mercoledì 11 agosto 2021

BOTTEGAIO - VENDITORI & DINTORNI

 

BOTTEGAIO – VENDITORI & DINTORNI

Questa volta per contentar l’amico Edoardo C. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di quanto,  su suo invito,  scrissi circa i Contenitori & altro) per contentar, dicevo,  l’amico Edoardo C.  che me ne à richiesto,autorizzandomi a fare il nome, ma non il cognome..., cercherò di illustrare le voci in epigrafe e  quelle corrispondenti del napoletano, considerando però  solo le  voci generiche senza addentrarmi in quelle  specifiche quali ad es potrebbero essere :orefice, gioielliere ( che nel napoletano  ànno il corrispondente in  arefice dal lat. aurifice(m)→a(u)rifice(m)→arefice), salumiere (che nel napoletano  à il corrispondente in  casadduoglio da caseum-et-oleu(m)→casetuoglio→casettuoglio→casadduoglio), o merciaio(che à nel napoletano i corrispondenti in zarellaro/zagrellaro/zagarellaro (voci derivate da zagarella/ zarella/ziarella  che etimologicamente  nella triplice morfologia (la seconda e terza voce son solo delle semplificazioni d’uso popolare della prima voce)sono adattamenti collaterali di zaganella diminutivo di zàgana s.vo f.le  che è voce region., di area umbro-laziale, dove indica una sottile treccia di lana o di seta per rifinitura di abiti femminili;quanto all’etimo di questa zàgana da cui àn preso derivazione zaganella nonché le voci in esame che – ripeto – ne son collaterali, atteso che zàgana è voce affine a sagola di cui pare addirittura un metaplasmo regionale, si può sospettare un adattamento della voce portoghese soga (fune, corda) secondo il percorso soga→sogana  saganazagana sempre che la voce zàgana non sia un adattamento  dell’arabo zahara ( chiaro,splendente) poi che in origine la zàgana (nastro, fettuccia) fu   esclusivamente bianco usato per agghindare il capo delle fanciulle in abito bianco da prima comunione).Ciò detto,  cominciamo col dire che, partendo dalla voce piú comune,  in italiano abbiamo:

- commerciante s. m. e f. chi per professione esercita un commercio: commerciante in legnami, di tessuti etc.;  la voce commercio che è alla base del verbo commerciare (= svolgere un’ attività di intermediazione nello scambio delle merci, scambiare  merci con denaro o altra merce, barattare, mettere in vendita)  donde deriva quale part. pres. la voce a margine, viene dal lat. commerciu(m), comp. di cum 'con' e merx-mercis 'mercanzia, merce';

- negoziante s. m. e f. chi per professione gestisce un negozio di vendita al pubblico: negoziante di vini; negoziante al minuto, all'ingrosso: chi esercita un commercio di merci vendute al dettaglio o in grandi quantità; quanto all’etimo la voce a margine è il part. pres. del verbo negoziare che deriva dal lat. negotiari, deriv. di negotium 'affare, negozio' e che nell’ordine  vale:

1)trattare per la compravendita,

2)condurre le trattative per raggiungere un accordo, spec. in ambito politico,

3)acquisire i diritti di un titolo di credito anticipandone l'importo, salvo rimborso in caso di mancato pagamento da parte del debitore,

ma in senso esteso e nell’accezione che ci occupa,  sta per 4) esercitare il commercio, commerciare: negoziare in olio, in granaglie etc.;

- venditore s. m. [f. -trice, pop. -tora] chi vende o à venduto qualcosa; piú specificamente, proprietario o gestore di un negozio di vendita, oppure chi, in una organizzazione di vendita, è a diretto contatto con il cliente ' venditore ambulante, chi esercita un commercio al minuto spostandosi da luogo a luogo con tutta la sua mercanzia ' venditore di fumo, (fig.) millantatore, ciarlatano; la voce etimologicamente è dal lat. venditore(m);

- bottegaio s. m. [f. -a]
1) proprietario, gestore di una bottega, spec. di generi alimentari,
 2)(in senso spreg.) persona venale e gretta; trafficante, speculatore;  
 la voce a margine, quanto all’etimo (cfr. infra bottega) è un derivato  del lat.
 apothēca, addizionato del suff. di appartenenza arius→aio;

