domenica 4 aprile 2021

SCATOLOGICA

SCATOLOGICA

L’amico R.M. ( le consuete questioni di riservatezza, mi impongono  di indicare le sole iniziali di nome e cognome) mi à proditoriamente invitato ad illustrare alcune espressioni partenopee a sostrato scatologico; pensava di mettermi in difficoltà, conoscendomi per persona beneducata, compita, corretta e paventava ch’ io  mi rifiutassi; si sbagliava: è vero  che son un uomo  perbene,  civile, costumato, ma non sono un pusillanime né temo di lordarmi la bocca o le mani parlando di sterco ed affini. Perciò bando alle ciance, mi turo il naso, infilo i guanti  e tento di  contentare  l’amico R.M. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori.

 

1 ESSERE N’ OMMO ‘E MMERDA

Ad litteram: essere un uomo  fatto di merda. Id est: essere una persona infida, scostante, repellente,ributtante, disgustosa, nauseabonda, rivoltante  e – per ampliamento semantico -  inaffidabile,subdola,  falsa, doppia, ambigua, ingannatrice  tamquam  qualcosa formata di escrementi.

2 FÀ ‘NA FIJURA ‘E MMERDA.

Ad litteram: fare una figura di sterco.Locuzione simile a quella che recita fà ‘na fijura ‘e chiuove (id est:fare una figura da chiodi cioè  fare una  figuraccia), ma connotata da una maggior durezza di linguaggio in quanto  che la figuraccia  derivante dall’errato comportamento e battezzata di chiodi  è quella  meritevole quasi  di essere attaccata con dei chiodi, e tenuta a vista  a mo’ di ammonimento o ricordo, mentre la figura battezzata di merda    è quella  da considerarsi tanto  lercia di escrementi da non meritare d’esser considerata neppure come ammonimento o ricordo, né può pretendere d’essere tenuta in vista sorretta da chiodi, trattandosi di cosa piú che umiliante e mortificante, ma eliminata assieme ad altre deiezioni!

3JÍ  CU ‘O MUSSO  DINT’Â MMERDA. variante

 JÍ CU ‘A FACCIA DINT’Ô PANECUOTTO.  

Ad litteram: Finire con il muso nello sterco

 variante  finire con la faccia nel pan cotto.  

La locuzione a margine  e la sua variante sono usate per  significare il comportamento di tutti coloro che per propria ingenuità o insipienza  finiscono per fare meschine figure  al pari (cfr. variante) di un bimbo che si sia imbrattato il volto mangiando pan cotto; la prima parte  molto piú dura ed icastica prende a modello il comportamento del maiale che frugando nel porcile alla ricerca di cibo, spesso  affonda il muso nei suoi stessi escrementi, e tale comportamento  viene appaiato ai presuntuosi atteggiamenti di coloro che abituati a fare i saccenti ed i supponenti  spesso vedono le loro affermazioni, se non le loro azioni vanificate queste  e contraddette quelle,  dalla chiara realtà  e finiscono per fare figure cosí meschine da esserne quasi insozzati come un porco dal suo sterco.

4 STÀ POCA MMERDA 'A FÀ PALLOTTOLE

Ad litteram:c'è poca merda da farne palle. Id est: c'è poco da fare, non è possibile raggiungere  i risultati sperati: mancano la materia prima  ed i mezzi occorrenti. Locuzione nata  nell'ambito  dei raccoglitori (détti mmerdajuole)  degli escrementi di animali,escrementi  atti ad esser venduti come concime; la locuzione veniva pronunciata  con profondo senso di rincrescimento, allorché nel loro quotidiano girovagare ,i raccoglitori trovavano poco da      portar via, raccolto con le pale e compattato a mo’ di palle(per completezza aggiungerò qualcosa, illustrando l’espressione

 4 bis ESSERE ‘A TINA ‘E MIEZO.


Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo(carro trainato da un bove), tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale per il tramite di  due altri tini piú piccoli allogati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.
tina = tino, ma di piú grosse dimensioni; etimologicamente da tardo latino tinu(m), derivato da tina 'bottiglia', di orig. greca; tinum diede originariamente il maschile tino, poi volto al femminile tina in quanto di maggiori  dimensioni, come spesso nell’idioma napoletano, dove un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella;
‘e miezo dal lat. mediu(m) = di mezzo: posto nella parte mediana di qualcosa; senza la preposizione ‘e (di) il solo miezo è aggettivo che vale: mezzo, metà.
Rammenterò che proprio per l’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini, la città di Torre del Greco finí per essere detta tout cour ‘A tina ‘e miezo e tale nomignolo le derivò anche per il fatto (rammentato nell’altra espressione: Napule fa ‘e peccate e ‘a Torre ‘e sconta (Napoli si macchia di peccati che vengono pagati da Torre)) che per un dannato, particolare gioco di correnti marine, le deiezioni corporali dei napoletani abbondantemente riversate in mare (cfr. alibi ‘a malora ‘e Chiaja) venivano trasportate verso Torre del Greco arenandosi sulla  spiaggia della cittadina vesuviana;
peccate plurale di peccato che di per sé è la colpa, il peccato, ma ovviamente qui è inteso in senso lato e traslato di escremento;
etimologicamente dal latino peccatu(m) deverbale di peccare = macchiarsi di una colpa

sconta voce verbale (3ª  pers. sing.ind. pres.) dell’infinito scuntà = scontare, pagare un po’ per volta o anche ripetutamente;
etimologicamente da un tardo latino computu(m)= conto, con protesi di una s distrattiva.
Sempre con riferimento all’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini,faccio un passo indietro e reitero il riferimento  alla  locuzione C’è poca ‘a fà mmerda, pallottole!  che viene usata a sapido commento di incresciose situazioni dalle quali non è dato ricavare (vuoi per mancanza di mezzi, vuoi per difficoltà intrinseche o per conclamate incapacità operative degli addetti) effetti o risultati positivi; ripeto  che in effetti gli escrementi animali, il letame venivano raccolti con le pale,compattati dandogli una forma vagamente sferica a mo’ di palla; quando mancava il materiale da raccogliere, o non ce ne fosse a bastanza gli addetti commentavano la faccenda con la frase summenzionata, usata in seguito in ogni altra situazione incresciosa per insufficienza di mezzi, difficoltà operative etc.

