SQUATTRINATO, MISERO, POVERO
Ancóra una volta
prendo spunto da una richiesta fattami
da un caro amico: P.G.del quale per
problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome,
amico facente parte della Ass.ne Ex
Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di
Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie
paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa a due desuete parole napoletane usate per solito di
conserva:liscio e sbriscio un tempo usate addirittura agglutinate: liscesbriscio ; prendo spunto dicevo per
parlare delle voci italiane in epigrafe
ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano e sono molto
contento della richiesta perché mi darà modo di illustrare alcune parole
napoletane antiche e disusate, ma grandemente icastiche. Cominciamo ordunque
con le voci dell’italiano dove accanto a squattrinato, povero, misero, troviamoindigente, bisognoso, meschino, micragnoso,
nullatenente; esaminiamole singolarmente:
squattrinato/a, agg.vo e
s.vo m.le o f.le
che, chi non à
quattrini; spiantato; etimologicamente è il part. pass. di squattrinare/arsi verbo disusato = privare/privarsi di quattrini(
verbo denominale di quattrino(
der. di quattro; propr. «moneta di quattro denari») con il prefisso distrattivo s);
povero/a, agg.vo e
talvolta s.vo m.le o f.le
1.
a. Riferito a persona, che
non dispone a sufficienza di quanto è essenziale per vivere, per sostentarsi,
che à scarsi mezzi economici, che manca del denaro necessario e di tutto
quanto il denaro può procurare (si contrappone a ricco, ed è sempre posposto, in questa
accezione, al sost. cui si riferisce): à
sposato una ragazza p.; è
gente p.; le
famiglie piú p. della
città; in posizione predicativa: essere p.; sono
molto poveri; diventare
p.; è nato,
è vissuto, è morto p.; mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo
(Manzoni); rafforzato con valore superl.: esser
povero povero; essere
povero come Giobbe; essere
povero in canna, poverissimo. Con uso sostantivato: elenco dei p. del comune; ospizio per i p.; prima di morire distribuí ai p.
tutti i suoi averi;
sfruttare i p.; aiutare i p.; nell’uso
comune, mendicante, accattone: vicino
al portone c’è un p. che
chiede l’elemosina. Analogam., di collettività prive di mezzi o
scarse di risorse economiche: un
istituto, un
convento p.; villaggi
molto p.; una
nazione p.; i
paesi p. del
terzo mondo. b.
Che indica o manifesta povertà, miseria, triste condizione (può essere
anteposto o posposto al sost. cui si riferisce; nel primo caso esprime una
maggior partecipazione del parlante): vivere
in p. stato;
ognuno à fatto la sua p.
offerta; i bambini del paese ànno portato i
loro p. doni;
dopo una p. cena (o una cena p.) andarono a dormire; essere vestito di p. panni; giacere in un p. giaciglio. Che è abitato
da gente povera, e quindi appare estremamente umile e modesto nell’aspetto: un paese formato di p. case; abitano in p. capanne; quartieri p.; questa è una casa p., ma onesta; Nel suo p. tetto educò un lauro Con lungo amore
(Foscolo); che appartiene a gente povera: sedevano
su p. panche;
tirò fuori le sue p.
cose. c. Arte p., nel linguaggio
delle arti figurative, tendenza di ricerca artistica manifestatasi verso la
fine degli anni ’60 del Novecento, che, rifiutando lo spirito formalista
della pop art, in partic. l’attenzione posta ai valori iconografici, e
opponendosi a forme di manipolazione o sofisticazione, mira al recupero del
contingente come sola possibilità d’arte, facendo ricorso a materiali non
nobili o addirittura banali (quali carta, pietra, stoffe, vegetali, ecc.), e
si pone come presa di coscienza delle possibilità espressive insite nella
materia; con altro sign., nel linguaggio degli antiquarî, metodo economico
(detto anche lacca dei
poveri) di decorare mobili e altri oggetti d’arredamento con
applicazioni di stampe ritagliate o mediante decalcomanie. Architettura p., locuz.
con la quale ci si riferisce a piccole costruzioni in genere realizzate dalle
stesse persone che le abiteranno, senza un progetto, spesso su terreno
demaniale e con materiali riciclati e di risulta, a volte utilizzate come
seconda casa; negli anni ’70 specialmente negli Stati Uniti, opere di questo
genere sono state realizzate nell’ambito di movimenti giovanili tendenti al
rifiuto delle convenzioni e particolarmente attenti alle problematiche
ecologiche. Cucina p.,
modello alimentare entrato nell’uso dagli anni ’70 in poi, che, come reazione
agli errori di un’alimentazione troppo ricca e raffinata, sostiene la
necessità di recuperare cibi e ingredienti che, in passato, erano tipici
delle classi povere, quali, per es., la polenta, i legumi, certi tipi di
pesce, ecc. Moda p.,
modo di vestire in auge spec. negli anni ’70, soprattutto tra i giovani, che
si avvaleva di materiali e tessuti semplici e poco costosi, come espressione
di anticonformismo e atteggiamento di rifiuto del consumismo in ogni suo
aspetto. d.
