lunedì 31 maggio 2021

'E SSOVERE 'E NATALE S'ARRAPPANO MA NUN T''E MMAGNE!

‘E SSOVERE ‘E NATALE S’ARRAPPANO MA NUN T’’E MMAGNE !

Della locuzione in epigrafe mi à chiesto il caro amico F.D.M. ( di cui, al solito, per motivi di riservatezza, indico solo  le iniziali di nome e cognome) . Gli ò risposto chiarendo súbito che si tratta di una datata espressione  gustosamente ironica  che ad litteram suona: “Le sorbe natalizie avvizziscono, ma non le gusti” nella quale si fa riferimento non alle emorroidi (come nell’espressione minacciosa [alibi già esaminata] “FÁ ASCÍ ‘E SSOVERE ‘A CULO”.

Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est: percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente détte sòvere che sono in realtà i frutti del sorbo, dal lat.: sorbere→sobere→sòvere in quanto frutti succosi se maturi, quasi da suggere);come le sorbe, frutto piccolo e sferico, son ricche se mature di succhi, cosí le emorroidi (sacche sferiche) son  piú ricche, se irritate, di sangue.); nella lucuzione in esame si parla  delle autentiche sorbe cioè  quel  frutto la cui   specie  è originaria dell'Europa Meridionale,che  in Italia si trova sporadicamente in tutta la penisola soprattutto in Campania e nelle isole, specie in Sicilia nei boschi montani di latifoglie con substrati calcarei; l’albero della sorba è molto longevo, alto fino a 13 metri, i rami presentano foglie alterne imparipennate, composte, lunghe fino a 20 cm.Il frutto e' un pomo subgloboso o piriforme lungo da 2 a 4 centimetri, di colore giallo-rossastro e punteggiato, quindi bruno a maturità; la polpa e' verdognola dolce, con endocarpo membranaceo e semi angolosi bruni. Esistono varietà che differiscono per forma e pezzatura del frutto che è tipicamente autunnale, aspro e duro sulla pianta ma morbido e dolce una volta maturato e ammezzito quando la sua  polpa diventa  farinosa e quasi molle, cosa che avviene circa un paio di mesi dopo la raccolta e dopo  che abbia riposato  prima di consumarlo. Accade però che talora che per imperizia del contadino che procrastina il tempo di maturazione ecco che il frutto comincia a trasudare ed a perdere il succo avvizzendo e raggrinzando la pelle e risultando non piú edibile. Ed è proprio di  questo frutto raggrizato [portato in tavola addirittura a Natale, quando già dai primi di dicembre poteva esser consumato… ] che si parla nella locuzione per fare sarcastico riferimento a talune testarde persone maldisposte  ed anzi stizzosamente, animosamente restie dal recedere dalle proprie opinioni. Non à senso perciò  l’idea che qualcuno divulgò e cioè che le sorbe destinate al pranzo natalizio non si potessero mangiare, per una sorta di devozione [non attestata, né prescritta…], prima anche se mature. Rammento in chiusura che un tempo, soprattutto tra il popolino che frequentava i postriboli a monte di via Toledo nelle stradine dette ‘E Cceuze le emorroidi s’ebbero appunto non il nome di sovere, ma di ceveze segnatamente quando fossero infiammate e dolenti come quelle delle prostitute aduse a farsi sodomizzare; il termine   ceveze è il plurale di ceveza/ceuza = gelsa, esattamente ed in primis il frutto del gelso: albero con piccoli frutti commestibili, dolci, di colore nero o bianco (more) e foglie cuoriformi, di cui si nutrono i bachi da seta (fam. Moracee); per traslato furbesco e giocoso, come detto,  con la voce a margine a Napoli anticamente ma ancóra oggi nella città bassa, tra i napoletani d’antan,   si intendono anche le emorroidi irritate,  gonfie e che diano prurito; l’etimo della napoletana cèveza/cèuza è dall’ acc.vo latino (arborem) celsa(m)=albero alto; da cèlsa→*celza con successivo passaggio di lz ad uz per cui si ottenne cèuza e successiva epentesi eufonica del suono v tra la è tonica e la u evanescente fino ad ottenere cèvuza o cèveza. Ricorderò che ad oggi a Napoli città la voce usata da tutti (borghesi e/o popolani) è cèveza, mentre nel contado provinciale è piú facile trovare ancòra l’antica voce cèuza.

Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico F.D.M. ed interessato qualcun altro  dei miei ventiquattro lettori e  chi  forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.

Raffaele Bracale

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