PASTIERA NAPOLETANA*
È l’incontrasto dolce principe della pasticceria napoletana, dolce tipico del periodo pasquale (primavera), ma buono e consigliato in ogni altro periodo dell’anno!
Ingredienti per 6/8 persone
per la pasta frolla:
350 gr. di farina,
2uova,
un pizzico di sale,
140 gr di strutto,
140 gr. di zucchero.
per il ripieno
Grano cotto - 1 lattina 450 gr,
Aroma millefiori per dolci - 15 ml,
Latte - 250 gr,
Strutto - 180 gr,
150 gr. di cedro e scorza d’arancia canditi
Ricotta - 550 gr,
Uova - 9
Zucchero - 600 gr,
Vaniglia - 1 baccello
Cannella
in polvere – 1 cucchiaino da tè
Farina - 350 gr,
Sale fino una presa
Zucchero a velo per guarnire 4 cucchiai
attenzione
Per
arricchire il composto della pastiera è d'uso e consigliato aggiungere alcune cucchiaiate di una crema
pasticciera preparata con:
un bicchiere di latte,
1 etto di zucchero,
50 gr. di farina doppio zero,
4 rossi d'uovo,
la scorza di un limone,
un baccello o una bustina di vaniglia
(vanillina)
Per preparare la crema procedere nel seguente modo:
Versate i tuorli direttamente in un pentolino antiaderente con il fondo arrotondato. Tenete gli albumi per un altra preparazione. Scaldate a fondo il latte in un pentolino e unite le scorzette di limone oppure la bustina di vaniglia o il baccello spaccato in due per il lungo. Nel caso della vaniglia in baccello, grattate con la punta di un coltellino i semini neri direttamente nel latte. Unite lo zucchero ai tuorli e mescolate bene con una frusta a mano. Lavorate per alcuni minuti fino a ottenere una spuma di colore chiaro. Unite la farina e mescolate bene con la frusta. Se l'impasto diventasse troppo denso, allungatelo con 2 cucchiai di latte freddo e mescolate fino a che la farina sia ben incorporata.
Togliete dal latte la stecca o le scorzette e versatelo nel pentolino coi tuorli. Mescolate súbito con la frusta per evitare che il latte bollente cuocia i tuorli e formi dei grumi. Quando si sarà ottenuto un impasto omogeneo, ponete il pentolino su fuoco bassissimo e continuate a mescolare fino a che la crema si addensi. Attenzione, è importante che il fuoco sia davvero basso.
Versare súbito la crema in un setaccio a trama fitta poggiato su di una ciotola. Rimestare ben bene con un cucchiaio, o meglio ancóra con una stecca, nel setaccio per facilitare il passaggio della crema. Coprite la ciotola con pellicola trasparente e lasciatela raffreddare alquanto prima di aggiungerla a gli altri ingredienti.
Prepariamo adesso la pastiera.
Procedimento
Preparate
la pasta frolla: sulla spianatoia lavorate la farina (350 g) con 2 uova, un
pizzico di sale, 140 g
di strutto e 140 g
di zucchero. Come tutte le paste frolle bisogna impastare rapidamente. Ottenuto
un panetto sodo ed elastico tenetelo a riposo, coperto, mentre preparate il
ripieno.
Versate il contenuto del barattolo di grano cotto in una casseruola;
amalgamatelo sulla fiamma bassa con il latte e la scorza grattugiata di
un'arancia o di un limone a vostra scelta. Cuocere a lungo ed a mezza fiamma, mescolando attentamente perché non si attacchi,
fino ad ottenere un composto cremoso.
Frullate la ricotta con 500 gr. di zucchero, 5 uova intere piú due rossi, una
bustina di vaniglia, un cucchiaino da tè di cannella in polvere ed 1 fiala di aroma millefiori. Questo aroma può
essere sostituito anche da una fiala di fiori d'arancio, piú facilmente reperibile sul mercato. La vera essenza da
usare, però, nella pastiera è la prima. Amalgamate il frullato con il composto
a base di grano e aggiungetevi la crema pasticciera ed i canditi tagliati a
dadini, girando molto bene.
Accendete il forno e portatelo a 180°. Ungete di strutto o rivestite con carta
da forno una tortiera adeguata (ca 25 cm. di diametro), a bordi alti sei cm. di
quelle apribili. Foderate lo stampo con la pasta frolla in modo da arrivare
fino ai bordi e avendo cura di conservare un po' di pasta frolla per decorare
la superficie del dolce. Versate il composto e decoratene la superficie con
strisce strette 1,5 cm.
di pasta frolla, formando come un
graticcio
Infornare per ca 180 minuti.
Lasciar raffreddare bene nello stampo e prima di servire cospargere di zucchero
a velo.