Al plur., entra nella denominazione di varî ordini religiosi cattolici,
maschili e femminili, che hanno fatto voto di povertà: P. ancelle di Gesú Cristo; P. figlie delle sacre stimmate di s.
Francesco; P. figlie di s. Antonio di Padova; P. suore di Nazaret; P. eremiti di Celestino, P. eremiti di s. Girolamo, ecc.; e anche di
comunità e sette religiose non cattoliche che aderivano allo spirito di
povertà evangelica: P.
cattolici; P. di Lione, denominazione
dei valdesi di Francia spec. dopo la scissione (inizio sec. 13°) dai loro
confratelli italiani (che, a loro volta, si dissero P. lombardi). 2. a. Seguito da un
compl. di privazione, che scarseggia, che difetta di qualcosa che, invece,
dovrebbe avere: un’impresa p.
di capitali; fiume p. d’acqua; zona p. di vegetazione; sangue p. di globuli rossi; una vita, un lavoro p. di soddisfazioni; tema p. di idee; un uomo p. di spirito, dotato di poco
spirito, ingenuo, semplice o addirittura semplicione (per il sign. originario
dell’espressione, nella frase evangelica beati
i poveri di spirito, v. beato). b. Con il compl. di
privazione sottinteso (e sempre posposto al sost. cui si riferisce): terreno, concime p., che contengono
scarse quantità di principî nutritivi per le piante; vino p., a bassa
gradazione alcolica; una
facciata p., disadorna, priva di ornamenti; campagna p., con poca
vegetazione. Con partic. riferimento all’ambito espressivo, stile p., banale, privo di
movimento e di vivacità; componimento
p., con poche idee e concetti; lingua
p., scarsa di vocaboli; molto com. l’espressione in parole p. (piú raram. in lingua p.), senza
ornamenti o perifrasi, quindi in termini chiari e precisi, anche se talvolta
un po’ crudi: in parole p.,
questa è una bella
vigliaccheria! Con riferimento a qualità intellettuali, poco
dotato, limitato, insufficiente: cervello
p.; fantasia,
immaginazione p.;
ingegno p.; o ineffabile sapienza che così
ordinasti, c.
In usi tecnici: gas p.,
miscela gassosa combustibile ottenuta dalla reazione di aria con uno strato
sufficientemente spesso di coke incandescente; nei motori a combustione
interna, miscela p.,
la miscela in cui l’aria è in eccesso rispetto alla quantità teorica ideale
per ottenere la combustione completa del combustibile. 3. Anteposto al sost.
cui si riferisce: a.
Esprime commiserazione, pietà, partecipazione affettiva per qualcuno o
qualcosa, con implicita l’idea non tanto della povertà quanto della triste
condizione: le piccole gioie
della p. gente;
sono soltanto un p.
impiegatuccio; à trovato un p. lavoro; non riesce a campare con i suoi p.
guadagni; che cosa vuoi che faccia con le sue p.
forze?; mi fa pena con quelle sue p.
braccine, esili
e magre; con altro senso, sono
p. scuse,
misere, meschine. Sempre in tono di commiserazione, è frequente in
esclamazioni: p.
donna!; p. ragazzo!; p. vecchietto!; p. orfani!; p. innocente!; p. bestia!; va, va, p. untorello, ... non sarai tu quello che spianti Milano
(Manzoni); anche per commiserare sé stessi: p. me!,
p. noi! (pop. anche pover’a
me!, pover’a
noi!). Nell’uso fam., un
p. Cristo,
persona che, per il suo aspetto fisico e per le sventure che l’affliggono,
ispira pietà; un p.
diavolo, chi è
privo di mezzi economici e, anche, in vario modo, perseguitato dalla sorte.
