VOCI
NAPOLETANE DERIVATE DALL’ARABO
Elenco qui di sèguito, senza
ordine o sistematicità un congruo numero di lemmi dell’idioma partenopeo che, a mio avviso, sono mutuati
dalla lingua araba.
bballuotta s.vo f.le castagna bollite privata del riccio, ma non della buccia dura; voce derivata con
gran probabilità dall'ar. ballut 'ghianda';
cuffià/cuffiare verbo tr. = corbellare, prendere in giro; del verbo è
spessissimo usato come sostantivo o
agg.vo il part. pass. cuffïato (cioè
corbellato, gravato di peso e per ampliamento semantico, infastidito etc.);
il verbo a margine cuffià/cuffiare è un denominale del sostantivo coffa
= peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
- Cupeta s.vo neutro = sorta di torrone cioè dolce fatto con mandorle e
pistacchi e/o noci e con miele); la voce copeta/cupeta donde copetaro/cupetaro (fabbricante e/o venditore di copete/cupete) deriva dall’arabo qubaita/qupaita;
- bbuórdo sost. masch. letteralmente bordo, ciascuno dei fianchi o murate di una nave o di
qualsiasi imbarcazione; la parte del fianco emergente dall'acqua: nave d'alto
bordo, con la fiancata alta; virare di..., ma ma nella classica espressione
partenopea menà a bbuórdo estensivamente
sta per stomaco, corpo per indicare ad un dipresso la parte del corpo quasi
protetta da ipotetiche murate; etimologicamente probabilmente dal tedesco o
molto piú facilmente dall’arabo bord
con dittongazione espressiva (probabilmente dipesa dal fatto che la o di
bord fu intesa breve);
- cantàro= misura di aridi che derivato dall’arabo qintâr
vale in napoletano quintale= cento rotoli. Va da sé che la voce cantàro
(quintale) non deve confondersi con càntaro/càntero= vaso di comodo, alto cilindrico contenitore in
terraglia smaltata usato, olim, per accogliere le deiezioni fisiologiche dell’
intera famiglia;la voce càntaro/càntero è derivata non dall’arabo, ma dal lat. càntharu(m) che è dal greco
kàntharos;
guàllera =ernia; termine
mutuato dall'arabo wadara di pari significato; con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato,
il sacco scrotale ed è a quest'ultimo
che con ogni probabilità ci si riferisce
nella classica, becera, ma gustosa locuzione partenopea Me staje abbuffanno ‘a
guàllera (mi stai grandemente infastidendo) prestandosi esso sacco scrotale
, data la sua quasi sfericità, ad essere
sia pure figuratamente gonfiato. La voce verbale abbuffanno= gonfiando, è
il gerundio dell’infinito abbuffà che
etimologicamente deriva da un latino ad
+bufo→adbufo→abbufo→abbuffo= farsi gonfio come un rospo (lat. bufo/onis).
Segnalo ora, qui di sèguito altre icastiche locuzioni che coinvolgono la
voce guàllera,sempre in ordine al fastidio; tali locuzioni vengono usate a secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata
dall'àmbito culinario, proclama: me
staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a
guallera â pezzaiuola(mi stai facendo
oppure mi ài fatto l'ernia alla
pizzaiola)pezzaiuola ( e cioè alla
maniera del pizzaiolo che in napoletano è pezzaiuolo con derivazione,
attraverso i suffissi di pertinenza iuolo/iuola,della voce pizza
che etimologicamente qualcuno opta forse per un’origine germ., dal longob. bizzo
'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da un non attestato *apicia (pàtina) preparazione
culinaria attribuita (ma non è dato
sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco Gavio
Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza una
focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e spianata, si
può quanto alla semantica tranquillamente
far riferimento al participio pass. sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare,
schiacciare; e morfologicamente partendo
da pinsa con un tranquillo, consueto passaggio nel napoletano di ns ad nz (cfr. insalata→’nzalata
– insapidu(m)→’nzipeto e successiva assimilazione regressiva nz→zz
si può approdare a pizza evitando di scomodare i morsi
longobardi o pretese e non comprovate preparazioni culinarie attribuite a Marco Gavio Apicio. Altra
locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi stai
levigando l'ernia con la carta vetrata)dove la voce verbale scartavetranno è il gerundio
dell’infinito scartavetrà =
carteggiare, denominale di carta vetrata con una consueta prostesi di una s intensiva. Infine esisite una locuzione che - mutuata dall'ambito sartoriale - nella
sua espressività barocca, se non rococò, afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia pieghettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia
come una gonna, pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo; plissé è voce fr. propr.
