mercoledì 10 febbraio 2021

.CCA SOTTO NUN CE CHIOVE! (JEVANO DICENNO ‘E PISCE SOTT’ACQUA...)

.CCA SOTTO NUN CE CHIOVE! (JEVANO DICENNO ‘E PISCE SOTT’ACQUA...)

Ad litteram: Qui sotto non ci piove(dicevano i pesci sott’acqua)

L’espressione, pronunciata tenendo puntato il dito indice della mano destra ben teso contro il palmo rovesciato della mano sinistra, viene usata, a mo’ di risentito avvertimento , nei confronti di chi - dopo di aver promesso un aiuto o una liberalità - sia venuto meno clamorosamente a quanto promesso; e ciò nell’intento di fargli capire che non si è piú disposti a sopportare una simile mancanza di parola data e, per converso, si è pronti, secondo un noto principio partenopeo che statuisce: fa’ comme t’è ffatto ca nun è peccato (comportati con gli altri come gli altri si sono comportati con te, ché non peccherai…) a restituire pan per focaccia; rammento che l’espressione originaria è quella fuori parentesi, espressione che da sola è significativa e sostanzia l’intendimento vendicativo di chi la pronuncia ; la parte tra parentesi è aggiunta a mo’ di spiegazione che però non dà,ed è perciò inutile e pletorica e non significativa ed infatti nell’uso comune non viene pronunciata! In effetti sott’acqua è ben difficile cogliere gli effetti di una eventuale semplice pioggia che non sia uragano o temporale violento ed è del tutto ovvio che un pesce che nuoti sott’acqua possa affermare che lí sotto non ci piova, ma ciò non offre il destro di cogliere il significato dell’avvertimento lanciato stringatamente con il semplice Cca sotto nun ce chiove! (Qui sotto non ci piove!).

cca  ( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero, una congiunzione ed un pronome ca = (che), pronome e congiunzione (ambedue dal lat. quia→q(ui)a→qa→ca che però si rendono con la c iniziale scempia, laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la c iniziale geminata ( cca) e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dai due omofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritorî peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche!

sotto avv. di luogo (dal lat. subtus, avv. deriv. di suªb 'sotto');

nun avv. di negazione(dal lat. non) = non ; talvolta viene aferizzato in ‘un o apocopata in nu da rendersi nu’ per evitarne la confusione con l’omofono ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove invece,il non segnarlo, a mio avviso, è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo, Eduardo,Nicolardi etc.)Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori napoletani, anche famosi e/o famosissimi non poterono avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del napoletano, supporti che erano inesistenti del tutto ed i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva) erano malamente diffusi, né potevano far testo, vergati com’erano da addetti ai lavori non autenticamente napoletani e pertanto, spesso imprecisi e impreparati. Ancóra ricordiamo che moltissimi autori furono istintivi e spesso mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo), altri avevano studiato poco e male e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, e. Nicolardi etc. spessissimo usarono maldestramente adattare le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.

chiove = piove voce verbale impersonale ind.pr. dell’infinito chiovere = piovere ; (dal lat. tardo plovere, per il class. pluere) normale il passaggio del digramma latino pl seguito da vocale al napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – chieja← plica(m)). 

Brak

 

 

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