Inserito in frasi che spiegano il motivo della compassione: p. ragazzo, come s’è ridotto!; com’erano trattati quei p.
malati!; di
animali e cose: p.
bestia, quanto soffre!; che cosa fai a quel p. gattino?; p. soprabito, guarda come l’hai conciato!;
dovresti tenere meglio quei
p. libri!;
e con tono di rimpianto per cose che appaiono sprecate o perdute: p. i miei soldi!; p. le mie fatiche! In altri
casi, soprattutto con pron. personali, esprime la previsione, l’annuncio o la
minaccia di qualcosa di spiacevole: se
non fai come ti dico, p.
te!; p. me, se mi trova qui!; se lo pesco un’altra volta,
p. lui!; se non superiamo l’esame, p. noi! b. In altri contesti,
al compatimento si unisce il disprezzo o l’ironia: p. te!; p. illuso!, p. ingenua!, p. imbecille!, p. deficiente!; e lui, p. scemo, c’è cascato!; p. martire!, p. vittima!, rivolgendosi o
riferendosi a chi si atteggia a martire o a vittima degli altri o delle
circostanze. c.
Sempre ispirata a compatimento, ma con varie connotazioni, l’espressione pover’uomo (o pover uomo; anche poveruomo): e ora, chi glielo dice a quel pover’uomo?
tanto il pover’uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse
sul capo! (Manzoni); Ben
lo sappiamo: un
pover uom tu se’ (Carducci); il
povero Niccolai, invece,
poveruomo, era uno dei nostri anche come idee
(Pratolini); può anche significare, talora, uomo ingenuo e sciocco, oppure
dappoco e meschino: era
proprio un poveruomo ... d.
Assume tono di compianto e rimpianto come attributo di persone defunte: preghiamo per i nostri p. morti; il mio p. babbo; come diceva la p. nonna ...; 4.
Locuzioni avv. alla povera,
alla maniera dei poveri, secondo le abitudini o le possibilità della gente
povera: un trattamento,
una festicciola alla povera.
◆ Frequenti i dim. poverino, poverétto, poverèllo
(v. le singole voci); poco com. poverúccio; raro l’accr. poveróne,
spreg. e iron.; il pegg. poveràccio (v.), anch’esso molto comune, à solo la
forma, non la connotazione, peggiorativa. ◆
avv. poveraménte,
da povero, in povertà: vestire,
vivere poveramente;
è morto poveramente com’era
vissuto; la casa
è arredata poveramente; in modo elementare, rudimentale: concetti articolati poveramente;
un tema svolto troppo
poveramente; etimologicamente è voce dal lat. parlato pauper -a -um per il lat. class. pauper -ĕris, comp. di paucus «poco» e parĕre «procacciare,
produrre»: propr. «che produce poco» (détto
in origine, della terra)].
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misero/a, agg.voe s.vo
m.le o f.le agg.
[superl.corretto misèrrimo; scorretto,
ma usato miserissimo]
1 povero, afflitto da miseria: condurre un'esistenza misera; una casa misera. DIM. miserello, miserino
2 infelice, disgraziato, miserevole: i miseri mortali; le misere vittime della strage | usato in escl. di commiserazione: o misero!; misero me, te!
3 abietto, spregevole, meschino: tentare miseri raggiri; fare una figura misera
4 scarso, insufficiente, da poco: un misero compenso; guadagnare quattro misere lire; fare un pranzo misero
5 (ant.) avaro, taccagno: un ricco fiorentino... piú misero e piú avaro che Mida (SACCHETTI)
come s. m. [f. -a] persona misera;
etimologicamente è dal lat. miseru(m)
1 povero, afflitto da miseria: condurre un'esistenza misera; una casa misera. DIM. miserello, miserino
2 infelice, disgraziato, miserevole: i miseri mortali; le misere vittime della strage | usato in escl. di commiserazione: o misero!; misero me, te!
3 abietto, spregevole, meschino: tentare miseri raggiri; fare una figura misera
4 scarso, insufficiente, da poco: un misero compenso; guadagnare quattro misere lire; fare un pranzo misero
5 (ant.) avaro, taccagno: un ricco fiorentino... piú misero e piú avaro che Mida (SACCHETTI)
come s. m. [f. -a] persona misera;
etimologicamente è dal lat. miseru(m)
indigente, agg.vo e s.vo m.le e f.le agg.
si dice di persona che manca
dell'indispensabile, che vive in miseria: aiutare, soccorrere gli
indigenti.