- trafficante s. m.o f.  
1) mercante,
2) [anche f.] chi esercita traffici, soprattutto se illeciti: un/una trafficante di droga |

3)(fig.) persona che briga per conseguire i propri interessi; quanto all’etimo  la voce a margine è il part. pres. del verbo trafficare che  vale: a)commerciare in qualcosa: trafficare in vini  b) esercitare traffici illeciti: trafficare con merce rubata
c) darsi da fare, affaccendarsi: à  trafficato tutto il giorno per casa;

usato in senso spregiativo vale
a1) commerciare, vendere: trafficare cariche
 b1) maneggiare
;

quanto all’etimo  la voce a margine deriva  dal catal. trafegar "travasare", e piú genericam. "spostare da un luogo a un altro", ricondotto a un lat. *transfaecare "liberare dalla feccia".

 

Le voci di pertinenza o riferimento  di quelle appena esaminate sono:

bottega s. f.
1) locale al piano terreno, per lo piú aperto sulla strada, dove si espongono e si vendono merci di vario genere; negozio: la bottega del panettiere | aprire, mettere su bottega, mettersi a fare il negoziante; cominciare un commercio, un'attività | chiudere bottega, cessare la propria attività commerciale o  (fig.) interrompere ciò che si sta facendo, abbandonare un'impresa | stare di bottega, avere il negozio in un dato luogo | fondi, scarto di bottega, merce residua di una vendita; (fig.) roba di nessun valore | far bottega di tutto, (fig.) far commercio di qualsiasi cosa, anche di ciò che non andrebbe trattato come merce | essere uscio e bottega, (fig.) abitare vicino alla bottega o, per estens., al posto di lavoro | avere la bottega aperta, (scherz.) i pantaloni sbottonati. DIM. botteghina, botteghino (m.) accr.: bottegone (m.) vezz.: botteguccia
2) laboratorio, officina dove lavora un artigiano: la bottega del calzolaio | andare, stare, mettersi a bottega da qualcuno, imparare presso di lui il mestiere, fare l'apprendista
3) nel medioevo e nel rinascimento, il laboratorio di un artista famoso, frequentato da aiutanti e allievi; anche, la sua scuola artistica: la bottega di Giotto | opera di bottega, opera non attribuibile a un artista, ma eseguita dalla sua scuola;

quanto all’etimo l’italiano  bottega -  come ò già accennato -  è un derivato  del lat.  apothēca;

magazzino s.m.

 1 locale per il deposito o la conservazione di merci o materiali; l'insieme dei locali adibiti da un'azienda a tale scopo: un negozio con retro e magazzino; il magazzino delle materie prime | magazzini generali, stabilimenti commerciali pubblici che provvedono alla conservazione della merce depositata, rilasciando a richiesta del depositante una fede di deposito e una nota di pegno, che sono titoli di credito all'ordine trasferibili mediante girata | magazzini doganali, in cui si può depositare la merce in attesa di sdoganamento | magazzino ferroviario, portuale, luogo di deposito di merci e attrezzi | magazzino frigorifero, fornito di impianto di refrigerazione, dove si depositano merci deteriorabili
2 l'insieme delle merci depositate; anche, il valore di tali merci: giacenze di magazzino; produrre per il magazzino, indipendentemente dalle immediate possibilità di vendita
3 l'ufficio preposto al deposito delle merci e la sua attività: contabilità di magazzino
4 spec. pl. locale molto ampio o complesso di locali per la vendita al dettaglio di una grande varietà di merci; emporio, supermercato: fare la spesa ai grandi magazzini
5 (fig.) grande quantità di cose | essere un magazzino di erudizione, si dice di persona molto colta o di libro ricco di citazioni, di riferimenti dotti
6 (foto.) involucro impenetrabile dalla luce, in cui si conserva la pellicola fotografica o cinematografica da impressionare
7 (tip.) la parte superiore della linotype, contenente le matrici.

Etimologicamente la voce a margine è dall'ar. mahzin, pl. di mahzan 'deposito, ufficio'; nel sign. 4, sul modello del fr. magasin

 negozio, s. m.

