domenica 7 novembre 2021

8 DATATISSIME LOCUZIONI PARTENOPEE

 

8 DATATISSIME LOCUZIONI PARTENOPEE

1.Aizà ‘a mano

Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere

L’ espressione,  che viene usata quando si voglia fare intendere  che  si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto  del sacerdote  che al momento di assolvere i peccati  , alza la mano per benedire e mandar perdonato il penitente pentito.

2.    Ô tiempo ‘e Pappacone.

Ad litteram: Al tempo di Pappacoda  Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto  si tratterebbe di cose impossibili da riprodurre o riproporre; La parola Pappacone  è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose  ed artistiche vestigia in parecchie strade di Napoli.

3.    Ô tiempo d’’e cazune a teròcciole.

Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche.

4. Arricurdarse d’ ‘o mare ô Cerriglio (cioè ricordarsi di quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:

Magnammo, amice mieje, e po' vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!

stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.

      

5.    Acrus est e te ll’hê ‘a vevere

Ad litteram : è acre, ma devi berlo

La locuzione è  tipico esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno.

 Cosí a Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di seguito  la storiella  donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato  portò alle labbra il calice contenente l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)

il curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in sacrestia...”

il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente non mi troverai...)

Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro  che debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere.

6.    Ammacca  e ssala, aulive ‘e Gaeta!

Ad litteram:  Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.

7.    “ A  llu frijere siente ll’addore” - “A llu cagno, siente ‘o chianto”

Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore”  - “Al momento di cambiarli, piangerai.”

Locuzione  che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse  tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo.

Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi  sentí il pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.

8.    Addó arrivammo, llà mettimmo ‘o spruoccolo

Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco.  La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento  di un’azione iniziata e non compiuta del tutto, sia  per  rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi  in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento  che le forze ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione per portarla successivamente  a compimento.”

Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.

 

Brak

 

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