mmerda/merda dal lat. merda(m) = escremento, sterco e figuratamente: cosa che disgusta, persona spregevole, situazione ripugnante | nella loc.ne agg.le ‘e mmerda= pessimo, spregevole: fà ‘na fijura ‘e mmerda: fare una figura di merda = fare una pessima figura; dal s.vo a margine deriva il s.vo mmerdajuolo = raccoglitore di sterco;

dal s.vo a margine deriva altresí l’agg.vo m.le o f,le mmerduso/mmerdosa = inetto/a, incapace, buono/a a nulla. o di ragazzo/a che si atteggino ad adulti;in tale significato sono usati piú spesso i diminutivi mmerdusillo/mmerdusella;

pallottole = plurale di pallottola = piccola palla; doppio diminutivo attraverso i suffissi otto/a ed olus/ola del latino palla mutuato dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla involto di merci apprestato per il trasporto.

5 MMERDA ‘E SPRUVIERO!

Letteralmente: Sterco di sparviero!

Icastica, offesa esclamatoria rivolta all’indirizzo d’uomo (e solo di uomo!) privo di qualsivoglia personalità sia in senso positivo che in quello negativo; un essere insomma che non sia  né carne, né pesce, un uomo privo di carattere, incapace di farsi apprezzare sia nel bene, che  nel male,  un uomo di quelli che a Napoli son détti inadatti sia  ad esser fritti, sia ad essere  arrostiti; la spiegazione semantica di tutto ciò è da ricercarsi nel fatto che lo sterco di sparviero si ritiene  non emani né lezzo, né olezzo, tanto da farsi considerare quasi inesistente.

6 PIGLIÀ ‘NU STRUNZO ‘MBUOLO 

 intromettersi, intervenire a sproposito in una questione che non ci riguardi; ‘mbuolo  sta per in + vuolo, dove vuolo o buolo  con tipica alternanza partenopea b/v è un particolare piccolo retino da pesca, usato per pescare a volo i pesci in transito; qualora in luogo di pesce si pescasse uno stronzo (dal longob. strunz 'sterco') si incorrerebbe in un’azione sciocca ed inutile  tal quale quella tipica di arroganti, saccenti, supponenti che son soliti  intromettersi,non richiesti,né sollecitati, intervenendo a sproposito, in casi altrui e  non di loro pertinenza;

7 STRUNZO ‘MMIEZO!

Antica espressione dichiarativa del tutto desueta  usata un tempo da chi si intromettesse in una questione non propria o in un litigio, ma  con intenti pacificatorî; una sorta di “Alto là! Ora chetatevi, rappacificatevi, smettetela di litigare! Ascoltate me che benché sia uno sciocco e non abbia autorità alcuna, vi prego di desistere dal vostro incongruo comportamento!” Come si evince l’espressione a margine à sostrato del tutto diverso da quella precedente con la quale, da qualche sprovveduto, talora viene confusa: quella precedente è riferita infatti  a gli stupidi saccenti ficcanasi impiccioni, mentre questa a margine è di competenza degli umili, seppure coraggiosi o  temerarî pacieri;

8 QUANNO ‘O MARE È CCALMO, ÒGNE STRUNZO È MMARENARO

Allorché il mare è calmo, cioè non è foriero di pericoli, ogni incapace riesce a governare una barca o un piccolo naviglio facendo apparentemente  le viste d’essere un autentico marinaio; allo stesso modo ogni pusillanime, se non ci sono pericoli, rischi, azzardi o insidie fa le viste d’essere  audace, ardimentoso, intrepido, valoroso, prode, impavido;ugualmente ed ancóra di piú ogni sciocco, incapace, inetto, inabile, dappoco, parolaio fa le viste d’essere capace, abile, valido, esperto, sveglio, adatto, idoneo quando non ci sia da adoperarsi fattivamente per risolvere piccoli o grossi problemi.

9 FÀ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO. Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno,  attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente,   un convulso tremore degli intestini  e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.

 10 JVE/GHIVE FACENNO ‘O GUAPPO A MMARE, MO FAJE ‘O STRUNZO DINT’Â SPASELLA!

Facevi il guappo in mare, adesso fai lo stronzo nel cestino

Detto a mo’ di sfottò per commentare l’ingloriosa fine di un pesce  che braveggiava in mare fino a quando non è stato pescato e messo sul banco del pescivendolo; per estensione e/o traslato il proverbio si attaglia figuratamente a tutti coloro che, profittando di transeunte situazioni favorevoli,  braveggiano sui piú deboli fino a quando (essendo in realtà  persone stupide, odiose, saccenti e supponenti), venute meno quelle tali situazioni favorevoli al loro braveggiare, non incappino in chi li faccia scendere dal loro piedistallo e/o cavallo bianco  sottomettendoli o ridimensionandoli. guappo s.vo ed agg.vo m.1 camorrista, bravaccio, spaccone 2 (estens.) persona sfrontata, arrogante | guappo’e cartone, persona che nasconde dietro l'arroganza e la sfrontatezza una reale debolezza; come agg.vo:  sfrontato, arrogante;

quanto all’etimo  è voce  dal latino vappa s.vo f.le che già nel latino ebbe in primis il significato di  vinello inacetito e poi  pertrasl., al m.le) degenerato,bravaccio, uomo buono a nulla, cattivo soggetto tal quale il nap. guappo; normale nel napoletano l’alternanza v→g (cfr. volpe/golpa – vunnella/gunnella – vulio/gulio etc.).