1) affare, operazione commerciale: trattare, concludere un negozio; fare un cattivo negozio | negozio giuridico, (dir.) la dichiarazione di volontà del privato volta al raggiungimento di fini pratici protetti dall'ordinamento giuridico; può essere unilaterale (p. e. un testamento) o bilaterale (p. e. un contratto di compravendita)
2) nel senso che ci occupa,,  locale direttamente accessibile dalla strada, generalmente al pian terreno, dove si vendono merci al minuto; anche, l'impresa commerciale che gestisce tale locale; bottega: un negozio ben fornito, di lusso; un negozio di articoli sportivi, di parrucchiere; aprire, rilevare un negozio | giovane di negozio, (antiq.) garzone. dim. negozietto accr. negozione spreg. negoziuccio pegg. negoziaccio
3) (lett.) attività, occupazione

4) (ant.) incarico, mansione;  

quanto all’etimo  negozio   è un derivato  del lat. negotiu(m) 'affare, occupazione, interesse', comp. di nec 'non' e otium 'riposo dagli affari, tempo libero, ozio';   

- esercizio, s. m.

1) l'esercitare, l'esercitarsi: esercizio della memoria, di una professione; libero esercizio dei propri diritti; esercizio delle proprie funzioni, l'adempimento di esse | tenere, tenersi in esercizio, esercitare, esercitarsi | fare esercizio, esercitarsi; in partic., fare del moto | essere in esercizio, fuori esercizio, allenato, non allenato; riferito a impianto, essere, non essere in funzione
2) prova o insieme di prove che servono ad acquistare pratica in una materia o in un'attività: libro, quaderno degli esercizi; fare un esercizio di traduzione, di matematica; esercizi atletici, ginnici; esercizi di pianoforte | (lett.) prova severa: esercizio di pazienza ' esercizi spirituali, pratica religiosa che consiste nel ritirarsi temporaneamente dalle normali occupa,zioni per trascorrere alcuni giorni in preghiera e in meditazione
3) nel senso che ci occupa,   gestione, conduzione di un'azienda, di un negozio; anche, l'azienda, il negozio stesso: licenza d'esercizio; aprire un esercizio di generi alimentari | pubblico esercizio, albergo, ristorante, bar, sala di spettacolo e sim.
4) periodo di gestione, per lo piú annuale, di un ente, di un'impresa: esercizio finanziario; l'esercizio 2007 si è chiuso in deficit; costi d'esercizio, riguardanti la normale gestione, non già l'acquisizione di beni capitali | esercizio provvisorio, autorizzazione che il parlamento dà al governo ad erogare le spese e a riscuotere le entrate corrispondenti all'ordinaria amministrazione, in attesa di una ritardata approvazione del bilancio preventivo;  

quanto all’etimo la voce   esercizio   è un derivato  del lat. exercitiu(m) deriv. di exercíre 'tenere in esercizio, esercitare'

- rivendita, s. f.

1) il rivendere,
2) nel senso che ci occupa, spaccio in cui si vendono merci al minuto: rivendita di generi alimentari, di tabacchi;

quanto all’etimo  rivendita    è un deverbale di rivendere   che è dal lat.  tardo revendere, comp. di re-, con valore iterativo, e vendere 'vendere';

- emporio s. m. 1) grande centro commerciale, luogo di raccolta e di smistamento di merci: il Pireo fu il maggiore emporio della Grecia antica | (fig. lett.) centro di diffusione di cultura:

2) nel senso che ci occupa,,  grande magazzino dove si vendono merci di ogni genere; negozio che vende prodotti varî
3) (estens.) grande quantità di cose diverse, spec. se ammucchiate disordinatamente;

quanto all’etimo la voce  in esame    è un derivato  del lat. emporiu(m), dal gr. empórion, deriv. di émporos 'viaggiatore per commercio, mercante', comp. di en 'in' e póros 'passaggio, cammino';
- laboratorio, s. m.

