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ESPRESSIONI 29.3.21
1.CANTA
CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai
ragione!
Il
proverbio ironicamente intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una
discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi,
alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il
proverbio fa riferimento all’abitudine dei canonici della Cattedrale che son soliti
cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da
tutti i fedeli.
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2. ARMAMMOCE
E GGHIATE.
Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al
pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma
mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva
comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat
in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a
bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
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3. A - CANE
E CCANE NUN SE MOZZECANO B- CUOVERE E CUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E CORVI NON SI
ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra
le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini,
intendosi sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi
guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
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4.CCA
'E PPEZZE E CCA 'O SAPONE.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia
l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue
immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai
rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del
sapone per bucato[détto sapone ‘e
piazza, preparato artigianalmente]; quei rigattieri per il fatto di dare sapone erano detti sapunare.
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5.TENÉ
'A SÀRACA DINT' Â SACCA
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e
frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca
(aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della
scomoda compagna.
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6.T'AGGI''A
FÀ N'ASTECO ARETO Ê RINE...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti
violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa
grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per
asteco (dal greco ostrakon→ostakon→asteco)
a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente
era formato con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi
violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente
compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
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7.ÒGNE
ANNO DDIO 'O CUMANNA
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea
traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i
napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto
corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
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8. PE GGULÍO
'E LARDO, METTERE 'E DDETE 'NCULO Ô PUORCO.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id
est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni
riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo
prefisso. La parola gulío attestato anche come vulío= voglia, desiderio
pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío/vulío non
espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la
parola gulío/vulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente
con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per
es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come
rabies divenuta (a)rraggia.
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9.SCIORTA
E MMOLE SPONTANO 'NA VOTA SOLA.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est:
bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione
propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
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10.LL'ARTE
'E TATA È MMEZA 'MPARATA.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a
Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del
genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo.
Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si
vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver
appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei
riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed
antifrastico.
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11.ATTACCARSE
Ê FELÍNIE.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli
per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi
argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie
pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non
inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
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12. JÍ
FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro
bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e
guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali
atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli.
Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva
apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria
tracotante anche davanti al proprio re.
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13. 'NCASÀ
'O CAPPIELLO DINT' Ê RRECCHIE.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie ossia calcarlo in
testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi
accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione
fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente,
approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e
talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo -
sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello
calcato in testa fin sulle orecchie.
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14. ROMPERE
'O NCIARMO.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a
situazioni che per potersi mutare hanno bisogno di decisione e pronta azione
in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i
normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu
per venire a capo della faccenda. La parola nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva dal lat. in+ carmen ma da un
francese
n(eufonico) +
charme
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15.'NGRIFARSE
COMME A 'NU GALLERINIO.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india
(da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia
arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo
troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di
chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si
dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato
non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
brak
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