part. pass. di plisser 'pieghettare', deriv. di pli 'piega' ed è
entrata tal quale nella parlata napoletana con il medesimo significato di pieghettatura.
In coda ed a
margine di tutto quanto detto a proposito di guallera rammento che l’ernia, in
napoletano, oltre che guallera à molti altri nomi che connotano quella noiosa
affezione, fuoruscita di un viscere o di un organo dalla cavità in cui è
normalmente contenuto: ernia addominale, inguinale, ombelicale,
del disco; ernia strozzata etc.
affezione che in italiano si rende con la sola voce ernia (voce che, etimologicamente, piú che al lat. hira= budella, penso si possa acconciamente collegare al greco ernòs= ramo,
pollone in quanto simulante, a prima vista, una sorta di proliferazione o
germinazione) addizionata, come
visto, con degli specificativi inguinale, scrotale etc., nell’idioma
napoletano, ò detto, che quell’affezione è resa invece con numerosissimi sostantivi
ad hoc; li illustro qui di sèguito cominciando ovviamente con
1 - guallera/guallara segnatamente ernia scrotale con etimo
dall’arabo wadara di identico
significato;
2- ‘ntoscia che è propriamente l’ernia addominale con
derivazione dal greco enthostídia→(e)nt(h)osci(di)a→’ntoscia=
intestini;
3- burzone altra voce usata
per indicare l’ernia scrotale o quella
ombelicale s. m. accrescitivo (vedi
suff. one) di borza derivato del lat. tardo bursa(m), dal gr. byrsa
'pelle, otre di pelle'ed in effetti di per sé la voce a margine indicò dapprima
lo scroto ossia la borsa che contiene i testicoli, e
solo successivamente un’ernia scrotale ;
4- paposcia voce usata per indicare l’ernia inguinale quel noioso rigonfiamento che talvolta afflige gli
anziani inducendoli ad un’andatura circospetta e lenta; la voce a margine è un
derivato del lat. parlato *papus (rigonfiamento)
addizionato del suff. modale osa femm. di uso;
5- mellunciello letteralmente piccolo melone con il quale torniamo all’ ernia scrotale; la voce a margine è un diminutivo (vedi suffisso ciello) di mellone che è dall’ acc. tardo lat. melone(m), da mílo/onis, forma
abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon
'melo, frutto' e pépon 'popone; la voce napoletana mellone comporta rispetto
all’acc. lat. melone(m);
il raddoppiamento espressivo della liquidaconsonante laterale alveolare;
6 - contrappiso letteralmente contrappeso che è voce (derivata come l’taliano
dall’addizione di contra (contro) +
(p)piso (peso)) usata per
indicare un’ernia inguinale o addominale che
insista su di un solo lato del corpo facendo quasi da contrappeso all’opposto
lato;
7 - quaglia letteralmente quaglia voce usata
indifferentemente per indicare un’ernia
addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica
forma ad uovo dell’uccello colto nella posizione di riposo con le alucce chiuse
e raccolte su se stesso; la voce nap. quaglia è dall'ant. fr. quaille,
che è forse dal lat. volg. *coàcula(m),
di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente, da un
latino parlato *quà(r)uala che
richiamava il verso dell’uccello;
8 - zeppula letteralmente zeppola voce che con
derivazione dal latino serpula indica
innanzi tutto un caratteristico dolce partenopeo, in uso per la festività di
san Giuseppe(19 marzo) , di pasta bigné disposta, con un sac a poche, a mo’ di
ciambella, poi doppiamente fritta: una prima volta in olio bollente e profondo,
una seconda volta, a seguire nello strutto o
(meno spesso e meno saporitamente)
cotta al forno in un’unica soluzione, spolverata di zucchero e variamente guarnita con crema pasticciera
ed amarene candite; il dolce à origini antichissime quando
intorno
al 500 a.C.