1) locale o complesso di locali attrezzati per ricerche scientifiche: laboratorio chimico, farmaceutico; laboratorio di analisi; esperienze di laboratorio | laboratorio linguistico, dotato di apparecchiature che rendono piú agevole l'apprendimento di una lingua straniera | laboratorio spaziale, situato in un satellite artificiale o veicolo spaziale; per estens., il satellite o il veicolo stesso
2) nel senso che ci occupa,officina annessa ad  un negozio; locale dove si svolgono attività artigianali: il laboratorio di una gioielleria; laboratorio di sartoria;

quanto all’etimo  laboratorio   è un derivato  del lat. mediev. laboratoriu(m) 'lavorabile', deriv. del class. laborare 'lavorare',

- officina s. f.  1) complesso di impianti adibiti a lavorazioni di carattere artigianale o industriale; il locale o i locali in cui sono installati tali impianti | nell'uso corrente, laboratorio meccanico per la riparazione di veicoli a motore: portare l'automobile in officina; officina mobile, montata su autofurgoni o altri mezzi di trasporto | nave officina, attrezzata per riparazioni in mare; 2)  bottega, laboratorio di un artista | (fig.) ambiente in cui si producono opere artistiche, letterarie, scientifiche; centro di propulsione di attività intellettuali, spirituali; molto interessante l’etimologia di officina che è  dal lat. officina(m), derivato da un piú ant. opificina, deriv. di opifex -ficis 'operaio', comp. di opus -eris 'opera' e un corradicale di facere 'fare'.

Ed ora  veniamo al napoletano dove per  indicare il bottegaio, abbiamo le seguenti voci generiche:

accattevvénne s.m.e f. mercante soprattutto al minuto, bottegaio, o commerciante girovago  di merci varie,o anche di merci usate(soprattutto abiti) commercio effettuato però (per evitare giacenze di magazzino o deposito)  senza far correr eccessivo lasso di tempo tra l’acquisizione delle merci e la loro rivendita; manca nell’italiano una precisa  voce che ripeta questa napoletana a margine; l’unica che potrebbe, ma  relativamente accostarvisi, sia pure soltanto per ciò che riguarda il commercio delle  merci usate(soprattutto abiti),   è cenciaiuolo/cenciaio= chi compra e rivende stracci e cenci: ma per l’esatta voce del napoletano che indica codesto cenciaiuolo/cenciaio vedi infra sapunaro;

quanto all’etimo la voce a margine risulta essere l’agglutinazione di due voci verbali: accatta e venne; accatta (3 per. sg. ind. pres. dell’infinito accattare/accattà= comprare, acquistare, ma in origine prendere, conquistare giusta l’etimo dal lat. ad+ captare  che è un frequentativo di capere=prendere);

venne (3 per. sg. ind. pres. dell’infinito vennere= vendere, cedere ad altri la proprietà di qualcosa ricevendone un corrispettivo ; l’etimo di vennere è dal lat. vendere, da vínum dare 'dare in vendita' con la tipica assimilazione progr. nd→nn; l’agglutinazione di accatta con venne  attraverso la congiunzione e  à prodotto la caduta della a finale di accatta e la geminazione della v di venne; per cui si è avuto accatta e vvénne→accattevvénne;

-     bazzariota svo.m.le spesso usato come agg.vom.le e solo m.le voce antica e  desueta che in origine indicò un rivenditore girovago, un treccone cioè un  venditore al minuto di generi alimentari (spec. verdure,legumi, uova, pollame ecc.); rivendugliolo cioè  chi rivende al minuto, per lo piú cibo o merci di poco conto, in baracche o con  carrettini, | (spreg.) venditore disonesto; poi per ampliamento semantico indicò il perdigiorno, il briccone, il giovinastro sfaccendato  (detto alibi icasticamente stracquachiazze  e cioè propriamente il bighellone  aduso ad un cosí lungo, continuo, ma inconferente girovagare tale da addirittura consumare, stancar le piazze; di per sé il verbo stracquà che forma la voce  stracquachiazze   unito  con il sostantivo chiazze plurale di chiazza (=piazza dal latino platea) indicherebbe lo spiovere, il venir meno della pioggia, ma nel caso di stracquachiazze estensivamente sta per il venir meno… delle forze o della consistenza strutturale  delle ipotetiche piazze calpestate, senza tregua dal perdigiorno o dal bazzariota  di turno;

quanto all’etimo bazzariota  deriva dall’arabo bazàr=mercato  attraverso un greco mod. bazariotes o pazariotes= mercante, negoziante;

 