Accompagnare la preparazione con rosolii dolci al gusto di arancia o limone.
*Questo dolce è tipico della zona napoletana e viene preparato in occasione
della festività primaverile della santa Pasqua e la sua ricetta è molto antica.
Da qualcuno, ma non so quanto veridicamente, si afferma che la pastiera, , accompagnò le
feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse
di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente,
mentre il grano o il farro, misto alla
morbida crema di ricotta, potrebbero derivare dal ricordo del pane di farro
delle nozze romane, dette appunto
confarreatio= confarreazione, una delle forme legali del matrimonio
romano, la piú solenne (tanto che un matrimonio celebrato in questa forma non
poteva esser mai sciolto!) che prendeva il nome dalla focaccia di farro farcita
di ricotta offerta agli sposi e a Giove.
Un'altra
ipotesi circa l’origine della pastiera la fa risalire alle focacce rituali che si
diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e
miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della
cerimonia battesimale. Per il vero la versione originale della pastiera
napoletana, versione nata nel contado partenopeo, consistette ed in taluni
paesi ancóra consiste ( sia pure con il nome di pizza doce ‘e tagliuline) in
una sorta di frittata di pasta, frittata però dolce fatta mescolando uova, zucchero,
ricotta ed aromi con la pasta lessa (spaghetti o vermicelli o tagliolini)
scondita, eccedente il fabbisogno dei
commensali; dalla parola pasta
addizionata del suffisso femm. di pertinenza iera deriva il nome di pastiera.È solo una divertente, fuorviante coincidenza, ma con nessun attendibile
sostrato semantico-etimologico che il suffisso iera (suffisso di pertinenza
derivato (cfr. Rohlfs) dal francese ière)
di past-iera derivi dal sostantivo ieri!
Nell'attuale versione, si pensa che la pastiera sia stata inventata probabilmente nella pace segreta di
uno sconosciuto, dimenticato monastero
napoletano dove un'ignota suora addetta alla cucina volle che in quel
dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse agli ingredienti della cucina
quotidiana, il profumo dei fiori d'arancio del giardino
conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano bollito,quel
grano che, sepolto nella scura terra, germoglia e risorge splendente come
oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori
odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.Non
vi sono certezze circa il nome del monastero, mentre è certo che le suore
dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno furono reputate maestre nella
complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne
confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca
borghesia, o per offrirne (in cambio di una piccola elemosina da destinare ai
poveri) ai visitatori del convento.
Oggi ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice
dell'autentica, ed ovviamente migliore, ricetta della pastiera. Ci sono,per
intenderci , due scuole di pensiero : la piú antica insegna a mescolare alla
ricotta, al grano cotto ed agli altri ingredienti delle semplici uova sbattute,
e prevede che il dolce risulti alto non
piú di due dita; la seconda(decisamente innovatrice) alla quale aderí anche mia
madre dalla quale ò appreso la ricetta del dolce piú buono in assoluto, raccomanda di confezionare un dolce alto tre
dita almeno e di mescolare a tutti gli ingredienti (uova
sbattute comprese) una densa crema pasticciera che se non la rende piú leggera, la fa certamente morbida ed appetitosa ; tale innovazione fu dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega
in un angolo della Piazza Municipio, bottega ora non piú esistente.
La pastiera va confezionata con un certo
anticipo, non oltre il Giovedí o il Venerdí Santo, per dare agio a tutti gli
aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile
sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati
a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è
assai fragile ed a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.
Personalmente lo ritengo il dolce piú saporito
che si possa preparare, superiore ad ogni altra leccornia.
Tradizionalmente viene fatto per festeggiare il ritorno della bella stagione e
quindi è associato alla Pasqua ma in realtà, come ò detto all’inizio, si può fare in ogni momento dell'anno visto
che gli ingredienti son reperibili tutto
l’anno e sarebbe un peccato non approfittarne!
* Leggenda e mitologia
Leggenda
e mitologia si sposano nel narrare la
storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo,
disteso tra Posillipo ed il Vesuvio,pare
avesse fissato lí(al fondo del mare di Napoli) la sua dimora. Ogni
primavera però la bella sirena emergeva
dalle acque per salutare le genti che
popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu cosí melodiosa e soave che tutti gli
abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi
dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro
dedicato. Per ringraziarla di un cosí grande diletto, decisero di offrirle
quanto di piú prezioso avessero.
