‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE
Letteralmente donna Pereta fuori (affacciata) al balcone; ci troviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione, una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito[per indicare un peto piú duraturo e piú rumoroso] di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia, manifestazione viscerale rumorosa rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata è detta iconicamente:locena che nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena; altrove troviamo: lumera = esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta.
A margine ed aggiunta alla espressione in epigrafe fin qui esaminata, ne rammento altre tre che articolate sui termini loffe e pérete fanno parte del patrimonio popolare nell’icastico linguaggio partenopeo. E sono:
1) ‘E lloffe d’ ‘e mmonache addorano ‘e ‘ncienzo!
2) ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!
3) ‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!
Mi pèrito di darne la traduzione letterale chiarendo súbito che si tratta solo di un esercizio letterale atteso che le espressioni non vanno lette ad litteram, ma nei sensi figurati che chiarirò. Ecco le traduzioni:
1) Le scorregge delle monache odorano d’incenso!
2) I péti della signora Rosa sono tutti sciroppati!
3) I péti della signora Badessa son tutti limoncini freschi!
E passiamo ai significati figurati che son quelli con cui vanno intese le espressioni in esame:
1)La locuzione ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo che è da intendersi come “le mancanze, anche gravi, delle persone consacrate vanno in ogni caso perdonate” è usata ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che, subíto un danno fisico o morale o un’offesa da soggetti consacrati, vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono cristianamente offrire l’altra guancia atteso che le offese o mancanze delle persone consacrate iperbolicamente odorano d’incenso, cioè di solito non son dovute a cattiveria ma a mero errore.
2)La locuzione ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!” è usata ironicamente in riferimento ai comportamenti vanaglioriosi dei vanitosi, superbi, immodesti, boriosi che pur tenendo atteggiamenti non consoni, irriguardosi o immodesti fan le viste opposte al segno di voler fare apparire dolci, graditi, gradevoli, piacevoli, soavi manifestazioni che al contrario son palesemente brutte, sgradevoli, spiacevoli quando non addirittura disgustose come sono i peti.
3) Ed infine la locuzione”‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!” analoga a quella sub 1)
‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo è da intendersi come “le mancanze delle persone importanti e/o dei capi vanno in ogni caso accettate come ineludibili quali fatti cui non ci si possa opporre ”. La locuzione è usata perciò ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale dai superiori o siano vessati da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono obtorto collo sopportare in silenzio atteso che è del tutto inutile contrastare avversare, osteggiare, contrariare, contestare, contraddire i capi o i superiori destinati in ogni caso ad aver la meglio sui sottoposti che devono rassegnarsi alla figurata iperbole che i peti dei superiori odorino di limoncini freschi! A margine di tutto faccio notare che nella locuzione sub 1 si fa riferimento a loffe laddove in quella sub 3 si parla di pérete e ciò accade perché, con ogni probabilità, nella coniazione delle due locuzioni si è intesi essere piú duri in quella sub 1 atteso che si parla di loffe che, come ò precisato, sono molto piú tremende delle pérete
Alcune notazioni linguistiche.
Di loffa e péreta ò già détto antea.
addorano voce verbale (3ª pers. pl. ind. pr.) dell’infinito addurà = odorare, profumare, olezzare; etimologicamente addurà è un denominale del tardo lat. *adore(m) per il cl. odore(m); la a intesa come un residuo di ad favorí il raddoppiamento espressivo della occlusiva dentale sonora (d) per cui *adore(m) fu*addore(m) donde addurà.
‘ncienzo s.vo neutro = incenso: gommoresina che si ottiene
praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante originarie
dell'India, Arabia e Somalia, e che, bruciata, emana un intenso aroma; fin
dall'antichità è stata usata durante le cerimonie religiose.
2 (estens.) il fumo e l'odore di quella gommaresina.
etimologicamente è voce aferizzata dal lat. tardo, eccl. incĕnsu(m), propr. part. pass. neutro sost. di
incendere 'accendere, infiammare'; da incĕnsu(m)→(i)ncĕnsu(m)→’ncienzo
con il consueto passaggio ns→nz e dittongazione della ĕ.
sceruppato = sciroppato voce verbale (part.pass.m.le agg.to)dell’infinito sceruppà = (come nel caso che ci occupa)sciroppare,conservare la frutta nello sciroppo: sciroppare le pesche | sciropparsi qualcuno, qualcosa, (fig.) sopportarli, sorbirseli pazientemente; etimologicamente il verbo sceruppà è un denominale di sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce; a margine di questa voce rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Ed ora, quasi al termine mi piace illustrare un’ icastica frase in uso a Napoli forgiata col verbo sceruppà; essa recita sceruppà ‘nu strunzo e vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza, boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!
sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-gneuse→sié(gneuse)→sié.
badessa e cioè: superiora in un monastero femminile: madre badessa, ma ironicamente anche donna autoritaria, che si dia arie di superiorità; etimologicamente il termine badessa è una forma aferetica per (a)-badessa che viene dal latino abbatissa voce femminilizzata di abbas/abbate(m) che trae dal caldeo e siriaco âbâ o âbbâ= padre.
E qui mi fermo. Satis est.
R.Bracale
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