- putecaro s.m. (al f. –ara)  che letteramente indica

1)il titolare di una (vedi infra) puteca, proprietario, gestore di una bottega, spec. di generi alimentari,
(in senso spreg.) 2) persona venale e gretta;

3)trafficante;

la voce putecaro  etimologicamente – come ò accennato – parte dal sost. puteca ( che è  dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→puteca ) con l’aggiunta del consueto suff. di competenza arius→aro;

- sapunaro s. m. letteralmente venditore girovago, chi compra e rivende roba usata di scarso valore, rigattiere,  robivecchi; tale venditore girovago aduso a comprare e rivendere, per poche lire,   roba vecchia, usata,  di scarso valore tra cui pentolame, cenci,  ed abiti dismessi era solito offrire in cambio di détte merci in luogo di (sia pure poco) danaro, del sapone voce che è dal tardo lat.    sapone(m), e che indicò in origine  una  'miscela di cenere e sego per tingere i capelli', voce di orig. germ. (vedi sapp)  solo successivamente indicò le paste usate quali detergenti. Rammenterò che i saponi conferiti dai saponari  nei loro scambi, non erano le saponette industriali  che conosciamo, ma un tipo di sapone artigianale  molto morbido e di colore ambra (da usare per detergere abiti e biancheria e  non per la pulizia personale),   che veniva ceduto avvolto in fogli di carta oleata, a mo’ di fétte,  staccandole con una lama da un parallelepipedo  compatto; tale sapone era comunemente detto sapone ‘e piazza= sapone della piazza, forse perché venduto non in una qualche specifica  bottega (come è invece per altre merci) , ma   esclusivamente per istrada /piazza dai venditori girovaghi e/o rigattieri, robivecchi  (saponari  ) che ne erano anche  i produttori artigianali secondo antiche ricette ; va da sé che la voce a margine deriva da sapone(m) + il suff. di competenza arius→aro;

 

- sciammuttajuolo s. m. antica e desueta voce con la quale si indicò quel generico  commerciante, sorta di rigattiere  che si dedicava  a gli sciammuottoli= piccoli traffici, contenuti affarucci, scambi e baratti o  all’aria aperta o in minuscole bottegucce nei mercatini rionali,   contentandosi di sciammuttulïà= guadagnucchiare, fare piccolissimi guadagni, ottenuti spesso con varî generi di  espedienti ( tra i quali talvolta  non mancava il furtarello);

non tranqullissimo l’etimo del verbo sciammuttulïà donde derivano anche sia sciammuottolo che sciammuttajuolo; qualcuno ipotizza uno *sciambà (da un lat. *examplare= rendere ampio, ma non mi riesce di  cogliere il collegamento semantico, neppure per traslato ,   esistente tra il  rendere ampio ed il   guadagnucchiare, fare piccolissimi guadagni; preferisco (quantunque non chiarissima...) l’idea del Faré che riferendosi al concetto di baratto, scambio ipotizzò  un  metaplasmo operato  partendo  da un lat. tardo cambiare→scambiare , di orig. gallica attraverso un fr. échanger, temo però comunque  che occorrerà tornare su queste voci per tentare di  venire a capo dell’esatto percorso semantico e morfologico dell’etimo proposto dal Faré ;

suggeco s.m.  altra antica  voce desueta che tuttavia compare – con qualche aggiustamento (subico – subiugo) -  in Calabria e Sicilia; voce che indicò il venditore al minuto (con botteguccia o piú spesso, carrettino o   banco fisso in mercatini rionali) di cibi  crudi e/o cotti; l’etimo della voce a margine è dal lat. subiugus= soggetto al giogo che nella fattispecie, semanticamente è quello dell’ assisa (=tassa, imposta,sorta di calmiere,  voce derivata dal  fr. ant. assise, che è  dal lat. mediev. accisia, deriv. di accidere 'tagliare');il suggeco si ebbe questo nome   trattandosi  infatti di un commerciante soggetto alle ricognizioni  continue degli ufficiali deputati della  grascia voce che  derivata dal lat. volg. *crassia(m), che è da crassus;indicò1)nel medioevo, ogni sorta di vettovaglia da cui era costituito l'approvvigionamento di una città; anche, il dazio che si doveva pagare per introdurvela
 2)la magistratura cittadina che sovrintendeva agli approvvigionamenti;  

va da sé che gli ufficiali della grascia nelle loro visite, come primo provvedimento esigessero la tassa dell’assisa, o multassero chi non applicasse i prezzi stabiliti con il calmiere; non mi risulta che  esista nell’italiano una voce che corrisponda al napoletano suggeco;   