 

strunzo s.vo ed agg.vo= stronzo, escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente

usato al feminile stronza figuratamente ci si riferisce a donna che non dà nessun affidamento, che si propone comportandosi in maniera eccessivamente civettuola  dispensando a gli sguardi le proprie grazie con fare, anche solo apparente,  quasi disonesto;

l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal tedesco strunz= sterco;

spasella s.f. tipico piccolo e leggero contenitore di midollo ligneo intrecciato, in forma di vassoio rettangolare a sponde basse,privo di manici;  contenitore in uso tra i pescivendoli campani per esporvi la merce sistemata ordinatamente ed agghindata con ciuffi di alghe marine; è un contenitore che per avere l’intreccio a maglie piuttosto larghe ben si presta a far passare l’acqua usata per spruzzare il pesce contenuto nella spasella, al fine di mantenerne o rinverdirne la freschezza.
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta – come ò detto - essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici,à l’etimo nel lat. neutro plur. expa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere

 

11 ÒGNE STRUNZO TÈNE 'O FUMMO SUĴO.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo, emana un lezzo caratteristico. Id est:ogni sciocco s’arroga la facoltà,  nel bene o piú spesso nel male  di farsi notare; ogni stupido si sente in diritto di esprimere la propria opinione che, inevitabilmente, à la valenza e la consistenza d’una esalazione mefitica.

fummo s.vo neutro

1.il residuo gassoso della combustione, che trascina in sospensione particelle solide (ceneri, fuliggine ecc.) assumendo forma di nuvola bianca o grigiastra: ‘o fummo ‘e n’incendio, ‘e ‘na cemmenèra, |signale ‘e fummo,  (il fumo di un incendio, di una ciminiera,|segnali di fumo), quelli ottenuti soffocando parzialmente e a intermittenza un fuoco | fà fummo(far fumo), emanarlo (fig.)essere improduttivi | piglià ‘e , sapé ‘e fummo (prendere di , sapere di fumo), acquistare, avere un sapore sgradevole di fumo (détto di cibi cotti) |, jirsene ‘nfummo (andare, andarsene in fumo), bruciare completamente; (fig.) svanire, fallire |mannà ‘nfummo coccosa (mandare in fumo qualcosa), bruciarla completamente; (fig.) mandare a vuoto, far fallire: mannà ‘nfummo ‘nu pruggetto; mannà ‘nfummo ‘nu patrimmonio(mandare in fumo un piano; mandare in fumo un patrimonio), dilapidarlo | è cchino ‘e fummo(è pieno di fumo), (fig.) si dice di persona boriosa e di poco valore | vennere fummo(vendere fumo), (fig.) raccontare fandonie, vantarsi di un credito che non si à | assaje fummo e poco arrusto(molto fumo e poco arrosto), (fig.) si dice di persona o cosa che, nonostante l'apparenza, conclude o vale poco | vedé coccosa o quaccuno commeô fummo dinto a ll’uocchie(vedere qualcosa o qualcuno come il fumo negli occhi), (fig.) averlo in forte antipatia | ‘o fummo d’ ‘e stelle (fumo interstellare), (astron.) gas commisto a particelle solide che circola tra una stella e l'altra
2 il fumo del tabacco; anche, l'atto, l'abitudine di fumare tabacco:te dà ‘mpiccio ‘o fummo? (ti dà fastidio il fumo?); tené ‘o vizzio d’ ‘o fummo(avere il vizio del fumo); ‘o fummo fa male â saluta(il fumo fa male alla salute).
3 (estens.) vapore, esalazione, polvere di aspetto simile a quello del fumo: ‘o fummo d’ ‘o sgarrupamiento, d’ ‘e ppignate(il fumo delle macerie, delle pentole) | fiato che si condensa a contatto con aria circostante molto più fredda: ògne cavallo.../abboffa ‘e naserchie e ccaccia fuoco e ffummo(ogni cavallo... / gonfia le nari e fumo e foco spira).
4 spec. pl. (fig.) annebbiamento dell'intelletto; ebbrezza prodotta dal vino: staje pigliato dê fumme d’ ‘o vino(sei in preda ai fumi del vino) | 5 (chim. fis.) sospensione di minuscole particelle solide in un gas
6 (non com.) fumacchio, fumaiolo
7 (ant.come nel caso che ci occupa) accenno, indizio || Usato come agg. invar. di colore scuro, che ricorda quello del fumo: griggio, niro fummo(grigio, nero fumo) | fummo ‘e Londra (fumo di Londra), colore grigio scurissimo.

voce dal lat. fumu(m) con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).

