MANNAGGIA
Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.
Letteralmente:
accidenti al topolino ed (allo) straccio bagnato.
Il
motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione
da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale.
Varie
le interpretazioni della locuzione in
ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino
qui di seguito le varie interpretazioni e
per ultima segnalo la mia.
1
– (avv. Renato de Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo in epigrafe altro non
sia che il frustolo d’epitelio secco che
si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno
straccetto bagnato. È vero, da ragazzi
usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio e/o pàtina grassa
sporca divelti con il soffregamento
dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico de Falco, per far passare per
buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come
congiunzione ma come aferesi di de e
leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando
in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce
della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la
geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della
e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato de
Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2
–(prof. Francesco D’Ascoli) Il defunto professore (parce sepulto!) nel suo per
altro informato LA FILOSOFIA POPOLARE
NAPOLETANA, sbrigò la faccenda, ravvisando
nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma
del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile
stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne
fa il de Falco leggendo la E
come aferesi di de e non come congiunzione.
3
– (dr. Sergio Zazzera) Il dr. Zazzera si lava le mani e propone un
improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via
uno stoppaccio non si comprende perché umido.
A
questo punto reputo che potrebbe essere
piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una
imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed
un suggerimento dato agli abitanti di
detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio
bagnato per modo che al topo fossero
precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare.Volendo dire: È entrato il
topino?Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare:lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno
straccio bagnato ogni fessura in modo da precludergli vie di fuga e procediamo alla cattura!
Ma
poiché fino a che non ci si sente
soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando
nell’investigazione, mi pare di poter
affermare che la nonna aveva dato una
casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non
inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti
alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati
studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof.
Amedeo Messina che vede nel suricillo (marcato su di un *xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula) il
membro maschile...
Peraltro
l’amico prof. Carlo Iandolo illustre
scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che
nella passata parlata napoletana le
pezze piú note erano quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che
usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna; con il nome
pezze si indicavano altresí quelle che significavano il danaro ed in effetti
tra il 1750 ed il 1865 con il termine pezza si indicò una grossa moneta
d’argento del valore di 12 carlini, ossia 120 grana, moneta pari quindi ad
oltre 1 ducato che contava 100 grana.
Ecco
dunque che , messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna si possa
addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti
commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose
soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile
richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli
abbia dovuto opporre che non era… il
tempo adatto, giacché sebbene ‘o suricillo fosse inastato, ‘a pezza ...era
‘nfosa e dunque l’accesso sconsigliato o vietato!
Etimologicamente il termine mannaggia
è appunto una deformazione ( per una
sorta di sincope e fusione interna con
raddoppiamento espressivo della nasale n)
della frase: ma(le)+ n(e)= malanno
aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat →malum
abjat→malum aggia→ malanno aggia→ ma(la)nn(o)aggia→mannaggia .
Esiste poi una variazione piú letteraria che del
parlato popolare di mannaggia ed è malannàggia, ma è
pochissimo usata pur essendo piú vicina all’etimo iniziale.
Raffaele
Bracale.
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