- trafecante s.m.  commerciante, negoziante generico chiunque compra e rivende qualcosa; per estensione e figuratamente:  maneggione cioè  chi à  per le mani molti traffici e affari, soprattutto se  poco puliti;

quanto  all’etimo  si tratta del part. pres. del verbo trafecà dal catal. trafegar "travasare", e piú genericam. "spostare da un luogo a un altro", ricondotto a un lat. *transfaecare "liberare dalla feccia".

 

Come ò fatto per le voci dell’italiano, tratto  ora

  le voci napoletane  di pertinenza di queste appena illustrate;  abbiamo:

 

bazzarre s.m. =  1) bazar,  

2) negozio in cui si vendono le merci piú svariate,

3) emporio di articoli spesso  di scarso valore. ...
4) (fig.) luogo pieno di oggetti ammassati alla rinfusa.

quanto all’etimo la voce a margine deriva dall’arabo bazar (marcato sull’omonimo  persiano bazar 'mercato'); la voce del napoletano ( che – come risaputo - rifuggia dalle parole terminanti per consonante: unica eccezione nun) à comportato il tipico raddoppiamento espressivo della consonante erre e la paragoge della vocale finale evanescente (cfr. alibi tramme←tram, bisse←bis, barre←bar,gassegas,  autobbusso←autobus)

nijozio s.m. brutta vecchia voce peraltro pochissimo  usata nel parlato popolare (che gli preferí sempre la voce successiva), ma in uso nel linguaggio dei letterati o di autori di canzonette, linguaggio  dove accanto al significato di  negozio, ebbe    varî significati  traslati: cosa di cui non soccorre il nome, notizia, generica cosa, membro virile  quanto all’etimo siamo in presenza d’un osceno adattamento dell’italiano negozio sconcezza operata da non so bene quale improvvido letterato aduso a trattare piú con i volumi della propria bibloteca che con l’eloquio del popolo;

puteca  s.f. bottega, locale al piano terreno, per lo piú aperto sulla strada, dove si espongono e si vendono merci di vario genere; negozio, ma anche ripostiglio, magazzino;

 l’etimo – come ò già accennato -  è  dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→potèki→puteca )  

sciammuottolo s.m. antichissima voce in uso nel linguaggio popolare ed attesta per iscritto in Biaso Valentino scrittore di metà settecento di cui mi fallano precise notizie biografiche, voce usata nei significati di botteguccia, piccolo negozio oltre che (vedi antea – anche per l’etimo -  sub  sciammuttajuolo) in quelli di baratto, affaruccio.

A margine e completamento di tutte le voci esaminate mi piace aggiungerne alcune che però non si riferiscono a venditori con esercizio di  un preciso negozio e/o  punto di vendita, ma sono voci che riguardano venditori girovaghi di merci per lo piú usate e  di scarsissimo valore; in italiano abbiamo ordunque:

rigattiere/a, s.vo m.le o f.le 

chi compra e rivende in giro  merce usata di scarso valore; voce derivata per adattamento dal fr. regrattier 'venditore al dettaglio', deriv. di gratter 'grattare';

robivecchi, s.vo m.le e f.le 

Chi compra e rivende in giro  oggetti usati; cenciaiolo, rigattiere; voce derivata dalla locuz. roba vecchia, e piú propr. dal romanesco robivecchi!, grido di richiamo dei cenciaioli romani;

stracciaiolo/a, stracciaiuolo/a s.vo m.le o f.le 

Chi compra e rivende stracci e altra roba usata di poco valore, straccivendolo ambulante; voce denominale di straccio (deverbale del lat. volg. *extractiare, che è datractus, part. pass. di trahere 'trarre')con l’aggiunta del suffisso aiolo/aiuolo/ajuolo suffisso costituito per accumulo dei suff. -aio e -olo, accumulo presente in sostantivi indicanti chi esercita un mestiere (legnaiuolo/legnaiolo, vignaiuolo/vignaiolo) o chi à inclinazione per qualcosa (donnaiuolo/donnaiolo, forcaiolo), oppure in aggettivi che stabiliscono una relazione di tempo o di luogo (marzaiolo, prataiolo).