12 AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...

13 SCERUPPÀ ‘NU STRUNZO  

 Premetto che nella parlata  napoletana la voce sceruppo  (con derivazione dal latino medievale sirupu(m), se non  dall’arabo sharûb= bevanda dolce)  normalmente indica le voci italiane sciroppo, sciloppo  o siroppo per significare una soluzione molto concentrata di zucchero in acqua o in succhi di frutta che viene impiegata nella fabbricazione di bibite o in farmaceutica, per preparazioni  medicinali, allo scopo di rendere piú gradevole il sapore del principio attivo:es.: sciroppo per la tosse etc.

Donde si evince che la voce sceruppo di suo indica una cosa gradevole al palato, un giulebbe: qualcosa di  molto zuccheroso ed aromatico, insaporito con succo di frutta o infuso di fiori, ed estensivamente un cibo o piú spesso una bevanda molto dolce; allo stesso modo il verbo denominale  sceruppà  come significato primario indica l’azione di conservare frutta ed altro in uno liquido   molto zuccheroso ed aromatico, variamente profumato ed  insaporito.

Le cose cambiano, e di molto, quando dal significato primario si passa a quello ironico se non addirittura antifrastico, allorché cioè la voce sceruppo lungi dal significare bevanda zuccherosa ed aromatica vale: cosa o persona fastidiosa, nociva  o anche situazione dannosa o pericolosa  soprattutto nelle espressioni esclamative del tipo vi’ che sceruppo!  oppure siente, sie’ che sceruppo! o anche siente, sie’ che sceruppo ‘e ceveze!  che letteralmente valgono guarda che sciroppo! oppure senti che sciroppo! o anche senti che sciroppo di gelse! 

È ovvio che i verbi guardare e sentire non vanno intesi nel loro senso reale, ma in quelli estensivi di porre attenzione, considerare etc.  volendo dire di una persona o situazione fastidiosa quando non nociva o dannosa: “Osserva,considera quanto ciò o costui/costei è fastidioso/a, nocivo/a, dannoso/a”; e per significare tutto ciò, in napoletano  basta usare l’esclamazione: “Siente che sceruppo!” esclamazione che poi si colora di maggior grevezza e/o fastidio se si aggiunge uno specificativo: siente che sceruppo ‘e ceveze!, atteso che lo sciroppo di gelse, benché odorosissimo è grandemente appiccicoso, risultando molestamente importuno, di cui sarebbe  difficile liberarsi e/o nettarsi se qualcuno  se ne imbrattasse mani o abiti…; si  usa però l’esclamazione siente che sceruppo! nel senso ironico suddetto non necessariamente in presenza di grave danno o pericolo, ma anche soltanto  per bollare il fastidioso comportamento di talune persone,uomini o donne, ma piú spesso  donne che usano berciare, blaterare,  litigare alzando i toni etc.

Ciò premesso rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare  la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza  un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.

 

Torniamo all’espressione sceruppà ‘nu strunzo  che vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo  debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco  e ciò sia che lo si faccia di  propria sponte, sia che avvenga  su sollecitazione del diretto interessato e la cosa  vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso,  pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri  facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate  ed invece in  realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa  valentía in virtú della quale s’aspetta  ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza,  boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.

Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre  in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e  quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia  impossibile da  farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!

 

 

14 N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei  un cosí grosso stronzo )che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una  ipotetica  pentola  destinata all’uso. Locuzione analoga a quella in epigrafe è quella che recita: 14bis N' AGGIO APPISE STRUNZE, MA TU M’ HÊ RUTTO ‘O CHIUOVO... Id est: Ne ò appesi stronzi, ma tu mi ài spezzato il chiodo (che ti sosteneva);in questa  locuzione  il soggetto che si dimostri per pensiero e/o azione,  cosí esageratamente pezzo di merda à messo a dura prova la consistenza dell’ipotetico chiodo al quale è appeso sino a spezzarlo. aggio scaurato= ò bollito, ò lessato voce verbale (1ª pers. sg.  pass. pross.) dell’infinito scaurare/scaurà = scaldare, render caldo, cuocere, lessare,bollire  derivato dal latino volgare ex (intensivo) + caldàre←calidare  con tipica alternanza osco-mediterranea d/r e consueto passaggio di al→au  come altrove da altus→àuto→àveto= alto  o da alter→àuto→ato= altro.

strunze = stronzi  plurale metafonetico di stronzo= stronzo

 s. m. (volg.) escremento solido di forma cilindrica
 (fig.) persona stupida, odiosa, cattiva, maligna (e son  queste le accezioni considerate  per la voce in epigrafe) dim. stronzetto, stronzino. con etimo dal long. strunz = sterco;

jesce= esci  voce verbale (2° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito ascire/ascí = uscire  ma qui debordare, tracimare  con etimo dal tardo lat. ab-exire→*a-(e)xire→assire→ascire;

piere/i= piedi, estremità  plur. metafonetico di pere= piede  con etimo dal lat. pede(m) con tipica alternanza osco-mediterranea d/r.

‘a fora = da/di  fuori  loc. avv. di moto da  luogo;

‘a (da non confondere con ‘a= la art. determ. femm.)  è la prep. semplice da  che deriva dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal  lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc;

fora = fuori  avv. di luogo; la voce partenopea  deriva dal lat. fora-s  e non da fori-s (da cui invece l’italiano fuori)  come si evince – nel napoletano – dalla mancanza di dittongazione e/o metafonia.

 

15 DOPP’ Â STRAZZIONE OGNI STRUNZO È PRUFESSORE

Riportatata anche, per motivi eufemistici,  come Dopp’ â strazzione ogni ffesso è prufessore Ogni sciocco fa il professore solo quando sia già avvenuta l’estrazione dei numeri del lotto Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di coloro che ,incapaci di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.

