domenica 21 febbraio 2021

GENNARINO NUN DICE BUSCIE; DICE ‘NU CUOFANO ‘E FESSARIE.

GENNARINO NUN DICE BUSCIE; DICE ‘NU CUOFANO ‘E FESSARIE. 

 

Ad litteram: Gennarino non dice bugie; dice  un cumulo di sciocchezze.

Cosí, con la locuzione indicata   si suole prender giuoco  di ogni persona notoriamente bugiarda , poco credibile, millantatrice; l’espressione nacque allorché esistette in Napoli un tal Gennarino, venditore ambulante di panzarotti fritti (gustosissime frittelle di patate, di origine meridionale che, come alibi scrissi, sarebbe piú giusto, anche in italiano, continuare a chiamare panzarotti e che invece impropriamente vengon dette crocchette) che era solito  magnificare la propria merce in modo esagerato  sottolineando le sue parole con l’aggiunta di una sorta di giuramento: Gennarino nun dice buscie (Gennarino non mente!). Atteso che la merce, invece, non era cosí  buona come magnificato dal venditore, gli scugnizzi napoletani  presero a canzonarlo aggiungendo al suo giuramento una caustica chiosa: dice ‘nu cuofano ‘e fessarie. (dice  un cumulo di sciocchezze) volendo significare che il sullodato Gennarino, in qualsiasi caso (si trattasse di bugie o di sciocchezze) mentiva e la sua merce era scadente!

buscía (di cui buscíe è il plurale) = bugia, menzogna   ed altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia è parola  derivante dal provenzale bauzía  che è dal francone bausi = menzogna, malignità; nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città  algerina Bugiaya  dove si producevano tali piattelli e da dove, pare, s’importasse la cera per produrre le candele;

cuofano = cesto, corbello  e per traslato gran quantità, abbondanza;  dal latino  cophinu(m)= cesta,  normale il passaggio della i  atona  ad  a atona, in parole sdrucciole;

fessaria= cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato bugia macroscopica; etimologicamente  da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco)  p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza arius/aro +  la desinenza tonica ía; rammenterò che la stessa parola con i medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene  in quest’ultima l’originaria ed etimologica a  ovviamente aperta, la si sia sostituita con una  pretestuosa  e chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, piú consona dell’aperta  a  alla elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo cosí in luogo di fessaria  una non migliore fesseria.                                                           Raffaele Bracale

 

 

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