 straccivendolo/a s.vo m.le o f.le  s.

 chi compra o rivende stracci e/o altra merce usata e  scadente; voce denominale di stracci con l’aggiunta del suffisso -vendolo(secondo elemento di parole composte formate modernamente, deriv. di vendere; significa 'venditore di... ', mentre il primo elemento del composto indica il tipo di merce venduta...).

 In napoletano le voci or ora elencate ed esaminate son rese con bbarraccaro, iudechiéro/èra, sapunaro, spetacciaro, spogliampise. Esaminiamole:

bbarraccaro/a, s.vo m.le o f.le disusato

nella città bassa chi compra(va) e rivende(va) in giro cenci e/o abiti usati tenendo quale magazzino delle proprie merci una o piú baracche ubicate ai margini delle zone di mercato; la voce è un denominale di barracca (baracca) addizionato del consueto  suffisso aio/aro che continuano il lat. –arius e compaiono in sostantivi, derivati dal latino o formati in italiano o in napoletano , che indicano mestiere (orologiaio/rilurgiaro- bottegaio/putecaro) oppure luogo, ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa (letamaio, lutammaro).; barracca (baracca), che è dallo spagnolo barraca con raddoppiamento espressivo dell’ occlusiva velare sorda (c), è  la costruzione di legno o di altro materiale leggero per il ricovero, generalmente provvisorio, di uomini e animali, o (come nel caso che ci occupa) per il deposito di merce;

iudechiéro/chèra, , s.vo m.le o f.le ampiamente desueto

rivendugliolo, spesso ebreo che nella città bassa, soprattutto nella zona detta Judeca(Giudecca) compra(va) e rivende(va) in giro cenci, merci di poco conto e/o abiti usati; la voce è stata costruita partendo dal s.vo Judeca (Giudecca vecchia che a Napoli fu  la zona popolare tra via Forcella e piazza porta Capuana ove era ubicato il ghetto ebraico) addizionato del suff. m.le di pertinenza iéro o f.le èra; sottolineo che in napoletano il suffisso maschile iéro(dal francese ier cfr. G. Rohlfs) al femminile perde il dittongo diventando èra come ad es. alibi salumiero, ma salumèra;
 

sapunaro, , s.vo m.le o f.le  di questo icastico termine ò già détto a pg. 9 ed ivi rimando;

spetacciaro/a, s.vo m.le o f.le abbondantemente desueto; si tratta di voce assente nei repertorii scritti, ma in uso nel parlato della città bassa nei significati di rivenditore/trice al minuto di  merci di poco conto o piú spesso di abiti usati e mal messi al segno di apparire delle petacce (vesti lacere sbrindellate, sdrucite, logore, lise); la voce petacce  s.vo f.le pl. di petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente   abito  di tessuto logoro; piú in generale  anche pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto commerciale specificamente fabbricato a tale scopo), ma il s.vo petaccia rispetto a straccio à un valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia! Quanto all’etimo, petaccia   appare a taluno un derivato dello  spagnolo pedazo= pezzo  ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia qualcuno à  anche ipotizzato  un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque  a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m). Etimologicamente la voce  spetacciaro/a, è stata ottenuta sempre partendo dal s.vo petacce con protesi della tipica s intensiva partenopea ed unendo il tipico suffisso di competenza aro altrove anche ero  suffisso come ebbi modo di dire che continua il lat ariusaro/aio; ò détto che la voce in esame non è attestata se non nel parlato; tuttavia in talun repertorio si incontra ugualmente marcato sulla voce petacce (con protesi della tipica s intensiva partenopea e con  il tipico suffisso accrescitivo)  l’agg.vo spetaccione/a = 1 (détto di stoffa, o di  vestito) rattoppato/a, liso/a, logoro/a, consumato/a, frusto/a, consunto/a, sbrindellato/a, strappato/a, stracciato/a
2 ( détto di persona) . povero/a, miserabile, straccione/a, pezzente