 

 

E consideriamo ora  altri etimi di voci non considerate precedentemente:

strazzione s.vo f.le = estrazione (dal lat. mediev. extractione(m), deriv. di extractus, part. pass. di extrahere 'estrarre': (e)xtractione(m)→strazione→strazzione con nel napoletano  normale raddoppiamento espressivo della affricata alveolare sorda z  come altrove raddoppiamento espressivo della l'occlusiva velare sonora g  delle voci che normalmente terminano in gione (cfr. ragione→raggione, regione→riggione etc.)

  sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m)  che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce;

sceruppà = sciroppare denominale del precedente;

ceveze =plurale di ceveza/ceuza = gelsa, esattamente ed in primis il frutto del gelso: albero con piccoli frutti commestibili, dolci, di colore nero o bianco (more) e foglie cuoriformi, di cui si nutrono i bachi da seta (fam. Moracee); per traslato furbesco e giocoso con la voce a margine a Napoli anticamente ma ancóra oggi nella città bassa, tra i napoletani d’antan,   si intendono anche le emorroidi irritate,  gonfie e che diano prurito; l’etimo delle napoletane cèveza/cèuza è dall’ acc.vo latino (arborem) celsa(m)=albero alto; da cèlsa→*celza con successivo passaggio di lz ad uz per cui si ottenne cèuza e successiva epentesi eufonica del suono v tra la è tonica e la u evanescente fino ad ottenere cèvuza o cèveza. Ricorderò che ad oggi a Napoli città la voce usata da tutti (borghesi e/o popolani) è cèveza, mentre nel contado provinciale è piú facile trovare ancòra l’antica voce cèuza ;

vi’ = vedi; forma apocopata di vide  voce verbale che indica  o la 2ª  pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito vedé=vedere o può indicare, come nel caso che ci occupa,  la 2ª  pers. sing. dell’imperativo dall’infinito vedé=vedere con etimo dal basso lat. *videre per il classico vidíre;

siente /sie’=senti;sie’ non è che la forma apocopata di siente=senti    voce verbale che indica  o la 2ª pers. sg. dell’indic. pres. dall’infinito sentí=sentire, udire o può indicare, come nel caso che ci occupa,  la 2ª  pers. sg. dell’imperativo dall’infinito sentí=sentire, udire e qui porre attenzione con etimo dal basso latino sentire;

ciuccio = asino, ciuco soprattutto nel significato di ignorante; non di facile lettura l’etimologia di ciuccio; c’è chi opta per il lat. cicur= mansuefatto domestico, chi per il  lat. cillus  da collegare al greco kíllos asino  chi per lo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi e segnatamente quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, ipotesi che per l’asperità del cammino morfologico, se non semantico non mi convincono molto;non mi convince altresí, in quanto m’appare forzata,   l’idea che il napoletano ciuccio sia da collegare all’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante ed in conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice dell’arabo sciach-arà= ragliare che è il verso proprio dell’asino;rammenterò che dalla medesima radice nasce sceccu che è il nome in siciliano dell’asino.

strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente

l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal tedesco strunz= sterco;

píreto =peto, emissione rumorosa di gas intestinale con etimo dal lat. peditu(m), deriv. di pedere 'fare peti'; da notare nella voce napoletana la consueta chiusura per metafonesi  della sillaba tonica d’avvio nel s.vo m.le  donde pe passa a pi oltre la tipica alternanza osco mediterranea di d/r mentre la vocale postonica i s’apre diventando e ma di timbro evanescente; nel corrispondente s.vo f.le péreta non v’à motivo metafonetico (attesa la presenza della vocale aperta finale [A]) e la sillaba  pe non diventa pi.

annasprato=coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sg. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;

la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa  atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dritto per dritto  dal francese gâteau (de) mariage.

Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro  si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un greco (n?)àspros. Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non si disse  soddisfatto dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trovò (ma spero non lo abbia fatto  per mera amicizia...) piú perseguibile la mia idea.

‘mmiezo = in mezzo (da in + medium)

guappo s.m. voce viva e vegeta con molti derivati nei linguaggi partenopeo e/o meridionali, voce nata al sud ed ivi testimoniata fin dalla fine del XVII sec., ma trasmigrata dapprima in area lombarda e poi accolta nel lessico nazionale nei significati di prepotente, sopraffattore, prevaricatore, tirannico, aggressivo, arrogante,   bullo, sfaccendato, audace, e poi anche ostentato nel vestire e nell’incedere e da ultimo (XX sec.) teppista, bravaccio, camorrista, persona sfrontata e tracotante, spavaldo.

Quanto all’etimo la maggioranza degli addetti ai lavori, a cominciare dal D.E.I., propendono per una culla iberica (guapo= bello, vistoso) la cosa però  non mi convince molto attesa anche  l’esistenza  della voce francese guape = teppista  che, a quel che pare, fu recepita nello spagnolo che ne trasse il suo guapo dal quale poi il napoletano avrebbe mutuato il suo guappo;  solo un’attenta ricerca storico-linguistica ci potrebbe dire perché mai il napoletano avrebbe dovuto attingere nello spagnolo e non direttamente dal francese gergale antico; confesso di non essere attrezzato per una tale attenta ricerca storico-linguistica; mi limiterò perciò ad evitare sia la via iberica che quella francese, per tornare a percorre, in ottima compagnia: Cortelazzo- Zolli,  come già feci alibi, la strada di un lat.classico vappa=, vinello inacetito e come tale aspro, semanticamente accostabile al carattere/comportamento del guappo;normale poi nel napoletano l’alternanza v→g (cfr. vunnella/gunnella, vallo/gallo, vallina/gallina etc.).

