domenica 1 marzo 2020

IL RAGÚ NAPOLETANO


IL RAGÚ NAPOLETANO
Il ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana. È diverso per gli ingredienti, per la lunga  preparazione, per l'estrema attenzione che richiede,per quella tipica fase di preparazione, fase  detta del peppiare ed infine  per l'aroma che purtroppo sempre piú raramente si  diffonde, il sabato sera,  nelle scale dei palazzi di Napoli, dove ahimé sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti mediatici che ànno convinto anche i poveri napoletani a bandire dal loro desco domenicale questa  sontuosa salsa per sostituirla con insipide salsine bollite, senza nerbo e/o gusto, insipide e prive di grassi animali, salsine  che mai e poi mai possono convolare a felici nozze sulla tavola domenicale con i tronfi  maccarune ‘e zite spezzati a mano  o, meglio ancora, con duttili pacchere  magari ‘mbuttunate!
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’antan, che  - come carbonari o cospiratori del tempo andato continuano a parlare e talvolta a preparare mitici ragú come il Cielo comanda!

Molti grandissimi della letteratura e dell'arte lo ànno celebrato.Rammenterò per tutti don Peppino Marotta che usava dire che il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga e/o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!
Io mi limito a riportarne  la ricetta, premettendo  che il risultato finale dipenderà quasi esclusivamente dalla sensibilità e dalla … mano calda (lèggi: attenzione, preparazione, solerzia ed …amore)  del cuoco o della cuoca. 
Prima però  di dare la ricetta con ingredienti e preparazione, soffermiamoci sulla espressionePEPPïARE / peppïà che è voce onomatopeica indicante quella fase propedeutica  del momento prossimo alla conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, affiorano ripetutamente  in superficie delle bolle  d’aria che al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello  che  produce  chi  tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in maniera piuttosto imprecisa e  superficiale: sobbollire.
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 Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta – oltre che nel tenere la fiamma piuttosto bassa- nel non turare completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola mentre in direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di un’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto  che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno,  si potrà spegnere il fuoco .
In chiusura rammenterò che la voce peppïà  è resa  nelle Puglie con il termine pippijà che, ad un dipresso, ripete l’onomatopea partenopea peppïà, mentre in Sicilia è usato il termine carcariare  voce che, risultando essere un denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che l’azione significata dal vocabolo presupponga un’ebollizione così violenta tale  che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppïare che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In napoletano, in effetti,  il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi. 
Rammento infatti  ancòra  che quando in napoletano vogliamo indicare un'azione agitata di un individuo che aneli a qualcosa e lo voglia  subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato,  quell'individuo sta scarcarenno ossia è cosí agitato da  tracimare  l'ipotetica pentola del comportamento.

peppïà – pippijà = pipeggiare, fare il rumore della pipa ; voci onomatopeiche.
carcarïare/carcarïà =rumoreggiare; bulicare rumorosamente; voce verbale denominale di carcara che con derivazione dal  lat. tardo (fornacem) calcaria(m), deriv. di calx.calcis 'calce' indica innanzitutto la fornace in cui si fanno cuocere i calcari per produrre la calce o il  forno in cui si fonde la miscela di sabbia e soda usata per fabbricare il vetro e per traslato – nel caso che ci occupa -  una grossa pentola, una caldaia, un  grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa;
scarcarenno = tracimando  la caldaia  voce verbale (gerundio ) dell’infinito
scarcarí = tracimar la caldaia neologismo  denominale di carcara  da un  
ex-carcara   però con cambio di coniugazione  che da un  atteso excarcarïà   che avrebbe dato il gerundio scarcarianno, passa ad excarcarí il cui gerundio è scarcarenno dell’espressione sta scarcarenno = sta figuratamente  tracimando la pentola.

E veniamo alla preparazione; cominciamo con

Ingredienti e dosi per 6 persone

Per la prima fase di preparazione, la lardellatura
  • 100 g. di prosciutto crudo possibilmente grasso o di lardo di pancia,
  • 50 g. di pancetta tesa  affumicata ,
  • Un ciuffetto di prezzemolo
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  • Pepe q.s.
Per la seconda fase
  • 1,5 Kg. in un sol pezzo  di primo taglio di manzo (spalla(pezza a cannella) retocoscia/vacante (fetta di mezzo) o meno opportunamente lacerto  (magatello)
  • 3  tracchiolelle (puntine) di maiale per complessivi 400 g.(facoltative)
  • 500 - 600 g. di cipolle vecchie
  • 100 g. di strutto
  • 50 g. di lardo di pancia
  • 1 bicchiere d'olio d’oliva e.v.
  • 50 g. di pancetta tesa  affumicata
  • 250 - 300 ml di vino rosso secco
  • Da 100 a 300 grammi di concentrato di pomodoro
  • 1 litro e mezzo di passata di pomodoro o 1 kg. e mezzo di pomidoro tipo Roma o san Marzano sbollentati, pelati e passati al passaverdure a buchi fitti.
  • Un ciuffetto di basilico
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  • sale doppio q.s.
Preparazione
Lardellate la carne con il prosciutto, la pancetta, il prezzemolo ed il pepe e legatela bene.
Tritate grossolanamente  , usando un affilatissimo coltello o  una lama a mezza luna, su un tagliere di legno prima il lardo e, via via la rimanente pancetta, e le cipolle. Si può anche usare un tritacarne per questa operazione, sarà un’operazione più rapida, ma la sconsiglio; infatti  c'e il rischio di perdere il succo e con esso l’aroma delle cipolle.