spogliampise. ,  s.vo e talora a.vo  m.le e f.le straccione, cencioso, ma letteralmente chi spoglia(va) degli abiti gli impiccati, oppure li depreda(va) degli ultimi averi, svuotando loro le tasche o ne compra(va) dal boia, per rivenderli, gli abiti; estensivamente in seguito  il termine indicò colui che rivendesse abiti usati e per traslato la voce fu usata quale sinonimo di miserabile, spregevole, abietto, meschino, in quanto semanticamente tali aggettivazioni ben si attagliano sia  a chi si dedicasse alla spoliazione e/o depredazione (in tutti i sensi) degli impiccati,sia a chi indossasse abiti dismessi da povera gente, per cui abiti lisi, consunti, sia  a chi si dedicasse   alla rivendita di  abiti usati,come che fosse  sottratti ad impiccati. Etimologicamente la voce è formata dall’unione di spoglia + il s.vo ‘mpise ; la voce verbale spoglia  è la 3° p. sg. ind. pr. dell’infinito spuglià (dal lat. spoliare, deriv. di spolium 'spoglia') =spogliare; ‘mpise è il pl. di ‘mpiso = appeso, impiccato (p.p. sostantivato di ‘mpennere = appendere impiccare che è dal lat. in→impendere 'pesare', poi ''sospendere' ', comp. di in→’m e pendere 'sospendere'.

Qui giunto prima di porre il punto fermo, mi piace dire d’un’ ultima voce napoletana (che peraltro non trova riscontro nell’italiano, voce usata per indicare un particolare tipo di  venditore girovago, il cosiddetto rammariello che fu - si può dire –  il primo ideatore delle cosiddette  vendite rateali a domicilio; costui girava di casa in casa vendendo principalmente biancheria personale e da casa (ma anche altre piccole merci di cui fosse richiesto: filati, trine etc.) e tutto ciò che occorresse per mettere insieme un adeguato corredo da sposa; il corredo è l'insieme degli abiti, della biancheria e degli altri effetti personali di cui si dispone; si dice soprattutto di ciò che la sposa porta con sé per farne uso durante  la vita matrimoniale: corredo nuziale. La particolarità e precipuità della vendita fatta dal  rammariello erano date dal fatto che, consegnata tutta la merce , il venditore passava a riscuotere di mese in mese le contenute rate in cui veniva suddiviso il prezzo pattuito, permettendo in tal modo anche ai meno abbienti, con piccoli esborsi mensili, di assicurarsi buona merce ( mai il rammariello avrebbe ceduto merce scadente: correva il rischio di perder la clientela e perciò il lavoro ed un sia pure modesto guadagno!). E veniamo all’origine della parola rammariello; come si intuisce si tratta del diminutivo di rammaro che fu il ramaio, il venditore di utensili da cucina che furono di rame (ramma) etimologicamente da ramma (a sua volta da un basso latino (ae)ràmen da aes/aeris=rame,bronzo, con procope d’avvio di ae, raddoppiamento espressivo della m, e cambio di genere) + il suffisso di pertinenza arius→aro. Originariamente ‘o rammaro fu il venditore porta a porta delle stoviglie di rame; quando poi – con l’avvento dell’alluminio - non si vendettero piú pentole e stoviglie (mestoli, schiumarole, cucchiaie e forchettoni) il ramaio fu costretto a cambiar merce e si adattò a vendere biancheria personale ( camicie da notte, sottovesti etc.) e da casa (coperte, lenzuola, asciugamani etc) inventandosi per attirare la clientela (…la nuova mercanzia era piú costosa del pregresso pentolame in rame) la vendita rateale, ed il popolino gli confezionò ipso facto il nome di rammariello che ricordasse l’antico mestiere di ramaio ed il nome di rammariello fu usato da tutti coloro che vendevano biancheria a domicilio, anche da quelli che presero a fare tale mestiere pur senza essere stati dapprima ramai.
 E qui penso di poter far punto, convinto, se non di avere esaurito l’argomento, di averne détto a sufficenza, accontentato l’amico Edoardo ed interessato qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori. Satis est.

raffaele bracale 22/10/08 

 

 

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