si celebravano a Roma le Liberalia,
le feste delle divinità dispensatrici del 'vino e del grano nel giorno del 17
marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino addizionato di miele
e spezie e si friggevano profumate frittelle
di frumento; le origini del dolce dicevo furono antichissime ,
anche se pare che la ricetta attuale delle napoletane zeppole di san Giuseppe sia
opera di quel tal P. Pintauro che fu anche,
come vedemmo alibi, l’ideatore della sfogliatella, e rivisitando le
antichissime frittelle romane di semplice
fior di frumento, diede vita alle attuali zeppole arricchendo l’impasto di uova, strutto ed aromi varî e procedendo poi ad una doppia frittura prima
in olio profondo e poi nello strutto; la tipica
forma a ciambella della zeppola
rammenta la forma di un serpentello (serpula)
quando si attorciglia su se stesso da ciò è probabile sia derivato il nome di zeppola (è normale il passaggio di s a z e l’assimilazione regressiva rp→pp)
; d’altro canto l’esser détto dolce
gonfio e paffutello ben può richiamare il rigonfiamento tipico di un’ ernia
inguinale, addominale o ombelicale;
e siamo infine
a
9 - pallèra voce con la quale si torna ad indicare estensivamente l’ernia scrotale; di per sé infatti la voce pallèra
(con etimo da palla che è dal longob. *palla,
che à la stessa radice di balla (dal
fr. ant. balle, che è dal francone balla sfera) + il suff. di pertinenza era) indica in primis segnatamente lo scroto quale contenitore delle palle( cosí vengon
detti in napoletano i testicoli intesi sbrigativamente sferici, anzi che
ovoidali ); normale estendere il significato di pallèra da scroto ad ernia
scrotale: lo scroto è pur sempre un rigonfiamento tal quale un’ ernia.
Giunti qui consentitemi
una curiosità; nella parlata napoletana
esiste un vocabolo papuscio di cui la precedente paposcia a tutta prima potrebbe erroneamente sembrare
il suo femminile metafonetico; in realtà non vi è alcun nesso, se non una
fuorviante assonanza…, tra paposcia
e papuscio; la paposcia abbiamo visto cosa è e ne
abbiamo indicato l’etimologia; il papuscio invece non indica alcuna affezione; è solo (con derivazione
dall’arabo ba- bús-
'copripiedi'ricavato con tutta evidenza dall’indiano pa-push, di identico significato ) è solo il modo napoletano di
render l’italiano babbuccia (che è
mutuata dal franc. babouche).
-
- Arrassusia
Ad litteram:Lontano sia Non
accada mai! Esclamazione accorata che si suole pronunciare spesso accompagnata
da un gesto scaramantico, nella temuta
evenienza di un pericolo, o - peggio - di un danno.
La locuzione divenuta termine unico in realtà è formata
dal vocabolo arrasso (lontano) derivato dall'arabo harasa di identico
significato, e dal congiuntivo ottativo sia.
(piglià 'nu) - zzarro id
est:errare, prendere un
abbaglio,incorrere in un impedimento,
inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; zarro dall'arabo
zahr (=dado- sasso sporgente).