Ponete tutto il trito  nella casseruola possibilmente di coccio o di rame stagnato, insieme allo strutto ed all'olio e, a fuoco bassissimo, riscaldate fino a quando lo strutto sarà fuso e la cipolla comincerà appena a soffriggere. Aggiungete la carne e, per chi vuole seguire la  variante, le puntine (tracchiolelle) di maiale.
Coprite e lasciate rosolare , sempre a fuoco bassissimo, rivoltando frequentemente le carni.

Attenzione! Le puntine di maiale cuociono molto prima, quindi potrebbe essere necessario toglierle per qualche tempo dalla pentola.

Quando le cipolle cominciano a prendere colore, scoprite, mescolate e rivoltate la carne più spesso, aggiungendo poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Fatto questo, le cipolle saranno ormai ben rosolate, ogni traccia di liquido sarà sparita e non rimarrà che il grasso che sobbolle lentamente.

Questa prima fase vi vedrà impegnati per circa 2 - 2,5 ore. Durante tutto questo tempo non è consigliabile allontanarsi dai fornelli: le cipolle potrebbero bruciare, rovinando tutto.

Seconda fase
Aumentate, ma di poco, il fuoco, per dargli un po' di forza, ma non molta: appena sufficiente ad accogliere gli altri ingredienti che sono freddi.

Aggiungete non più di due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere, fino a quando non diventa scurissimo.Fate molta attenzione: il concentrato deve sciogliersi nel grasso,  prendendo sì colore,  ma non bruciare!
Solo a questo punto va aggiunto tutto l’altro concentrato, sempre nelle stesse quantità, e così via, sempre con la stessa procedura, finché non l'avrete terminato.

Durante questa fase sicuramente le puntine (tracchiolelle) di maiale saranno cotte e vanno tolte delicatamente, per evitare che si spacchino aprendosi  e disfacendosi.

Questa seconda fase (ancor piú delicata della prima perché dovrete controllare la cottura della carne e perché si corre il rischio che il pomodoro si attacchi) vi impegnerà per altre 2 o 3 ore.
A questo punto aggiungete tutto il passato di pomodoro,un po’ di sale  le foglie di basilico spezzettate a mano e non più di un mestolo d'acqua,e a pentola scoperta  lasciate prima cuocere per circa un’ora e poi, incoperchiando come suggerito, lasciate  peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per almeno un'ora e mezzo.

Se non l'avete già fatto, togliete tutta la carne e disponetela in un piatto: la rimetterete nel sugo a fine cottura.

La salsa sarà cotta quando vi apparirà densa, lucida, scurissima ed untuosa.

Verificate il sale, non dovrebbe essere necessario aggiungerne, rimettete la carne in casseruola e lasciate riprendere il bollore per pochi minuti.

Dato il tempo di preparazione (almeno 7 ore) vi suggerisco  di preparare il ragú il sabato, trasferendolo alla fine della cottura dalla pentola in una zuppiera di coccio o porcellana. Inoltre, lasciandolo riposare, il ragú matura e risulterà ancora piú gustoso.
 Questa salsa  va usata per condire 6 o 7 etti di maccheroni di zite spezzettati a mano in pezzi da 4 o 5 cm. cadauno.
Spolverare le porzioni impiattate con abbondante grana o (meglio ancora!) pecorino grattugiati e profumato pepe nero.
Servire come pietanza la carne affettata coperta con qualche cucchiaio di salsa.


Il ragú si serve, quasi esclusivamente  con la pasta grossa: maccheroni di zitespezzati a mano, ma si possono usare anche rigatoni, maltagliati rigati. Ottimi poi  i paccheri, magari imbottiti con ricotta di pecora ma  difficilmente si posson trovare.
Dopo un congruo piatto di ziti a ragú si può anche   non mangiare altro, fatta eccezione, come detto,  per la carne del ragú, con un contorno di verdura cotta; a Napoli si usano i friarielli(sorta di tenerissime cime di rapa, da soffriggere a crudo in padella con aglio, olio e peperoncino) che altrove non esistono., per cui si possono sostituire con bietole, spinaci o patate stufate.
raffaele bracale



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