prufessore s.vo m.le =professore 1 normalmente chi insegna in una scuola di grado superiore, ma a Napoli anchi chi insegni alle scuole elementari: professore di scuola media, di liceo, di università; professore di scienze, d'italiano, di filosofia; professore ordinario, straordinario, incaricato | saperne quanto un professore, essere molto dotto o versato in un particolare campo; fare il professore, darsi arie di professore, parlare come un professore, si dice per indicare una persona che ama ostentare dottrina, che è saccente, pedante. 2 (estens.) insegnante in genere: professore di musica, di danza
3 titolo di chi suona in un'orchestra, spec. Sinfonica

(dal lat. prōfessore(m), deriv. di profitíri, nel sign. di 'insegnare pubblicamente'; normale in napoletano della chiusura in u della ō o intesa tale);

fijura s.vo f.le = figura, aspetto esteriore di una cosa; sagoma, forma (dal lat. figura(m), da fingere 'plasmare, foggiare');

spasella s.vo f.letipico piccolo e leggero contenitore di midollo ligneo intrecciato, in forma di vassoio rettangolare a sponde basse,privo di manici contenitore in uso tra i pescivendoli campani per esporvi la merce sistemata ordinatamente ed agghindata con ciuffi di alghe marine; è un contenitore che per avere l’intreccio a maglie piuttosto larghe ben si presta a far passare l’acqua usata per spruzzare il pesce contenuto nella spasella, al fine di mantenerne o rinverdirne la freschezza.
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta  essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici, voce che à  l’etimo nel lat. neutro plur. (e)xpa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere;

 

rumma s.vo f.le  = rum acquavite ottenuta per lo piú  dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma  è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui  di una piena  a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma  della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc.

strunzo = stronzo,  escremento solido di forma cilindrica  e figuratamente  persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';

addiventa =diventa voce verbale (3ª  pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere, trasformarsi in derivato  dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella  intensiva deventare del lat. devenire = divenire; da notare la particolarità  che la voce verbale a margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che – quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del tipo aggi’ ‘a = devo da;

maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino mag(is)= piú   con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale ;

babbà = babà tipico dolce partenopeo ( tuttavia non originario in quanto pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri polacchi che s’ era portato dietro nel suo esilio parigino  il re Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.e che una leggenda, priva di supporti storici,  vuole inventore - per puro caso -  del dolce ) di pasta soffice e lievitata, intrisa di uno sciroppo al rum. La voce napoletana, con tipico raddoppiamento espressivo della seconda labiale esplosiva,  è  dal fr. baba→babbà, che è dal polacco baba '(donna vecchia').

tremmà/tremmare = tremare, vacillare, traballare, sussultare, vibrare, tremolare;( dal lat. tremere, con mutamento di coniugazione e raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).

chiuovo  s.vo m.le
(in primis)1 barretta metallica di varie forme e dimensioni, generalmente appuntita a un'estremità e con una testa piú o meno larga all'altra, che serve a unire fra loro parti di metallo, legno o altro materiale, o per appendere oggetti alle pareti: conficcare, piantare un chiodo con il martello; chiodi da tappezziere, da calzolaio, da carpentiere | elemento metallico da applicare a suole di scarpe, pneumatici ecc. per rinforzarli e migliorarne l'aderenza al suolo | in alpinismo, attrezzo che si conficca in parete per sostenere una corda: chiodo da roccia, da ghiaccio | essere sicco comme a ‘nu chiuovo -esseremagro come un chiodo, magrissimo | rrobba ‘a chiuove - roba da chiodi, (fam.) cosa incredibile o gravemente riprovevole, meritevole d’essere inchiodata al muro a mo’ di ricordo o ammonimento  | chiuovo leva chiuovo - chiodo scaccia chiodo, (fig.) una preoccupazione ne fa dimenticare un'altra | attaccà quaccosa ô chiuovo - attaccare qualcosa al chiodo, (fig.) cessare di usarla: attaccà  ‘e guantune, ‘a bicicletta ô chiuovo- attaccare i guantoni, la bicicletta al chiodo, ritirarsi dal pugilato, dal ciclismo | tené ‘nu chiuovo ‘nfronte, dint’ô scianco avere un chiodo in fronte, al fianco, (fig.) avere mal di testa, provare una fitta al fianco | tené ‘nu chiuovo ‘ncapa-avere un chiodo in testa, (fig.) un'idea fissa, una preoccupazione assillante;
2 (fig. fam.) debito: piantà e levà chiuove-piantare e  levar chiodi, fare, pagare debiti
3 (figuratamente e semanticamente collegato al sentimento d’amore, perché – come questo – punge e perfora (l’animo))i figli, la prole definiti chiuove ‘e dDio.) 

4 chiuovo ‘e carofano = chiodo di garofano, (bot.) gemma florale di un albero esotico delle mirtacee che, essiccata, si usa come spezie

  voce derivazione del lat. clavu(m);normale nel napoletano la risoluzione in chi del digramma cl (cfr. clausum→chiuso, ecclesia→chiesa, clave-m→chiave etc.)

 5(per traslato furbesco e salace, ) la voce nel parlato della città bassa  vale pene, membro maschile con riferimento semantico  alla tipica forma di una grossa  barretta metallica appuntita  ed alla sua attitudine a penetrare qualcosa.