etimologicamente è dal
lat. indigente(m), part. pres. di indigíre 'avere bisogno';
bisognoso/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che, chi à bisogno di qualcosa: bisognoso di
cure
2 che, chi vive nel bisogno; povero: aiutare i bisognosi
§ bisognosamente avv. nel bisogno: vivere bisognoso;
2 che, chi vive nel bisogno; povero: aiutare i bisognosi
§ bisognosamente avv. nel bisogno: vivere bisognoso;
etimologicamente
è un aggettivo/sostantivo formato quale deverbale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice di bisogn-are
(dal lat. mediev. bisoniare,
che è di orig. germ.);
meschino/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 (voce d’uso region.) infelice, sventurato;
che è in povertà o in miseria, che si trova in condizioni assai disagiate;
2 che è troppo scarso; insufficiente, inadeguato: dono, compenso meschino | aspetto meschino, gracile, debole; miserando
3 che à idee e sentimenti gretti, limitati: un uomo meschino; gente meschina | che rivela povertà di spirito, ristrettezza mentale: sentimenti meschini; idee meschine | fare una figura meschina, brutta e ridicola
come s. m. [f. -a]
1 (d’uso region.) persona disgraziata e infelice
2 persona gretta
3 (ant.) schiavo, servo| Guerin Meschino, titolo di un romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino (Barberino di Valdelsa 1370 ca -† ivi dopo il 1431)
etimologicamente è dall'ar. miskin `povero, misero';
2 che è troppo scarso; insufficiente, inadeguato: dono, compenso meschino | aspetto meschino, gracile, debole; miserando
3 che à idee e sentimenti gretti, limitati: un uomo meschino; gente meschina | che rivela povertà di spirito, ristrettezza mentale: sentimenti meschini; idee meschine | fare una figura meschina, brutta e ridicola
come s. m. [f. -a]
1 (d’uso region.) persona disgraziata e infelice
2 persona gretta
3 (ant.) schiavo, servo| Guerin Meschino, titolo di un romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino (Barberino di Valdelsa 1370 ca -† ivi dopo il 1431)
etimologicamente è dall'ar. miskin `povero, misero';
micragnoso, o
migragnoso agg.vo e s.vo m.le o f.le
(voce d’uso region.)
1 che si trova in miseria
2 taccagno, tirchio
1 che si trova in miseria
2 taccagno, tirchio
etimologicamente è un aggettivo/sostantivo formato
quale denominale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice del s.vo micragna (derivato dal
lat. hemicrani°a(m)→(he)micrania(m)→micragna
'emicrania', con allusione scherzosa
al dolore provocato dalla indigenza;
nullatenente, agg.vo e s.vo m.le e f.le che,
chi non è proprietario di alcun bene immobile e non percepisce alcun reddito
oltre quello derivante dal proprio lavoro: un impiegato nullatenente; che non à beni di fortuna,
e, in partic., che non possiede beni immobili, per cui non è soggetto a imposte
fondiarie e sui fabbricati: essere
n.; le classi n.;
come sost.: essere un n.;
quella birbonata di dividere
fra i n. i fondi
del comune (Verga). à
sposato una nullatenente.
etimologicamente è voce formata dall’agglutinazione di nulla (dal
lat. nulla, neutro pl. di nullus 'nessuno')
e di tenente
part. pr. di tenere (dal
lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere').
E veniamo ora al
napoletano dove troviamo numerosissime voci i cui significati spesso variano leggermente
tra di essi avendo ogni vocabolo una sua
particolare nuance o sfumatura, dalle quali è bene non prescindere; abbiamo
ordunque le voci che seguono che eviterò di indicare in ordine alfabetico,
ma riporterò nell’ordine crescente della
intensità espressiva:
liscio/a agg.vo e s.vo m.le o f.le
1) in primis sta per liso= consunto, logoro 2) vale poi,
come nel caso che ci occupa meschino,
ridotto male; etimologicamente è
derivato dal lat. volg. (e)lisu(m), part. pass. di elidere 'rompere' malandato; normale il passaggio in napoletano di s
seguita da vocale a sci+ vocale.
