MO
Nel
napoletano vuoi nei testi scritti, che
nel comune parlare si trova o si sente spessissimo il vocabolo in epigrafe
usato per significare: ora, adesso e,
talvolta esso vocabolo trasmigra addirittura nell’italiano con il medesimo
significato.Ciò che voglio trattare è innanzitutto il suono da assegnare alla
vocale (o) che nel parlato cittadino è pronunciata e va pronunciata con timbro aperto (mò) mentre nella provincia
scivola verso una pronuncia chiusa (mó), dando modo a chi ascolta di poter
tranquillamente definire cittadino o
provinciale colui che pronunci l’avverbio mo che se è pronunciato con la o
aperta connota il cittadino e se è pronunciato con la o chiusa connota il provinciale.
--mo (è possibile trovarlo anche come
mo' o ancóra
mò) avv. - Ora, adesso;
poco fa Concorrente di ora e adesso, mo à una lunga tradizione
storica, ma non si è quasi mai affermato
nell'uso scritto dell’italiano ; resta quindi limitato all'uso parlato di gran
parte d'Italia, in partic. di quella centro-merid.
nel napoletano anche nella forma
iterata mmo mmo con tipico
raddoppiamento espressivo della consonante d’avvio nel significato di súbito, immediatamente, senza por tempo in
mezzo. Rammento che invece che nella forma reiterata mo, mo con la nasale
scempia e separate da una virgola l’avverbio è da intendersi quale esclamazione
nel senso di Un momento!, Con calma!,
Senza affrettarsi!
Detto
ciò passiamo ad un altro problema; come si scrive la parola in epigrafe?
Il
problema non è di facilissima soluzione posto che non v’è identità di vedute circa l’etimologia
della parola, unica strada forse da
percorrere per poter addivenire – con buona approssimazione – ad una corretta
soluzione;
vi
sono infatti parecchi scrittori e/o
studiosi partenopei e non che fanno discendere il termine dall’ avv. latino modo
che accanto a molti altri significati à pure quello di ora, adesso; ebbene, qualora si scegliesse questa strada sarebbe
opportuno scrivere mo’ tenendo
presente il fatto che allorché una parola viene apocopata di un’intera sillaba,
tale fatto deve essere opportunamente indicato
dall’apposizione di un segno diacritico (‘).
Se
invece si fa derivare la parola mo dall’avverbio latino mox = ora, súbito, come io
reputo che sia, ecco che la faccenda diviene piú semplice e basterà scrivere mo senza alcun segno
diacritico.
È,
infatti, quasi generalmente accettato il fatto che quando un termine, per motivi etimologici, perde una sola
lettera (consonante)o piú consonanti in fin di parola e non per elisione (allorché
– come noto – a cadere è una vocale),
non è previsto che ciò si debba indicare graficamente come avverrebbe
invece se a cadere fosse una intera sillaba ovviamente vocalica;
ecco
dunque che ciò che accade per il mo derivante da mox ugualmente accade, in napoletano, per la parola cu (con) derivante dal latino cum e per pe (per) dove cadendo una semplice
consonante ( m oppure r) e non una sillaba non è necessario usare il segno
dell’apocope (‘) ed il farlo è inutile, pleonastico, in una parola errato! La
stessa cosa accade per l’avverbio napoletano di luogo lla (in quel luogo, ivi) avverbio che in italiano è là; sia l’avv. napoletano che quello italiano
sono ambedue derivati dal lat. (i)lla(c): in napoletano mancando un
omofono ed omografo lla non è
necessario accentare distintivamente l’avverbio, come è invece necesario
nell’italiano là dove è presente
l’omofono ed omografo la art. determ.
f.mle,
Nel
napoletano scritto c’è una sola parola nella quale cadendo una consonante
finale è necessario fornire la parola residua di un segno d’apocope (‘): sto
parlando della negazione nun= non che talvolta viene
apocopata in nu da rendersi nu’ per evitarne la confusione con
l’omofono ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘)
d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni
addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente
invalso l’uso di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza
alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo
femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico,
quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran
dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta e non fosse invece, quale
a mio avviso è, segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiamassero
pure Di Giacomo,F.Russo,
E. Nicolardi etc.e giú giú fino ad E.De
Filippo.)A mio avviso infatti è buona norma corredare sempre del segno (‘)
d’aferesi le parole che etimologicamente lo richiedano; in un sol caso se ne
può fare a meno: solo quando la parola aferizzata per la sua posizione richiede
anche il segno di elisione e ciò avviene ad esempio per gli aggettivi ‘sto
Qualcuno
mi à fatto notare che il termine mo
non potrebbe derivare da mox in quanto, pare, che una doppia
consonante come cs cioè x non possa
cadere senza lasciar tracce, laddove ciò è invece possibile che accada specie
per una dentale intervocalica come la d di modo.
Ora,a
parte il fatto che anche le piú ferree regole linguistiche posson comportare
qualche eccezione (come avviene ad es. per la voce della lingua nazionale re che pur derivata dritto per dritto dal latino re(x),si
scrive senza alcun segno diacritico traccia della x , anche ammettendo che il napoletano mo discenda da modo e non da mox non si capisce
perché esso mo andrebbe apocopato (mo’) o addirittura
accentato (mò) atteso che vige comunque la regola che i monosillabi vanno
accentati solo quando,nell’àmbito di un
medesimo sistema linguistico, esistano omologhi omofoni che potrebbero creare
confusione.
Penso
perciò che forse sarebbe opportuno nel
toscano/italiano accentare il mò (ora,
adesso) per distinguerlo dall’apocope di modo (mo’ dell’espressione a mo’ d’esempio), ma nel napoletano non
esistendo il termine modo né la sua
apocope è inutile e pleonastico aggiunger qualsiasi segno diacritico (accento o
apostrofo) al termine mo
(ora/adesso).
Raffaele Bracale
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