Voce dal lat. volg. claudu-m→clauvu-m→chiuovo  con caduta della –d- intervocalica sostituita dal suono di transizione –v-.

In coda ed a chiusura di tutto quanto fin qui scritto riporto l’indicazione di due dei numeri della smorfia napoletana d’argomento scatologico:

43,  ‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE = letteralmente  donna Pereta fuori (affacciata) al balcone; citroviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,  sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto  péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi  e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili  laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata  per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito  di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia  che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata  è detta, volta volta:locena  che nel suo precipuo significato di vile, scadente  è forgiato come il toscano ocio  ed il successivo locio (dove è  evidente  l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia  e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena; lumera = esattamente lume a gas   e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume  l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali  quale una pereta.;

16 71,LL’OMMO ‘E MMERDA  letteralmente l’uomo di merda ossia l’uomo dappoco, la persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobile, cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale fosse, per iperbole,   formato di escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa  rivolta appunto nei confronti di chi  venga considerato  mancante di ogni decoro e/o dignità ed al contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte viene apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di quella a margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m)  con i suff. arius  ed olo) indicherebbe, come ò già détto  colui che – per lavoro – raccattava gli escrementi animali per igiene pubblica e li rivendeva  per  concimare i campi; Giunti a questo punto avremmo esaurito l’argomento, ma mi piace aggiungere un simpatico icastico proverbio che sebbene non tratti esattamente di escrementi tocca l’organo/mezzo deputato alla deiezione. Eccolo

17 CULO CA NUN CUNOSCE CAMMISA, QUANNO ‘A VEDE LLE SCAPPA A RRISA.

Letteralmente: Culo che non à conosciuto (mai) una camicia,quando la vede (per la prima volta) ne ride. Id est: chi non à dimestichezza con il buono e/o l’utile non è capace di apprezzarlo o  prenderlo sul serio; con altra valenza piú circoscritta: il povero che non è aduso all’agiatezza non gode  neppure nei rari momenti di abbondanza.

Culo s.vo m.le il culo, sedere, deretano che  etimologicamente è voce derivata dal greco koilos attraverso il basso latino culu(m);

cammisa s.vo f.le  camicia,
indumento di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo; voce dal lat. camisia(m) e tipico raddoppiamento espressivo della labionasale m come avviene ad es.  in ommo←hominem, ammore←amore(m) etc.

nun/’un/nu’/nunn avv.di negazione = non
1 serve a negare il concetto espresso dal verbo a cui si riferisce o a rafforzare una frase che contiene già un pron. negativo: nun venette; nun parlaje pe tutt’ ‘o juorno(non venne; non parlò per tutto il giorno); nun ce sta nisciuno dubbio(non c'è alcun dubbio);nun c’è probblema (non c'è problema);nun ce sta nisciuno(non c'è nessuno),  | ch’è che nunn è(che è, che non è), (fam.) tutto a un tratto, senza una ragione evidente:ch’è, che nunn è, fernette ‘e parlà e se ne jette (cosa è, cosa non è, smise di parlare e se ne andò) | in espressioni ellittiche: no ca nun ce crero, ma(non che io non  ci creda, ma...), non intendo dire di non crederci, ma...;


2 (ant.) col valore di no: nun servarrà po dicere’e no, si avarraje ditto ‘e sí ‘na vota(non varrà poi dire / di non, s'avrai di sì detto una volta)
3 nelle contrapposizioni, anche col verbo sottinteso: nunn è bbello, ma ‘ntelliggente(non è bello, ma intelligente); isso fuje pe mme nun sulo ‘nu pate, ma pure n’amico(egli fu per me non solo un padre, ma un amico) | in espressioni ellittiche: vène o nun vène;prufessore o nun prufessore(venga o non venga; professore o non professore) (ma non quando non è ripetuto il primo elemento:vène o no, prufessore o no( venga o no, professore o no))
4 nelle interrogative dirette e indirette che attendono una risposta affermativa e nelle interrogative retoriche: nun avive ‘a partí stasera?(non avresti dovuto partire stasera?); nunn’ è overo?( non è vero?); m’addimanno si nun fosse stato meglio a lassà perdere; comme facevo a nun crerelo?(mi chiedo se non sarebbe stato meglio rinunciare; come potevo non credergli?)
5 si usa pleonasticamente in alcune locuzioni: è cchiú facile ‘e chello ca tu nun cride(è più facile di quel che tu non creda);nunn’ appena( non appena), appena che; | in talune frasi esclamative ed in senso antifrastico: ‘e buscie ca nun m’à ditto!(le bugie che non mi à detto!); ‘e fessarie ca nun hê fatto(le sciocchezze che non ài fatto!) | quando il verbo a cui si riferisce è retto da congiunzioni o locuzioni come fino a cche, pe ppoco, a meno che, salvo che, ‘a fora ‘e che  e sim.: t’aspettofino a cche nunn’arrive( ti attenderò finché non arriverai); pe ppoco nunn’ è caduto(per poco non è caduto). E qui ricordo che nunn dal lat. nonne→nunne→ nunn usato davanti a vocale va apostrofato. 