disperato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che non lascia sperare in una soluzione positiva;
che non dà speranze: ‘nu caso disperato(un caso disperato);
2 che rivela disperazione, che è provocato dalla disperazione: ‘nu chianto, ‘nu ggesto disperato (un pianto, un gesto disperato);
3 che à perso ogni speranza; che è in preda alla disperazione: campà disperato(vivere disperato); essere disperato p’ ‘a morte ‘e n’amico (essere disperato per la morte di un amico | â disperata(alla disperata), (fam.) in qualsiasi modo, alla meno peggio, in gran fretta
come s. m. [f. -a]
1 chi è in preda alla disperazione | comme a ‘nu disperato(come un disperato), (fam.) con grande impegno, con tutte le forze: faticà, correre comme a ‘nu disperato(lavorare, correre come un disperato);
2 (fam. ed è l’accezione che ci occupa)) chi non à mestiere né denaro; chi vive alla meno peggio;
2 che rivela disperazione, che è provocato dalla disperazione: ‘nu chianto, ‘nu ggesto disperato (un pianto, un gesto disperato);
3 che à perso ogni speranza; che è in preda alla disperazione: campà disperato(vivere disperato); essere disperato p’ ‘a morte ‘e n’amico (essere disperato per la morte di un amico | â disperata(alla disperata), (fam.) in qualsiasi modo, alla meno peggio, in gran fretta
come s. m. [f. -a]
1 chi è in preda alla disperazione | comme a ‘nu disperato(come un disperato), (fam.) con grande impegno, con tutte le forze: faticà, correre comme a ‘nu disperato(lavorare, correre come un disperato);
2 (fam. ed è l’accezione che ci occupa)) chi non à mestiere né denaro; chi vive alla meno peggio;
etimologicamente è il part. pass. di disperare(dal
lat. desperare, comp. del prefisso distrattivo dí- 'de-' e sperare 'sperare');
pezzente, agg.vo e s.vo
m.le o f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di
grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu
pezzente(andare vestito come un
pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona
meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il
pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenuta anche
nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire
'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere
'chiedere';
arrepezzato/a, agg.vo e
s.vo m.le o f.le
1 in primis rattoppato, aggiustato
con toppe;
2 (fig.) accomodato alla meglio, rimediato in
qualche modo;
3(per traslato) malmesso, indigente
vergognoso etimologicamente è un part. pass. marcato su di un tardo latino ad+repetiatu(m)→arrepetiatu(m)→arrepezzato;
repetiatus è attestato nel Du Cange e
lascia presupporre un repiare/ttiare= rattoppare;
scajente/a, agg.vo e s.vo
m.le o f.le
1 in primis sfortunato, disgraziato, misero, mancante;
2(per traslato)
malridotto, malconcio, malandato, cadente,etimologicamente è un part. pres. di scajenzà = rovinare, cadere in
disgrazia, verbo denominale di scajenza
= sfortuna, disgrazia etc. (dal lat. ex-cadentĭa);
sfessato/a, agg.vo e s.vo
m.le o f.leletteralmente stanco/a,
debole,svigorito/a e per ampliamento semantico molto rovinato, povero,
squattrinato, spiantato etimologicamente la voce a margine risulta essere
il p.p. del verbo sfessà= bastonare,
ridurre male, fiaccare, indebolire che
va connesso all’acc.vo fessu(m)= stanco part.
pass. di fatisci=
1 aprirsi, fendersi, sgretolarsi,
dissolversi;
sbriscio/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le che sta per sbricio=
1 meschino, ridotto male;
2 grandemente malandato, ma pure infelice, sventurato, disgraziato, misero,
tapino; etimologicamente è aggettivo
deverbale del lat. volg.
*brisare 'rompere'; da notare morfologicamente l’assimilazione di c con
la s
che produsse da sbricio→ sbrisio donde sbriscio con normale passaggio (come per
il pregresso liscio) in napoletano della
s
seguita da vocale a sci+ vocale;
liscesbriscio/a agg.vo e
s.vo m.le o f.le agglutinazione espressiva degli aggettivi liscio e sbriscio ai quali
rimando per l’etimologia. per il significato occorre quasi sommare i due significati sino a giungere
a povero, scarso,
miserabile, misero, logoro, meschino,
malmesso ; la voce or ora esaminata à anche una forma collaterale d’ uso ed estrazione popolare in liscesgriscio/a di identico significato ed etimo;
paccariato/a, agg.vo m.le o f.le misero, estremamente spiantato;etimologicamente è il part.
