56 ICONICHE ESPRESSIONI NAPOLETANE 1.6.21
1. SI 'A TAVERNARA È BBELLA E
BBONA, 'O CUNTO È SSEMPE CARO.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si
dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne
lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di
esser remunerate in maniera eccessiva...
2.PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO.
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si
dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di
nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto
paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto
coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuo flatus ventris.
3.L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
Letteralmente: l' Ecce òmo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono
indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo
ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e
per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi.
La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi
Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa
Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e
Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati
romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato,
proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia.
4.CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NNUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE CA
LL'ASSOLVE.
Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che
l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene,
in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un
peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice
prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore.
5.QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê
SEMMENZELLE?
Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La
locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere
qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo
supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali.
Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare
la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa.
6.'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA.
Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione
con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la
regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani:
siamo una società dove nessun uomo è un'isola.
7.SENZA ‘E FESSE NUN
CAMPANO 'E DERITTE.
Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto i furbi prosperano in quanto vi sono gli
sciocchi che consentano loro di prosperare.
8.'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che
si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa
riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si
autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna
armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per
cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è
composto.
9.DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di
comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad
andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del
mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, anche
solo metaforicamente sulle orecchie per fargliele abbassare.
10.N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A
FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri
per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca
locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente
pezzo di merda da meritarsi di esser paragonato ad un pollo o simile che ecceda
i limiti della pentola rendendosi cosí difficile da esser bollito.
11.TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando
si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una
soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque
farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di
deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente:
parlano in tanti...
12.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta
ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui
è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga,
non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva
sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza
del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa
pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a
cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da
farsi.
13.MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori
o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una
situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per
evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti.
14.OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La
locuzione à origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli
esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva
un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula)
erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della
toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
15.'A NAVE CAMMINA E 'A FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in
relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,id est la
continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il
progredire delle attività economiche, per cui è piú opportuno tradurre: se la
nave va, la fava cuoce, cioé se prosperano gli affari è assicurato il desinare.
16.ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA.
Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva
passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi
come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena di
formaggi,strutto, uova, salumi, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva
passita...
17.NCE VONNO QUATTO LASTE I
'O LAMPARULO.
Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il
lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e
non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in
modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua
funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi,
ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad
un attento controllo esso risulta vistosamente carente .
18. JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.
Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le
vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva
eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una
colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver piú niente. La
locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla
di buono, ci à rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che
l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro
per coprire alla men peggio le proprie vergone.
19. A - MIETTE MANA Â TELA
B - ARRICIETTE 'E FIERRE
Le due locuzioni indicano l'incipit e il termine di un'opera e vengono usate
nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone;
sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di
cominciare il lavoro. sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare
il lavoro.
20. ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE.
Letteralmente: essere un/una sega tornesi.Id est: essere un/una avaraccio/a, al punto di far concorrenza a taluni antichi
tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento,
usavano limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne
poi la carta-moneta e finí il divertimento.
21.ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna
conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica,
intellettiva e morale essendo ritenuto furbescamente e sarcasticamente il prodotto
di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero.
22. ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.
Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline
ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della
borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie
quelle destinate ad opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri
parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti
in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta
dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che
erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse
ad ammorbidire.
23. 'E CURALLE LL'À DDA FÀ 'O TURRESE.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare
il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non
ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo
è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso
nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.
24. MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA Ô CUORNO D''A CARNACOTTA
Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica
ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di
qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la
volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che
la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a
Napoli vengono vendute già atte ad essere consumate o dai macellai o da
appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su
minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima
irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da
un corno bovino scavato ad òc proprio per contenere il sale e bucato sulla
punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore
di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la
vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione
di significare che ci si trovi nell'impossibilità, per mancanza di volontà o di
mezzi di aderire alle richieste.
25.PARÉ 'O MARCHESE D''O MANDRACCHIO.
Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi
le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra
pasta.Sarcastica locuzione, che usata per irridere un personaggio volgare ed
ignorante che si dia delle arie, millantando importanti ascendenti sociali di nascita, si incentra
sul termine Mandracchio che non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona
a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da marinai,
vastasi cioè facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed
il cui linguaggio non era certo forbito, corretto ed elegante.
26. OGNI CCAPA È 'NU TRIBBUNALE.
Letteralmente: ogni testa è un tribunale. Id est: ognuno decide secondo il
proprio metro di giudizio, ognuno è pronto ad emanar sentenze.