 

6 in litote, preposto a un aggettivo, un sostantivo o un avverbio: è stata ‘na facenna nun facile (è stata un'impresa non facile), difficile; nun poche ‘a penzano comme a nnuje(non pochi la pensano come noi), parecchi; aggiu faticato nun poco…(ò lavorato non poco), molto; nun sempe(non sempre), raramente; nun senza fatica(non senza fatica), con notevole fatica;

rammento che il medesimo, originario avv. di negazione nun può esser reso secondo le occorrenze con altre morfologie:aferizzato, di solito in principio di frase, ‘un: ‘un me faccio capace(non me ne convinco) ‘un ‘o ssaccio!(non lo so),apocopato nu’ che (secondo il principio che la caduta finale di una o piú consonanti non necessita di una indicazione diacritica) si potrebbe anche rendere semplicemente nu  Tuttavia è preferibile adottare la morfologia nu’ poi che nel napoletano scritto si potrebbe ingenerare confusione tra l’art. indeterminativo ‘nu/’no e la negazione  nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi perciò nu’ (facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati di cononante/i e non di sillaba vocalica,  non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post ) dicevo da rendersi però nu’  per evitarne la confusione con l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno () d’aferesi  e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo  di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove  invece,il non segnarlo, a mio avviso,   è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F. Russo, E.De Filippo,  EduardoNicolardi etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori  napoletani, anche famosi e/o famosissimi non potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del  napoletano, supporti che furono inesistenti del tutto, mentre  i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né  potettero far testo, vergati com’erano stati  da addetti ai lavori  non autenticamente  napoletani   e pertanto, spesso,   imprecisi e/o impreparati. Ancóra ricordo che moltissimi autori furono istintivi e spesso  mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato poco e male  e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc.  spessissimo la usarono maldestramente  adattando  le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.

Per concludere,e valga una volta per sempre, a mio avviso nel napoletano scritto gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! Esempio di questo nun→nu’usato per solito davanti a consonante e/o in frasi esclamative: e nu’ sta bene!(non sta fatto bene!), statte zitto, nu’ pparlà sempe tu!(taci, non parlar sempre tu!); si à infine la forma nunn usata davanti a parole comincianti per o,e, hê: nunn’ ‘o ddicere! (non dirlo!)nunn’ ‘e ssiente? (non le senti?) nunn’ hê capito niente! (non ài compreso nulla!).   

cunosce = conosce,sa, prova etc. (voce verbale 3ª  p.sg. ind. pres. dell’infinito cunoscere dal lat. volg. *cōnoscere, per il class. cognoscere, comp. di cum 'con' e (g)noscere 'conoscere' con tipica chiusura della ō→u).

quanno avv. di tempo = quando, allorché nel momento che ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale)::  avv.  derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;

‘a  = la pron. pers. f.le  di terza pers. sing. [forma complementare atona di , essa] omofona ed omografa di ‘a art. determ. f.le sg. la nonché di ‘a forma aferizzata di da
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica; in posizione proclitica si può elidere davanti a vocale purché non generi ambiguità: ‘a vedette ajere(la vidi ieri); ‘aggiu ‘ncuntrata poco fa, aspettammola(l'ò incontrata poco fa, aspettiamola); damme ‘a lettera, ‘a voglio leggerla(dammi la lettera, voglio leggerla)  voce dal lat. (ill)a(m), f.le di ille 'quello'

vede  = vede (voce verbale 3ª  p. sg. ind. pres. dell’infinito vedere/vedé  dal lat. vidíre con la particolarità che la 1ª  p. sg. dell’ind. pres. veco trae da un *vedico→ve(d)ico→veico→veco analogo al *vadico→va(d)ico→vaico→vaco  p. sg. dell’ind. pres. dell’infinito jí (andare).

lle = le/gli  pron. pers. f.le e m.le di terza pers. sing. forma complementare atona di essa , essa/esso; si usa come compl. di termine riferito a persona o a cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica: lle screvette io ‘e vení(le/gli scrissi io di venire); dicennole chesto se ne jette (ciò dicendole/gli se ne andò); ‘a lettera sta ‘ncopp’â tavula, si vuó lle puó ddà ‘nu sguardo(la lettera è sul tavolo, se vuoi puoi darle un'occhiata)

scappa a rrisa  =(gli) viene da ridere;  locuzione verbale del presente indicativo formata da

scappa a = inizia a, principia a (voce verbale 3ª  p.sg. ind. pres. dell’infinito scappà  che di per sé in primis vale  1 allontanarsi in fretta, fuggire; 2 correre via, andare in fretta; 3 uscire, sbucar fuori, con riferimento a cosa che non sta al suo posto; ma si dice pure (ed è il ns. caso)

4 di stimolo fisico che si faccia sentire in modo incontenibile, irresistibile: scappà a ridere, scappà a chiagnere (scappare a ridere, scappare a piangere).

rrisa  s.vo f.le pl. (il sg. non è usato) = risate, il ridere, il modo di ridere; voce dal lat. neutro pl. risa di risu(m) deverbale di ridíre.

18. FÀ ‘NU PIRETO VIULETTO

Icastica, ironica ancorché becera locuzione  che tradotta ad litteram suona: “fare un peto violetto”, ma che – come chiarisco – deve rendersi piú acconciamente con  “fare un peto violento” atteso che il violetto dell’epigrafe è una patente corruzione nel parlato popolare di un originario viulento; tale locuzione ironicamente è riferita a chi sorprendentemente  faccia qualcosa di tanto positivo ben  lontano dal suo consueto operare negativo di talché si è portati a poter  paragonare l’avvenimento ad un’emissione di un peto tanto violento da stupire gli astanti.

E cosí penso d’aver convenientemente e ad abundantiam risposto alla sfida dell’amico  R.M. e d’aver contentato anche  qualche altro dei miei ventiquattro lettori, per cui reputo di poter mettere il punto fermo con il consueto satis est.

Raffaele Bracale Brak

 

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