- vajassa= serva, fantesca; dall’arabo: baassa
attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia=
meretrice
- ciaraffe dall’arabo giarif (moneta sonante),
cardàscio, agg.vo e sv.vo
m.le = amico fedele,fratello con etimo dall’arabo kardasč;
- filusce o filusse
o ancora felusse= danaro contante
Sull’origine
del termine si è a lungo discusso chiamando in causa volta a volta, ma
fantasiosamente, il latino folliculus
contenitore dei soldi e per
estensione soldi medesimi o ancora piú fantasiosamente il nome dei sovrani
spagnoli Filippo I o II o III da cui:
Felippo, Felippusse ed infine Filusse. La faccenda è molto piú semplice e seria
derivando, a mio avviso, il vocabolo de quo dall’arabo fulus plurale di
fals
(dal greco phóllis =obolo)nel
significato appunto di moneta, danaro; la voce araba invase tutto il bacino
mediterraneo al segno che in Calabria, con analogo significato, abbiamo filusu , in Sicilia: filussi, in Toscana: pilosso, in Spagna: felús ed in Portogallo: fuluz;
sanzaro/a
s.vo m.le o f.le
di per sé in napoletano, con
la voce a margine si intende il sensale, il mediatore, l’intermediario, spec.
per la compravendita di immobili o di
prodotti agricoli e di bestiame.
in senso estensivo chi combina matrimoni; oppure (ancóra in senso estensivo e furbesco)ed
è il nostro caso) mezzano, ruffiano. La
voce napoletana deriva dall’arabo simsâr→sinsâr→sansâr→sanzaro.
-scerocco = scirocco; tipico vento meridionale,
vento
caldo proveniente da Sud-Est che proviene dal Sahara e da altre
regioni del nord Africa.
La voce scerocco deriva dall’arabo shulúq, vento di mezzogiorno.
- zzuccaro= zucchero dall’arabo sukkar,
-zziro = Vaso di terracotta, di forma
panciuta, per tenere olio o altro, coppo, orcio, doglio. dall’arabo zīr.
- carrafe = caraffe, vasi monoansati di vetro o altro materiale,
usati solitamente per servire in tavola l’acqua da bere: etimologicamente
dall’arabo garafa=vaso per attingere.
- giarre : vasi vitrei bassi e panciuti, provvisti di
manico, vasi usati per bere birra o altre bevande fermentate, etimologicamente dall’arabo djarrah
attraverso lo spagnolo jarra,
- tazze,
tazzine e tazzulelle tutte
dall’arabo tas/tasa,
- canacca/ cannacca (dall’arabo hannaqa)= collana vistosa usata da donne del popolo
per agghindarsi in maniera eccessiva e ridondante.
- nzacarrone
antico e desueto sost. nap.= chiacchierone, ciarlatore da
collegarsi all’arabo zacar=racconto,
secondo il percorso morfologico zacar+ il suff. accrescitivo one e
con protesi di una n eufonica
che non necessita perciò d’alcun
segno diacritico aferetico non trattandosi di in→’n ma di
una semplice consonante eufonica protetica.
- matarazzo
sost. masch.= materasso, ma quale voce
furbesca, giocosa è usata pure per significare una persona grande, grassa e grossa tale da potersi appaiare
iperbolicamente ad un materasso, cioè
il rigonfio involucro pieno di lana su
cui ci si distende per riposare; la voce
è etimologicamente da collegarsi all’arabo matrah con il suffisso
estensivo aceus,che in napoletano diventa azzo;
- ciofèca – cefèca sost. femm.= liquido meglio bevanda (vino,
caffè ed altro) scadente, di scarto, di pessimo gusto.
la voce è di schietta derivazione araba: šafèq che
in arabo indica appunto un liquido, una bevanda corrotta o piú estensivamente
tutto il cattivo delle cose, di qualità inferiore, di scarto, di nessun valore
ed addirittura uomo di poco conto, donna sgraziata e malvestita. L’
idioma napoletano ed gli altre parlate o
dialetti regionali ànno recepito però
solo il significato attinente alla qualità di una bevanda.