27.NCARISCE, FIERRO, CA TENGO N'ACO 'A VENNERE!
Letteralmente: oh ferro, rincara ché ò un ago da vendere. E' l'augurio che si
autorivolge colui che à parva materia da offrire alla vendita e si augura che
possa riceverne il maggior utile possibile. La locuzione è usata nei confronti
di chi si lascia desiderare pur sapendo bene di non aver grosse capacità da
conferire in qualsivoglia contrattazione.
28.CHIANU CHIANO 'E CCOGLIO E SENZA PRESSA, 'E VVENGO.
Letteralmente: piano piano li raccolgo e senza affrettarmi li vendo. La
locuzione sottolinea l'indolenza operativa di certuni, che non si affrettano
mai nè nel loro incedere né nel portare a compimento alcunché.
29. FÀ COMME Ê FUNARE
Agire come i fabbricanti di corde. Id est: non fare alcun progresso né nello
studio, né nell'apprendimento di un mestiere. Quando ancora non v'erano le
macchine ed i robot che fanno di tutto, c'erano taluni mestieri che venivano
fatti da operai ed esclusivamente a mano. Nella fattispecie i cordari solevano
fissare con i chiodi ad un asse di legno i capi delle corde da produrre e poi
procedendo come i gamberi le intrecciavano ad arte. La locuzione prende in
considerazione non i risultati raggiunti, ma solo il modo di procedere tenuto
dai cordari. Allorché poi avevano
fabbricato la corda ne staccavano il capo dal supporto lasciando cadere
in terra la corda fabbricata donde la locuzione
29 bis. TIRAMMO ‘STU CAPO ‘NTERRA!
Espressione usata a mo’ di incentivo a portare sollecitamente a termine un’opera intrapresa
30. DÀ ZIZZA PE GGHIONTA.
Letteralmente: dar carne di mammella per aggiunta di derrata, un di piú
generosamente concesso, ma trattandosi di vile mammella la concessione non è
poi veramente positiva e tutta l'espressione è da intendere in senso ironico ed
antifrastico equivalente ad accrescere un danno, conciar male qualcuno,
cagionandogli ulteriori danni.
31. MA ADDÓ T'ABBÍE SENZA 'MBRELLO?
Letteralmente: Ma dove ti dirigi senza ombrello (se già piove?)? La domanda
traduce sarcasticamente l'avvertimento di non affrontare qualsivoglia
situazione se non si è preparati e pronti, armati cioè oltre che della buona
volontà, degli strumenti atti alla bisogna e a farti da scudo ove ne occorra il
caso.
32. MEGLIO CAP' 'ALICE CA
CODA 'E CEFARO.
Letteralmente: meglio (esser) testa di alice che coda di cefalo. Id est: meglio
comandare, esser primo sia pure in un ristretto consesso, che ultimo in
un'imponente accolta.
33.SE PIGLIANO CCHIÚ MOSCHE CU 'NA GOCCIA 'E MÈLE, CA CU 'NA VOTTA
'ACITO.
Letteralmente: si catturano piú mosche con una goccia di miele che con una
botte di aceto. Id est: i migliori risultati, i piú sostanziosi si ottengono
con le manieri dolci, anziché con quelle aspre.
34.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e a morire quando piú tardi sia possibile. Trattandosi di due faccende
dolorose, la filosofia popolare le à accomunate, consigliando di procrastinarle
ambedue sine die.
35.SI 'O CIUCCIO NUN VO’ VÉVERE AJE VOGLIA D''O SISCÀ.
Letteralmente: se l'asino non vuol bere, puoi fischiare quanto vuoi (per
sollecitarlo a bere), non ne otterrai nulla. La locuzione viene usata quando si
voglia sottolineare la testarda mancanza di volontà di qualcuno, stante la
quale tutte le esortazioni sono vane...
36.ARIA SCURA E FFÈTE 'E CASO!
Letteralmente: Aria torbida che puzza di formaggio. Lo si dice a salace
commento di errate affermazioni di qualcuno che abbia confuso situazioni
diverse tra di loro e le abbia messe in relazione incorrendo in certo errore
come accadde a Pulcinella che, confondendo la porta della dispensa con la
finestra, si espresse con la frase in epigrafe...
37.CHI TÈNE CCHIÚ SSANTE VA 'MPARAVISO.
