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   18 ESPRESSIONI (15.2.21) 
  1.'O PURPO S'À DDA COCERE CU
  LL'ACQUA SOJA.  
  Letteralmente: il polpo si deve cuocere con
  l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza
  interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che
  recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile
  ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si
  autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta
  d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.  
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   2. DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.  
  Letteralmente: dare sulle orecchie. La
  locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei
  supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa
  elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare
  una sana metaforica violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele
  abbassare.  
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   3. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE,
  MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...  
  Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma
  tu (sei  un  stronzo cosí grosso)che non entri per
  intero nella ipotetica pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca
  locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente
  pezzo di merda da eccedere i limiti di una  ipotetica  pentola  destinata all’uso di una ancóra piú
  ipotetica bollitura! Analoga espressione quella che recita:3bis: N'
  AGGIO APPISE STRUNZE, MA TU M’HÊ SPEZZATO ‘O CHIUOVO 
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   4.TANTE GALLE A CCANTÀ NUN
  SCHIARA MAJE JUORNO.  
  Letteralmente: tanti galli a cantare non
  spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere
  intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si
  addiviene a nulla di concreto...  Dunque
  non è da  farsi meraviglia se il
  parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori
  non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti...  
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   5.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E
  'MPIZZE...  
  Letteralmente: sí quando corri ed infili!
  La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto
  difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico,
  volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa
  riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi
  meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta
  pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di
  dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare
  nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.  
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   6. MADONNA MIA, MANTIENE
  LL'ACQUA!  
  Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua.
  Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene
  usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si
  prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei
  contendenti.  
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   7. OMMO 'E CIAPPA.  
  Letteralmente: uomo di bottone e, per
  traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime
  addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare,
  la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente
  della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento
  cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta
  consorteria.  
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   8. 'A NAVE CAMMINA I 'A FAVA
  SE COCE.  
  Letteralmente: la nave cammina, e la fava
  si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che
  favorisce  la sopravvivenza, frutto
  di  una continuata abbondanza di cibo)
  con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche,
  per cui è piú opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce (e si vive
  bene…).  
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   9. ESSERE 'NU CASATIELLO CU
  LL'UVA PASSA.  
  Letteralmente: essere una caratteristica
  torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona
  greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve
  di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile
  dalla presenza dell'uva passita...  
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   10. NCE VONNO QUATTO LASTE I
  'O LAMPARULO.  
  Letteralmente: occorono  quattro vetri laterali ed il reggimoccolo.
  Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente
  incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna
  ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla
  sua funzionalità: i quattro vetri protettivi laterali ed il reggimoccolo
  centrale. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi,
  ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad
  un attento controllo esso risulta vistosamente carente. 
  
  
   
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     11. ESSERE 'NU/ ‘NA
    SECATURNESE.  
    Letteralmente: essere un/una  sega-tornesi.Id est: essere un avaraccio/a,
    super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di
    monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano
    limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi
    la carta-moneta e finí il divertimento.  
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     12. ESSERE 'NA MEZA
    PUGNETTA.  
    Esser piccolo di statura, ma soprattutto
    valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa,
    stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo quasi
     il prodotto di un gesto onanistico
    non compiuto neppure per intero.  
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     13. ESSERE 'NA
    GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.  
    Letteralmente: essere un biscotto di
    Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi
    tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio
    ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad
    opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi
    intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in
    Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come
    scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano,
    ma che erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di
    mare riuscisse ad ammorbidire.  
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     14. 'E CURALLE LL'À
    DDA FÀ 'O TURRESE.  
    Letteralmente: i coralli li deve lavorare
    il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve
    esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare
    competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio
    esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo
    appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.  
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     15. MO T''O PPIGLIO
    'A FACCIA Ô CUORNO D''A CARNACOTTA  
    Letteralmente: Adesso lo prendo per te
    dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la
    quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in
    possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per
    comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il
    complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono
    vendute già sbiancate e lessate,  atte
    ad essere consumate o dai macellai nelle loro botteghe o da appositi
    venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli
    fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col
    succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno
    bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta
    per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore
    di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo.
    Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono
    alla locuzione di avere un suo significato furbesco con cui si vuol
    comunicare che ci si trova nell'impossibilità reale o volontaria  di aderire alle richieste.  
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     16. PURE 'E CUFFIATE
    VANNO 'MPARAVISO.  
    Letteralmente: anche i corbellati vanno
    in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i
    dileggiati cui si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in
    giro, ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè
    corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal
    sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.  
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     17. DICETTE 'O
    SCARRAFONE: PO’ CHIOVERE 'GNOSTIA COMME VO’ ISSO, MAJE CCHIÚ NIRO POZZO
    ADDEVENTÀ...  
    Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far
    cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di
    quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già
    ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri
    sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.  
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     18. ABBACCA ADDÓ
    VENCE.  
    Letteralmente: collude con chi vince. Di
    per sé il verbo abbaccare(=colludere, accordarsi segretamente dal lat.
    ad-vadicare, frequentativo di vadere) presupporrebbe una segretezza
    d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto
    l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe -  non si fa scrupolo di accordarsi apertis
    verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può
    offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del
    vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli
    italiani.  
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  Brak  
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