Ciò chiarito,
passiamo a fare un breve elenco degli adattamenti morfologici che – in altri dialetti – à subìto il
napoletano ciofèca o cefèca;vediamo: in toscano: ciufeca
o anche cipeca, in romanesco: ciufeca, in
abbruzzese: cifechë, in calabrese e siciliano:cifeca.
Rammenterò, per
amor di completezza che in romanesco (e solo in romanesco )partendo da ciufeca
si è coniato l’aggettivo: inciufegato/inciufecato che sta
per impiastricciato di sporcizia.
A questo punto
devo sottolineare che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, i varî dialetti – con eccezion forse del
siciliano e calabrese - ànno mutuato i
loro adattamenti dal napoletano e non direttamente dall’arabo, atteso che gli
arabi le loro invasioni le operarono principalmente nel sud dello stivale in danno dei regni meridionali ed a Napoli e
nel napoletano lasciarono, come stiamo vedendo,
numerose testimonianze della loro lingua. -
sciòtta (acqua calda e salata) dall’arabo shott= acqua salmastra
- surbetta sost. femm.le = sorbetto,
gelato che è da serbet voce arabo-turca.
- tauto/tavuto sost. masch. =bara che è dall’arabo tabut
(arca), attraverso lo spagnolo ataúd/ataút;
- cafè= caffè sost. neutro derivato dall’arabo qahuah attraverso il
turco qaveh); rammenterò a
margine che la parola cafè quando sia preceduta dall’articolo ‘o, in napoletano, per indicare la pianta o la
bevanda va rigorosamente scritta con la geminazione iniziale della c e dunque: ‘o ccafè; scritto con una
sola c: ‘o cafè, indicherebbe il luogo, la mescita dove viene
venduto e servita la bevanda di caffè).
- patacca sost. femm.le = è una
falsa moneta antica di grosse
dimensioni il cui nome è derivato
dall’arabo bataqa attraverso lo spagnolo pataca.
- tammorra sost. femm.le = grosso
tamburo usato nelle danze popolari è
voce derivata dall’arabo: tambur attraverso un cambio di genere,(attesa la piú
ampia (rispetto al tamburo) forma dello strumento, forma piú ampia intesa perciò femminile come avviene ad es.
per cucchiaro piú piccolo e perciò maschile e cucchiara più
grossa e perciò femminile, per tino piú piccolo e perciò maschile e tina
più grossa e perciò femminile, carretto piú piccolo e perciò
maschile e carretta piú grossa e
perciò femminile etc. fanno eccezione tiano che è piú grosso, ma
maschile rispetto a tiana che è piú piccola e stranamente femminile; fa
altresí eccezione caccavo che è piú grosso, ma maschile rispetto a caccavella
che è piú piccola e femminile),
assimilazione regressiva della b alla m assimilazione che è tipica della
parlata napoletana.
Va da sé che il
tammurriello = piccolo tamburo abbia il medesimo etimo di tammurro/tammorra
di cui è diminutivo con
naturale cambio di genere dall’ampio femminile al piú contenuto
maschile;
-
bardascia sost. femm.le usato per indicare una
giovane donna, ragazza e spesso lo si poteva incontrare nel simpatico
diminutivo – vezzeggiativo bardascella.L’ etimologia di bardascia
è originariamente dal persiano bardal
attraverso l’ arabo: bardağ
che è propriamente la prigioniera, la schiava
giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nel napoletano.
- mammalucco: sostantivo masch. usato per
indicare lo stupido patentato, lo
sciocco impenitente, dall’aria frastornata détto pure cannapierto; etimologicamente questo
mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato
prigioniero.
- sciabbecco: sostantivo masch. usato per indicare
precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad
ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione;
in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk)
indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza –
facilmente preda dei venti e dei marosi; la voce a margine non va confuso con
la successiva che è
- sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o
traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non
possono mancare in una baraonda);etimologicamente
è voce dall’arabo šábak= trambusto.