Letteralmente: Chi à piú santi va in Paradiso; ma è chiaro che la locuzione non
si riferisce al premio eterno, ma molto piú prosaicamente ai beni terreni,a
prebende e posti di comando e ben remunerati; e i santi - manco a dirlo - non
sono quelli che ànno praticato in maniera eroica le virtú cristiane, ma molto
piú semplicemente coloro che son capaci di dare una spinta, di raccomandare o -
come eufemisticamente si dice oggi, di segnalare qualcuno a chi gli possa
giovare nel senso suaccennato.
38.I' TE CUNOSCO PIRO A LL' UORTO MIO.
Letteralmente: Io ti conosco pero nel mio orto. Id est: Io conosco bene le tue
origini e ciò che sei in grado di produrre; non mi inganni: perciò è inutile
che tenti di far credere di esser capace di mirabolanti o produttive imprese...
La cultura popolare attribuisce le parole in epigrafe ad un contadino che si
era imbattuto in una statua di un Cristo circondata di fiori e ceri. Il
popolino aveva attribuito alla statua poteri taumaturgici, ma il contadino che
sapeva che la statua era stata ricavata da un suo albero di pero, tagliato
perché improduttivo, apostrofò la statua con le parole in epigrafe, volendo far
intendere che non si sarebbe fatto trasportare dalla credenza popolare e
conoscendo le origini del Cristo effiggiato, non gli avrebbe tributato onori di
sorta.
39. ESSERE FETENTE DINT' A LL' OSSA.
Letteralmente: essere fetente fin dentro le ossa. Id est: appalesarsi perfido,
spregevole, di animo cattivo, ma non solo esteriormente quanto fin dentro la
quintessenza dell'essere.
40. 'O PATATERNO DÀ 'O PPANE A CHI NUN TÈNE 'E DIENTE E 'E VISCUOTTE
A CHI NUN S''E PPO’ RUSECÀ...
Letteralmente: Il Signore concede il pane a chi non tiene i denti e i biscotti
a chi non può sgranocchiarli... Id est: Spesso nella vita accade di esser
premiati oltre i propri meriti o di venire in possesso di fortune che si è
incapaci di gestire.
41.'A CARCIOFFOLA S'AMMONNA A 'NA FRONNA Â VOTA.
Letteralmente: il carciofo va mondato brattea a brattea. Id est: le cose vanno
fatte con calma e pazienza, se si vogliono ottenere risultati certi bisogna procedere
lentamente e con giudizio.
42.ACQUA SANTA E TTERRA SANTA, PURE LOTA FANNO.
Letteralmente: acqua santa e terra santa pure fango fanno. Id est: l'unione di
due cose di per sè buone, non è detto che non possano produrre effetti
spiacevoli. Lo si dice con riferimento alla società di due individui che, presi
singolarmente, mai farebbero sospettare esser capaci di produrre danno e che
invece, uniti producono grave nocumento ai terzi.
Rammento in coda alla spiegazione della locuzione esaminata che il s.vo f.le lota [dal lat. lota neutro pl. di lutum] oltre che fango e/o melma vale anche, per estensione semantica, letame, escremento bovino ed in tale significato è da intendersi nell’ epiteto SICCHIO ‘E LOTA [id est: secchio di letame]che si rivolgere quale bruciante offesa ad un uomo indegno, ad un pessimo soggetto accreditato d’esser capace di tenere i peggiori comportamenti.
43.CHI SE METTE PAURA, NUN SE COCCA CU 'E FFEMMENE BBELLE.
Letteralmente: chi à paura, non va a letto con le donne belle. E' l'icastica
trasposizione dell'algido toscano: chi non risica, non rosica. Nel napoletano è
messo in relazione il comportamento coraggioso, con la possibilità di attingere
la bellezza muliebre, che è un gran bello rosicchiare.
44.ESSERE 'O RRE CUMMANNA A SCOPPOLE.
Letteralmente. essere il re comanda a scappellotti. Cosí è detto chi voglia
comandare o decretare maniere comportamentali altrui senza averne né l'autorità
certificata, né il carisma derivante da doti morali o conclamate esperienze, un
essere insomma che potrebbe comandare giusto ai ragazzini, magari assestando
loro qualche scappellotto, per essre ubbidito.
45.CCA SOTTO NUN CE CHIOVE!
