: i verbi cecà/cecare  ed accecare son comunque denominali del lat. caecu(m).
E veniamo alla locuzione sub 2) ’E surdate ‘e Giacchino: pezziente e fantasiuse. Ad litteram essa sta per I soldati di Gioacchino (Murat): poveri, ma altezzosi  ed è espressione usata con riferimento sarcastico a tutte quelle persone che confidando sulle sole apparenze si mostrino nei rapporti interpersonali altere, arroganti, boriose,  presuntuose, sprezzanti, spocchiose pur in mancanza di ricchezze materiali e/o  ancór piú di  risorse morali o capacità operative; per venire a capo del perché di tale riferimento ironico che pervade l’espressione occorre rammentare che Gioacchino Murat  nato Joachim (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – †Pizzo Calabro , 13 ottobre 1815),cognato di Napoleone Bonaparte fu un generale francese,poi dal 1808  re di Napoli; in tale veste nel  riordinare l’esercito  pur decurtando il soldo dei militari,rendendoli perciò quasi poveri,  provvide a fornire la truppa (non soltanto gli ufficiali, ma anche i militi semplici) di sfarzose, rutilanti divise di cui essi militari si gloriavano pavoneggiandosi soprattutto con le donne ed ostentando con gli uomini  albagia, boria, superbia, vanità, vanagloria, tracotanza fondate sul nulla.Cosí ad un dipresso si comportano quegli  individui cui vien riferita l’espressione usi   come sono, nei rapporti interpersonali a pavoneggiarsi,  ad andar tronfi compiacendosi di se stessi,  relazionandosi con il prossimo da una posizione arrogante e/o boriosa, boria che poggia però sul nulla, non avendo la persona che inalberi quel tal comportamento arrogante veri motivi o  conclamate ragioni su cui poggiarlo.
surdate s.vo m.le pl. di surdato =  1 un tempo, chi faceva il mestiere delle armi per il soldo; mercenario:

2 oggi, chi milita in un esercito; militare, soldato; voce denominale di sordo (soldo)
dal lat. solidu(m)→sol(i)du(m)→ soldu(m)→sordo  (nummum) '(moneta) massiccia', nome di una moneta d'oro romana dell'età imperiale:
pezziente/i agg.vo e s.vo m.le pl. di pezzente mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di estrema miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente).è anche voce dell’italiano (dove al pl. è però  pezzenti al contrario del napoletano dove nel pl.  la sillaba implicata[cioè seguíta da due consonanti] ze di pezzente per ragioni di metafonia dittonga), è anche voce dell’italiano ma di  patente origine  merid., propriamente  part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. petere 'chiedere'.
fantasiuse  agg.vo  m.le pl. di fantasiuso
1pieno, ricco di fantasia; estroso, bizzarro: una persona, una mente fantasiosa; un'architettura fantasiosa
2 che non à corrispondenza con la realtà; inverosimile:
3  come nel caso che ci occupa altezzoso, borioso spocchioso, arrogante, vanaglorioso, tronfio; è voce etimologicamente denominale di fantasia addizionata del suffisso uso/oso suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità; la voce fantasia  in napoletano vale oltre che estro ispirazione, vena, fantasia, creatività; inclinazione, propensione,  anche boria, spocchia (cfr. se nn’è gghiuto ‘nfantasia= si è montato la testa)  ed è  dal lat. phantasia(m), che è dal gr. phantasía 'apparizione, immaginazione', da phantázein 'far vedere').
 E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento,  d’aver adeguatamente risposto al quesito dell’amico P.G.   e sperando d’avere interessato  i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak



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