- sciaveca sost. femm.le = sciabica, indica la
grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette
da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della
battigia e poi faticosamente tirata a
riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare
a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dinto a
ll’acqua id est: star con le
natiche in acqua per significare
oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella
convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia abbastanza
remunerativo.
Etimologicamente la parola sciaveca
attraverso lo spagnolo xabeca cosí come la toscana sciabica deriva dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Rammenbto altresí la voce sciavechiello
derivato di sciaveca con consueto passaggio al maschile in quanto
oggetto notevolmente piú piccolo della femminile sciaveca.
Lo sciavechiello è invatti una piccola contenuta rete a
rastrello, munito di alto manico di legno usata sulla battigia per pescare arselle e/o telline, spingendo in avanti il
rastrello munito di retino nel quale far transitare la sabbia bagnata in cui di
annidano arsellee/o telline; talvolta il
pescatore inverte il senso di marcia ed invece di spingerlo, trascina lo
sciavechiello; in tal caso si dice che à avutato ‘o sciavechiello
espressione che in senso traslato
vale: à girato le spalle
disinteressandosi di qualcosa.
- catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un
connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo)
indica il palco, l’alta castellana (
anche cosí in napoletano, con
derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV sec. con cui si
indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si
acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello,
subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me che divenne na per render femminile la parola originariamente
maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili
fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; difficile
stabilire i motivi di tale adattamento corruttivo di me in na: probabilmente si
rese necessario atteso che si durava fatica a volgere al femminile un nome terminante in me
facendolo diventare un ovvio ma, tuttavia spesso, per
errore, parole terminanti in me passando al femminile non mutavano desinenza; fu forse necessario
perciò cambiar questa in na (desinenza che non ingenera confusione)!)
si indica il catafalco su cui veniva
un tempo, al centro della chiesa,
sistemata la bara durante i funerali solenni;
- azzeccà verbo che come significato primo à: colpire nel
segno, centrare, indovinare (ed in tal senso è forse dal tedesco zeken=
menare un colpo), ma quando signica unire strettamente, incollare,
attaccare in questa accezione reputo sia
da collegarsi all’arabo zêg).
- canzirro = mulo,
bardotto; il sost. masch.
napoletano canzirro à un
etimo dal greco kanthélios, incrociato con l’arabo hinzir;
- mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato
con il prefisso mela→ melingian donde
per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu
incrociato con i prefissi peto o petro
e per indicare il medesimo ortaggio s’ebbe petonciano o petronciano.
Altre volte la voce melanzana fu
ritenuta, ma impropriamente, derivata da
mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare
alla pazzia.
- burraccia/vurraccia =borraggine o borragine derivata per l’italiano dal lat. mediev. borragine(m),
mentre il napoletano, con tipica
alternanza partenopea b/v è dritto per dritto dall’arabo abu rach=burraccia
con tipico raddoppiamento interno popolare della r e della c e
deglutinazione della a iniziale intesa articolo: aburach= ‘a
burraccia; di per sé abu rachc
significa "padre del sudore" forse per la particolare
attività di questo vegetale che è
sudorifero); la borraggine o borragine è usata a Napoli nella preparazione di
minestre quasi esclusivamente vegetali, di frittelle etc. ;
-rummano = romano cioè il peso della stadera (dall'ar. rumman, propr. 'melagrana',
per la forma del peso simile a quella della melagrana.
-sciorba/ sciorbacca deriva , nel significato di zuppa/zuppaccia , dall’arabo-persiano
sciorbah o tsciorbach dove
trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di
zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a
base di riso;
- sciarra sost. femm.le = lite, bisticcio, ma non violento,
particolarmente quello fra innamorati (cfr. l’espressione ànno fatto
sciarra= ànno litigato, ma son pronti a riappacificarsi) voce che è dall’
arabo šarr= disputa.
tàmmaro agg.vo e s.vo maschile e
solo maschile: non è né attestato, né codificato
un ipotetico femminile tàmmara;
è un antico sostantivo (presente già
nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di
colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola
ancóra viva nel linguaggio popolare
e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante ,
zotico e scostante; quanto all’etimo è
parola derivata dall’arabo tammar = produttore
e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata
dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento
tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso
comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono
individui carenti di educazione e buone maniere
e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
varda s.f.
