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   20
  ESPRESSIONI [23.2.21] 
  1-'O
  GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.  
  Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In
  effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori
  e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere
  dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli
  consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono
  permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui. 
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   2. - 'E
  FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO.  
  Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun
  luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato
  letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad
  occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando
  ovunque le tracce del proprio passaggio. 
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   3. -'E
  VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.  
  Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato
  del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si
  intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto
  da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze
  che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio
  sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli
  innamorati. 
  Analoga
  alla locuzione in esame è quella che recita: ‘E MMULIGNANE SO’ BBONE SOTT’A
  LL’UOCCHIE che letteralmente è: Le melanzane sono buone sotto a gli occhi ed
  in questo caso bisogna
  rammentare che a Napoli con la parola mulignane  si intende  sia il tipico gustosissimo ortaggio che la
  fa da padrone nella cucina partenopea, sia le occhiaie bluastre tendenti al
  viola, tipiche di occhi stanchi di colui/colei che non à riposato durante la
  notte impegnato/a com’era in tenzoni amorose; anche questa locuzione sembra ripudiare ormai
  l’ortaggio  per apprezzare solo le
  occhiaie conseguenti degli incontri amorosi. Rammento che mulignana= melanzana dall’arabo
  badingian incrociato con il prefisso 
  mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove
  l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi petro(primo elemento di parole
  composte della terminologia scientifica, formate modernamente, dal gr. pétra
  'pietra')  o con il prefisso   peto adattamento locale del precedente e
  s’ebbe petronciano o petonciano. 
  la voce
  melanzana fu anche  ritenuta, ma
  impropriamente,  derivata da mela+
  insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla
  pazzia.               
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   4 -STATTE
  BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO!  
  Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il
  mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a
  situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare. 
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   5. -QUANNO
  'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO.  
  Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú  aspro.Id est: quando una persona è d'indole
  buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi,
  diventerebbe così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti
  devastanti. 
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   6. 'O
  DULORE È DDE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TTÈNE MENTE.  
  Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono
  alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid
  qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla
  propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non
  supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o
  si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! -
  affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere. 
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   7.  'O FATTO D''E QUATTO SURDE.  
  Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di
  seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in
  epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella
  quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che
  viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il
  primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il
  secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me
  penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto
  concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia,
  quando saremo a Napoli, mi terrete informato?). 
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   8. A
  'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.  
  Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa;
  la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un
  frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi
  sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè
  il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel
  convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di
  riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà
  impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere,
  addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile
  ormai. 
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   9.CHI
  VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.  
  Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce.
  Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o
  pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi
  risultati diversi o migliori. 
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   10. AMMORE,
  TOSSE E ROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.  
  Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre
  situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si
  ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la
  locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili. 
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   11. 'MPÀRATE
  A PPARLÀ, NO A FFATICÀ.  
  Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ammiccante proverbio
  napoletano dal quale è facile comprendere che la disincantata osservazione
  della realtà ci costringe a stabilire che è piú opportuno  fondare la propria esistenza sul fumo
  dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di
  sussistenza, molto  piú dell'onesto e
  duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di
  riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo
  ugualmente benissimo. 
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   12. CHI
  TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA.  
  Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio-
  che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a
  significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che
  è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o
  consuma tutto il messo da parte. 
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   13 'A
  sotto p''e chiancarelle.  
  Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento
  di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú  colorita del toscano: accidenti!Essa
  esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un
  fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di
  panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno,
  assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai
  solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto
  l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco  Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo
  di F. Solimena,che costruito nel 1738
  su commissione del marchese di Poppano Nicola Moscati un
  palazzo [noto poi  con il nome di ‘o
  palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente  Tommaso Atienza, détto appunto lo spagnolo
  , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di Spagna] nella zona
  detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus
  Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito
  partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile,
  aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ). Il
  termine chiancarella è un diminutivo derivato del lat. planca (asse di
  legno)lo stesso termine che diede dritto per dritto il napoletano Chianca (macelleria/rivendita
  di carne) perché un tempo la carne era esposta e sezionata su di un asse di
  legno. 
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     14 -'O
    TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.  
    Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i
    bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò
    pericolosissimi. 
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     15 -'O
    PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE  
    Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il
    sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là
    dove occorre. 
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   16.SPARTERSE
  'A CAMMISA 'E CRISTO.  
  Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi,
  esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di
  per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota ,
  divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore. 
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   17.
  ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.  
  Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a
  Napoli si suole dire di coloro  -
  specialmente uomini -  che in piazza si
  mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa
  sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato. 
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   18. AVENNO,
  PUTENNO, PAVANNO.  
  Letteralmente: avendo, potendo, pagando.  Strana locuzione napoletana che si compendia
  in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo
  reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente
  verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni
  ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente
  il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo
  reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti
  e quando (e se) potrò. 
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   19.AMMESÚRATE
  'A PALLA!  
  Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai
  per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; non fare il
  gradasso!: Rènditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai
  misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te,
  derivanti dalle  tue errate  azioni. La locuzione originariamente -
  pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il
  perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché
  portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in
  azione. 
  20. VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO… 
  Si tratta di una divertente espressione che fu
  antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta
  successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico,
  furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed
  ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco. 
  In primis
  ed ad litteram l’espressione si traduce : volere
  l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato). 
  Detto
  ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non
  volersi   impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca
  esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non
  intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo
  bollito... 
  Il cocco
  della locuzione in effetti  non è il
  frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che,  con voce gergale fanciullesca, è  chiamato cocco  richiamandosi al
  noto  verso della gallina: cocco(dè); 
  l'aggettivo
  buono
  unito al precedente aggettivo ammunnato
  (mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.:cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del
  parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito,
  quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di
  riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio,
  viene buono  per esser súbito mangiato. 
  E passo
  ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli
  anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento
  liberatorio degli alleati anglo-americani,  la città di Napoli fu invasa da militi cui,
  in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta,
  cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi  di voluttà (liquori,  tabacchi etc.), le giovani e meno giovani
  donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei
  militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco
  atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e
  – nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale
  (a/e/o) di timbro evanescente) ecco
  che con l’espressione vulé ‘o cocco
  ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da
  non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma  ci si riferí piuttosto a quelle tali
  sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di
  vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi
  anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse
  e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato
  e bbuono… venne intesa appunto volere
  il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di
  infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi
  l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non
  mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale
  seconda lettura il termine cocco
  non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il
  verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto
  -  dell’anglo-americano  cock =
  membro maschile. 
    
  Raffaele
  Bracale 
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