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                           1.PARÉ
  PASCALE PASSAGUAJE.  
  Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene
  appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli
  occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente -
  si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi,
  compiangendosi, con tutti. Il Pasquale richiamato nella locuzione  fu un tal Pasquale Barilotto lamentoso
  personaggio di farse pulcinelleche del teatro di A. Petito.   
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   2 PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.  
  Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria
  imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori
  del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate
  per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo
  napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi
  alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.  
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   3 MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô  MUOLO.  
  Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due
  situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti
  minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate
  le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu
  spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato
  e vivo, che morto impiccato.  
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  4 FUTTATENNE!  
  Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi
  attenzione. È il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta
  adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si
  stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito
  fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il
  santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma
  della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa
  propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e
  allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare
  intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo
  quali che fossero stati i dettami di Roma.  
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   5 FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.  
  Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di
  percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure
  metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.  
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   6 FÀ TRENTA E UNO TRENTUNO.  
  Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare
  quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a
  trentuno non  v'è che  un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta
  l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un
  trentunesimo non previsto.  
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   6 ESSERE CARTA CANUSCIUTA.  
  Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi
  inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da
  giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.  
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   7 ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.  
  Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica
  espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso
  morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio
  di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i
  confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni
  nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati
  nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente
  insozzato.  
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   8 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LE
  DETTE 'NA NOCE.  
  Letteralmente : il regalo che fece Berta alla nipote: aprì la cassa e le regalò
  una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono,
  specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a
  fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva
  res.  
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   9 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.  
  Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est:
  i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui
  sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende
  l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi
  si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si
  finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia
  pure erroneamente a pratiche sodomitiche 
  
  
   
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     10.TRE CCALLE E MMESCAMMÉCE.  
    Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Così,
    sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende
    altrui, che vuol sempre dire la sua, interessandosi con poco impegno o
    spesa delle faccende altrui. Il tre calle era una moneta di piccolissimo
    valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per
    contrazione prese il nome di callo. La locuzione significa: con poca spesa
    si interessa delle faccende altrui.  
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     11.CHI SE FA MASTO, CADE DINT'Ô  MASTRILLO.  
    Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato.
    L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle
    situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son
    soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per
    fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono
    di ammaestrare. 
    mastrillo = trappola per topi (dal lat. volg. mustriculu(m)→mustriclu(m)→mastrillo).
     
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     12.TUTTO A GIESÚ E NIENTE A MARIA.  
    Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a
    conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è
    invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua
    distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere
    si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte
    però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.  
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     13.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O
    MMAGNATO!  
    Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno.
    Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare
    comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità
    di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili
    ladri!  
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     14.PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA  
    Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio
    essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,
    viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e
    ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a
    tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato,
    l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli
    omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente,
    laddove sono invece l'esatto opposto.  
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     15.FÀ COMME A SANTA CHIARA:  
    DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.  
    Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si
    apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi,
    quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che
    accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di
    ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i
    ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa
    partenopea.  
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     16.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.  
    Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di
    quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima
    che si rivolge a persona ritenuta così massimamente sporca, laida e lercia
    da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per
    la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino
    venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati
    del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto.  
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     17.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.  
    Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico,
    icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che
    meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare,
    partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati
    generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il
    cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua
    di una leggera, sottile falda di cipolla. 
    
    
     
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       18.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.  
      Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è
      il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di
      essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione.
      La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione
      non ha nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere,
      non contando nulla.  
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       19.TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A
      DO' 'E CCACCE?  
      Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove
      li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa
      mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto
      che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che
      possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico
      sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali
      affari. E' da ricordare anche che il termine GLIUOMMERO
      (gomitolo)indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro
      corrispondente a circa 100 ducati d'argento.  
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       20.MENARSE DINT'Ê VRACHE...  
      Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio
      ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento.
      L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei
      giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di
      cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui
      finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano
      la bestia.  
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       21.CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE.  
      Letteralmente: Chi ha poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può
      essere generoso  
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       22.LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO
      'E ZZOCCOLE.  
      Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con
      questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è
      disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo;
      proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che
      combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi.  
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       23.NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FÀ FIGLIE CARRETTIERE  
      Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli
      carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da
      adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la
      certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via
      genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa
      imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma...  
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       24.SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CHILLO, NUN NE
      VA MANCO UNO 'NTERRA  
      Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa
      di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte
      corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero
      infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito
      dalla propria donna.  
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       25.MUNTAGNE E MUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.  
      Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie simili. E' una
      velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che
      si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la
      considerazione che solo i monti sono immobili...  
      
      
       
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         26.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!  
        Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il
        proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono
        solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli
        sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per
        ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi;
        comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il
        fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto
        deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco
        froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.  
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         27. 'E DENARE SO' COMM'Ê CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê
        CUGLIUNE.  
        Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli.
        Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene
        usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli
        sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza
        al danaro da legarvisi saldamente. 
        Brak  
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