Sette fra le piú belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di
consegnare i doni alla bella Partenope: la farina (forza e ricchezza della
campagna), la ricotta (omaggio di
pastori che la producevano con il latte delle loro pecorelle); le uova (simbolo della vita che
sempre si rinnova) il grano tenero, bollito nel latte (a prova
dei due regni della natura), l'acqua di fiori d'arancio (perché anche i profumi
della terra rendessero omaggio alla
sirena ), le spezie (come omaggio dei
popoli piú lontani del mondo) ed infine lo zucchero (per esprimere l'ineffabile
dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto
l'universo).
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare
ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli
dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono
con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima pastiera che
superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Senza scomodare la mitologia si racconta, a vanto della pastiera, che Maria Teresa D'Austria (Vienna 31.07.1816 † Albano Laziale 08.08.1867) , consorte in seconde nozze del re Ferdinando 2° di Borbone (Palermo 1810 † Caserta 1859), soprannominata dai soldati la Regina che non sorride mai, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".La storiella – ovviamente – deve essere accettata per quel che è: un’invenzione in lode della pastiera e non [come erroneamente fa qualche sprovveduto] come riferimento alla nascita della pastiera che (come détto) è con tutta probabilità molto piú datata!
Concludendo dirò che sia che si tratti di un dono degli dei ghiottoni, sia che sia un antico dolce d’epoca romana, o una trovata di una solerte capa ‘e pezza o piú modestamente un’ideazione di una contadina economa e parsimoniosa, a noi non resta che plaudire all’indirizzo di chi ci à donato quest’insuperabile dolce, metterci in cucina, scorciarci le maniche, prepararlo e poi mangiarlo appena sia raffreddato, in barba al diabete, trigliceridi, colesterolo memori ca una vota se campa e tutt’’o llassato è perduto!
Alla pastiera ò dedicato i seguenti sonetti, pubblicati nel mio volume di poesie napoletane :
‘E CCOSE D’’O PPASSATO (ed. Graus 2006 Napoli)
’A PASTIERA
I
Simmo arrivate a Ppasca e pure st’ anno
t’ hê miso ’ncapo ca m’ hê ’a fà ’a pastiera…
Tu me saje cannaruto ’e che manera
pe chistu dolce lloco e staje ’nciarmanno
cu zzuccaro e rricotta, ca… nun sanno
qua’ fine aspetta… ggià da ajeressera
’mmiez’ ô revuoto ’e cinche, seje turtiere
ca o songo piccerelle o troppo ’ranne…;
ògne anno ’a stessa storia puntualmente
e ògne anno ’o risultato è ttale e cquale…
I’ ’o ssaccio: me vulisse fà cuntento,
ma ’o fatto è cchisto – nun l’averlo a mmale –
quanno s’ arape ’o furno, ch’ esce fora?
’Na ddia ’e pantosca tosta e ssenz’ addore!
E mme se stregne ’o core!
E mm’ arricordo, ahimmé, cu nnustalgia
d’ ati pastiere… Chelle ’e mamma mia!
II
Quanno era viva mamma, eh gioja mia…,
ê juorne ’e Pasca, ’a casa, chien’ ’addore
sapeva tutta d’ acqua ’e millesciore
e tte metteva ’ncore n’ alleria…
Ma che ne faje ’e ’na pasticceria!?
Pastiere tante, oj ne’, chiene ’e sapore
cotte a mmestiere, ca ’un vedive ll’ora
e n’ assaggià ’na fella, comme sia,
senza aspettà ca se fosse freddata,
pecché, ’ncopp’ ô buffè d’ ’a stanza ’e pranzo –
guardannole zucose e prelibbate –
pareva ca dicesse’: Fatte ’nnanze!
Ch’ aspiette? Taglia e dicce: Bellavita
’e ffa cchiú mmeglio, ’e ffa cchiú sapurite?…
Nun resistevo ô ’mmito
e nne facevo tale e ttante assagge
ca finché campo nun m’ ’e scurdarraggio!
III
E pure tu ’assaggiaste e tte piacette
talmente tanto d’alliccarte ’e ddete…
Dicive: Sta ricotta è ccomme â seta,
’sta pastafrolla è ppropeto allicchetto!…
Ragion per cui, teté, cu ogni rispetto,
nun t’ ’a piglià si i’ mo, ’nnante a ’sta… preta,
cu ’a scusa ’e tené ’o ppoco ’e diabbete,
i’ me ricuso… Nun è ppe dispietto
ma proprio nun ce ’a faccio… Tiene mente:
se sente ’o ggrano, è vvascia, s’ è arruscata
è scarza ’e cetro e ’a crema nun va niente…
e aje voglia ’e ’mpupazzarla: ’sta… crostata
secca e ’ntaccuta e ccu ’na faccia nera
nun m’ ’a puó fa passà pe ’na pastiera!
Pirciò cagna penziero:
nun è arta toja! E si è ppe… devuzzione
pígliala bbella e ffatta… e statte bbona!
***
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale.
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