Letteralmente: Qui sotto non ci piove. L'espressione, tassativamente
accompagnata dal gesto dell' indice destro puntato contro il palmo rovesciato
della mano sinistra, sta a significare che oramai la misura è colma e non si è
piú disoposti a sopportare certe prese di posizioni o certi comportamenti
soprattutto di certuni che sono adusi a voler comandare, impartire ordini et
similia, non avendone né l'autorità, né il carisma; la locuzione è anche usata
col significato di: son pronto a render pane per focaccia , nei confronti di
chi à negato un favore, avendolo invece reiteratamente promesso.
46.LL'AVVOCATO FESSO È CCHILLO CA VA A LLEGGERE DINT' Ô CODICE.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è
affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla
pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore
conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si
suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che -
certamente - sarà stata più dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto
all'accordo.
47. GGATTA CA ALLICCA 'O SPITO, NUN CE LASSÀ CARNE P'ARRÓSTERE.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti ha dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
48.'O FRIDDO Ê BBUONE 'E SCUTULÉA, E Ê MALAMENTE S''E CARRÉA.
Ad litteram: il freddo percuote chi gode buona salute e porta via con sé chi
sta male. Id est: i rigori invernali fanno comunque danno; per solito, in
inverno, chi gode buona salute, finisce per ammalarsi, mentre chi è già malato
corre il grave rischio di morire.
49.RUMMANÉ Â PREVETINA COMME A DON PAULINO.
Ad litteram: restare alla "prevetina" come
don Paolino prete nolano(celebre, altrove, per la sua indigenza così grande da
non potersi permettere l'acquisto di ceri per le sue funzioni religiose, che
celebrava con dei tizzoni di carboni ardenti). Id est: ridursi in gran miseria
al punto di possedere solo una prevetina, moneta che valeva appena 13 grana,
ossia molto poco, e che prendeva questo nome perché con la "prevetina" moneta del valore
appunto di 13 grana ci si pagava la celebrazione di una santa Messa.
50.È MMEGLIO FÀ 'MMIDIA CA PIETÀ.
Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere
oggetto di commiserazione; ed il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno
status di opulenza,tale da meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato
versa - per solito - in pessime condizioni.
51.'NU STRUNZO CA CADETTE A MMARE, VEDENNO 'NU PURTUALLO CA LLA
GALLIGGIAVA, DICETTE: SIMMO TUTTE PURTUALLE!
Uno stronzo che cadde in mare, vedendo un'arancia che
ivi galleggiava, easclamò: siamo tutti arance! A Napoli si suole ripetere
questo proverbio per canzonare e commentare le azioni di tutti gli sciocchi, i
supponenti e gli stupidi che pretendono di farsi considerare per ciò che non
sono...
52.Ô RICCO LLE MORE 'A MUGLIERA, Ô PEZZENTE LE MORE 'O CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id
est:Il povero è sempre quello più bersagliato dalla mala sorte: infatti al
povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre
al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio;
morta la moglie il ricco non ha da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il
povero che ha perso l'asino sarà sempre più in miseria.
53.PAZZE E CCRIATURE, 'O SIGNORE LL'AJUTA.
Ad litteram: pazzi e bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di
una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli,
si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al
buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza.
54.SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE 'O CULO, FACíSSE CIENTO PIRETE
E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non
te n'accorgeresti; il proverbio è usato per bollare l'eccessiva verbosità di
taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di
chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere
concetti sensati.
55.SI 'ARENA È RROSSA, NUN CE METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa,
non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile. Id est: Se il fondale marino è
rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non
prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una
donna hanno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un
qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
56. TIRÀ ‘O SPAVO
Ad litteram: Tirare lo spago. Antica colorita espressione usata per significare l’atteggiamento ansioso preoccupato, ma fattivamente operativo di chi si applica con forza e volontà pur di raggiungere uno scopo prefissosi;l’espressione venne modellata sul lavoro manuale degli antichi funai che per produrre una corda o fune erano soliti attaccare al muro i capi di matasse di spago e poi tirandolo ed intrecciandolo ad arte, procedendo a mo’ di gamberi, costruivano una robusta corda o fune. Quando poi la corda era stata fabbricata i cordari, divelti i chiodi di sostegno lasciavano che i capi delle corde ottenute cadessero in terra con le corde ammatassate, donde nacque l’espressione: TIRÀ ‘O CAPO ‘NTERRA per indicare d’aver terminato alcunché, espressione usata anche nella forma dell’imperativo TIRAMMO ‘STU CAPO ‘NTERRA per esortare qualcuno a terminare qualcosa o a por fine ad una questione.
Brak
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