sabato 4 aprile 2020

PRIÉZZA


PRIÉZZA
L’amico A.M. (che i consueti problemi di riservatezza mi impongono di identificare con le sole iniziali) mi à chiesto di illustrargli la parola in epigrafe.
Gli ò cosí risposto: La voce napoletana a margine, attestata anche come prejezza antica e desueta come che  soppiantata indegnamente da termini quali: alleria, allerezza, addecrio [che però non riescono semanticamente a coprire l’ampio ventaglio dei suoi  significati] si può rendere con le voci italiane:contentezza,grande gioia,letizia,e persino tripudio; piú in generale essa voce, usata al singolare indica  una manifestazione rumorosa d’allegria, di gioia, di soddisfazione; quando è    usata al plurale (priézze) sta ad indicare anche   le moine,le smancerie, i gesti d’affettuosità  dei bambini, e talvolta degli adulti  nei confronti dei proprî genitori;circa  l’etimo della voce in epigrafe c’è gran confusione: qualcuno, come  l’amico C. Iandolo  pensa ad   un  deverbale di priarse= gioire, rallegrarsi  forse  da un tardo latino precari sibi= pregare per sé(con fiducia e speranza), qualcun altro,  come il Cortelazzo lesse in priézza/prejezza un ant. francese presier .Infine l’amico Renato de Falco rifacendosi al REW [Romanisches Etymologisches Wörterbuch] propende per un lat. pretium. Non trovo sufficientemente   convincente nessuna ipotesi e, nel dubbio, meglio,  a mio avviso,affidarsi al D’Ascoli, che sulla scorta di  Rohlfs, optò per  una derivazione dal catalano prehar  da collegarsi ad un  basso latino *pretiare [sibi]= allegrarsi E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.M. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in questa paginetta.Satis est.
 Raffaele Bracale

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