pass. di paccarià =schiaffeggiare con riferimento semantico
a gli schiaffi che la sorte si diverte a dare ai poveri, ai miserabili; paccarià a sua volta è un denominale di
pàccaro = sberla, schiaffo; rammento al proposito che pàccaro
o pàcchero è lo schiaffo
a mano aperta e tesa indirizzato al volto, colpo che quando sia cosí violento
da lasciare il segno è detto pàccaro a
‘ntorzafaccia; percossa violenta in tutto simile al mascone esaminato alibi; da non confondere con la pacca della lingua toscana che è un
colpo amichevole assestato solitamente sulle spalle, colpo che – contrariamente
al pàccaro – non connota intenzioni
proditorie e/o aggressive; va da sé che il pàccaro
napoletano non possa etimologicamente derivare dalla suddetta pacca toscana attesa la gran diversità
delle funzioni e scopi dei due colpi; infatti mentre la pacca toscana
à una derivazione probabilmente onomatopeica, il pàccaro napoletano è da
collegarsi al termine pacca (natica) addizionato del suffisso di
pertinenza arius→aro: la pacca di riferimento non è
ovviamente quella onomatopeica toscana, bensí quella che viene da un basso
latino pacca(m) forgiato su di un
longobardo pakka che indica appunto
la natica, ma pure la quarta parte ricavata in senso longitudinale di una mela
o pera; con ogni probabilità, originariamente il pàccaro/pàcchero fu la
sberla con cui si colpivano le natiche, una sorta di sculacciata cioè e da ciò
ne derivò il nome che fu mantenuto, accanto ad altri, quando il colpo, lo
schiaffo mutò destinazione; una gran copia di pàccare/i assestati in veloce combinazione prende il nome di paccariàta che oltre a sostanziare
un’offesa è da intendersi anche quale forma di dileggio;
sfasulato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto
quasicompletamente di danaro e/o mezzi di sostentamento; etimologicamente è
voce costruita usando il suffisso
aggettivale del participio pass. dei
verbi in are: ato/a aggiunto al s.vo fasule= danari con protesi di una s distrattiva; fasule=
fagioli son dal lat. phaseolu(m), dim. di phasílus, dal gr. phásílos e furono
usati, temporibus illis
a mo’ di moneta o merce di scambio al pari ad es. dei ciceri
ricordati alibi sub ‘e paparelle= i soldi;
smagliato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le sinonimo del precedente:
estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto completamente di danaro e/o
mezzi di sostentamento; etimologicamente è voce costruita usando il suffisso aggettivale del participio
pass. dei verbi in are: ato/a
aggiunto al s.vo maglie=
danari con protesi di una s distrattiva; maglie
è dritto per dritto dal francese: maille=moneta, rammentado che chi è
irrimediabilmente sprovvisto di danaro è
indicato alternativamente o con, come ò détto, sfasulato
(con riferimento ai fasule= monete) o –
giustappunto: smagliato;
spullecone agg.vo e s.vo m.le e solo m.le non è attestata, sebbene
morfologicamente possibile una spullecona;
uomo sprovisto cronicamente di danaro, estremamente spiantato, poverissimo,
aduso a rosicchiare, a spolpare sino all’osso pur di sopravvivere; etimologicamente
è voce deverbale di spulecà/spullecà =
rosicchiare, spolpare, spulciare che letteralmente è levar le pulci, quindi
cercare minutamente ed a fondo (dal lat. s+
pulicare con raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (l);
sfrantummato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le in pretto napoletano l’aggettivo sfrantummato letteralmente (con derivazione quale
participio passato dal verbo sfrantummà che
è dall’agglutinazione di una esse intensiva + il verbo frantummà denominale di
frantume ( derivato da franto p.p. di
frangere + il suff.collettivo ume che
nel napoletano comporta il
raddoppiamento espressivo della labiale m), dicevo che letteralmente l’aggettivo
sfrantummato vale
1 frantumato,smantellato,
diroccato, spianato;devastato (détto di case, muri etc.) e
(per traslato,détto di
persona)
2 del tutto rovinato, completamente
squattrinato,assolutamentespiantato ma mai
attestato nel senso di incapace,
smidollato etc. come invece capitò erroneamente di intendere all’ ex sindaco di Napoli sig.ra Rosa Russo Iervolino,
(anzi piú correttamente Rosa Iervolino in Russo) in riferimento a taluni
assessori della giunta comunale napoletana.(cfr. alibi sub sfrantummato). trentapagnotte agg.vo m.le e f.le = povero/a,indigente,
squattrinato/a servitorello/fantesca addetto/a ai lavori piú umili cui veniva
dato quale ricompensa del lavoro un’unica pagnotta giornaliera; voce formata
dall’agglutinazione funzionale dell’agg.vo numerale card. trenta
con il s.vo pl. pagnotte (voce
dal
provenz. panhota, deriv. del lat. panis 'pane');
E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e
d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei
ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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