= basto, soma da asino o
mulo che è dall’arabo barda con consueto adattamento partenopeo della
labiale esplosiva b che diventa v (cfr.
bocca→vocca – barca→varca – bacile→vacile etc.).
vurraccia = borraggine o borragine ( voce di prob.
di origine araba da (a)bu rach che
significa "padre del sudore" forse per la sua particolare attività
sudorifera),altri optano per
una derivazione dal fr. borrache;ò or ora détto che la voce napoletana à un etimo o arabo o francese, anche se pare (terza ipotesi) che
non gli sia estranea la voce catalana borracha che indica sia la verdura che una fiasca da viaggio (l’italiana
borraccia) tipica per la voce napoletana l’alternanza b→v ed il passaggio della o atona → u; allo stato delle cose, propendo per l’etimo arabo che penso
abbia potuto influenzare sia il francese che il catalano ); la voce borraggine o
borragine è invece derivata dal lat.
mediev. borragine(m), con tipica alternanza partenopea b/v)
è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente
vegetali ;
scialare nel napoletano è verbo intransitivo dal notevole
ventaglio di significati: godersi la vita o particolari occasioni, con riguardo
all’abbondanza del cibo o d’ altro ,
vivere nell’abbondanza, spendere allegramente senza parsimonia, vivere negli agi, nel lusso; etc.; nell’italiano dove è pervenuto dal
napoletano è verbo transitivo non
comune e vale: scialacquare,
dissipare: scialare un patrimonio, una fortuna | (in usi assoluti
cosí come nel napoletano) vivere negli agi, nel lusso; spendere con larghezza,
senza parsimonia: una famiglia abituata a scialare; c'è poco da
scialare!, occorre fare economia, non c'è troppa abbondanza!
Etimologicamente il verbo napoletano trae dall’arabo scialach (
esser felice, esser fortunato, esser
opulento, godersi la vita o particolari occasioni) quantunque altri
ipotizzino un lat. *exhalare che però
piú pertinentemente diede esalare.
Dal medesimo
verbo scialare (e dunque ugualmente dall’arabo scialach) traggono quali deverbali molti sostantivi e/o
aggettivi presenti nel napoletano e talora anche nell’italiano, quali:
scialo – scialicco - scialamiento s.vi m.li = spreco, sperpero, lusso smodato;
scialuso/scialosa agg.vo m.le o
f.le = prodigo/a, sprecone/sprecona etc.
scialacquone/a agg.vo m.le o f.le = scialacquatore/trice,
spendaccione/a
scialapòpolo s.vo m.le = sprecone, sperperatore.
scialò s.vo m.le = sciattone, sciamannato,
scialacore s.vo
m.le presente, quasi
ampliamento di scialo solo nel napoletano:godimento,
piacere gradito,goduria, sollazzo soprattutto con riferimento al bere e
mangiare; a scialacore locuzione
avverbiale = con godimento, dilettevolmente, abbondantemente;
zaganadall’arabo zahara
( chiaro,splendente) poi che in origine la zàgana (nastro, fettuccia esclusivamente bianco)
-zimarra s.vo f.le in primis è un sinonimo di suttana (in italiano abito talare,tonaca, veste di
sacerdoti e/o religiosi;
per estensione vale anche
ampio e lunga veste di stoffa pesante usata quale soprabito; etimologicamente è
voce dall’arabo sammur= cappotto.
E qui mi fermo,
ripromettendomi di ampliare l’elenco, quando e se dovessi trovare altre voci
pervenute nel napoletano con provenienza dall’arabo.
raffaele bracale
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