martedì 16 novembre 2021

NACCA/NNACCA & dintorni

 

NACCA/NNACCA & dintorni

 

Sollecitato dalla richiesta d’una mia nipote, tratto questa vòlta la voce in epigrafe sicuro di far cosa gradita non solo alla mia congiunta, ma pure a qualche altro dei miei ventiquattro lettori.

Comincio con la prima espressione che mi viene in mente che la contiene:

(‘a)zi’ nnacca (d’’o Pennino),e talvolta per evidente inconscia erronea corruzione popolare (‘a)zi’ nnacchera (d’’o Pennino), ma piú correttamente (‘a)sié nnacca (d’’o Pennino); letteralmente sta per la signora anca (del pendino),  ma per ampliamento semantico vale donna sgraziata, goffa, dalla provocatoria andatura dondolante per mettere in mostra le voluminose anche e/o natiche,  mostra favorita dalla ridondanza delle grosse gonne indossate, spesso ad arte  gonfie sui fianchi e/o fondoschiena,  per sottogonne e/ o guardinfanti; tale donna sgraziata e goffa è classificata, stante la sua ineleganza e cattivo gusto  come  donna volgare,  intesa addirittura  becera, triviale, incline al pettegolezzo e alla chiassata manifestando rumorosamente la sua presenza enfatica come ad un dipresso accade per  la cosiddetta  péreta (cfr. alibi sub EPITETI).

Prima di passare all’esame linguistico dell’espressione ricorderò che “’a sié nnacca d’ ‘o Pennino” fu l’epiteto affibbiato intorno agli anni di fine 1800 ad un corpulento, sgraziato donnone che fu titolare d’una friggitoria nel quartiere Pennino, donnone rammentato anche dal poeta Ferdinando Russo [Napoli 25/11/1866 - † ivi 30/01/1927] nel finale del suo poemetto ‘Mparaviso (1891).

Affrontiamo ora la questione etimologica dell’espressione e dico súbito che  (‘a) zi’ nnacca o addirittura (‘a) zi’ nnacchera (che varrebbe correttamente la zia anca) è espressione scorrettamente in uso sulla bocca del popolino e/o delle persone meno coscienti o  consce  dell’idioma partenopeo, laddove l’espressione da usarsi correttamente  è (‘a) sié nnacca (d’’o Pennino) e ciò perché

spesso tra il popolino o i meno esperti si incorre nella confusione tra zi’ e si’ (al maschile) o tra zi’ e sié (al femminile) cioè si confonde  tra zio/a e signore/a. Ricordo infatti che non solo in questo caso, ma anche in altre espressioni che ricorderò qui di fila, si incorre nella colpevole confusione tra i menzionati zio/a e signore/a. con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé l’apocope di si(gnore) con uno scorretto zi’ (che è l’apocope di uno zio/a etimologicamente derivante da un tardo latino thiu(m) e thia(m) da un greco tehîos ) per cui si ottenengono gli scorretti zi’(zio  o zia)  in luogo dei corretti si’ (signore)o sié dove il si’ - come ò detto- è l’apocope di si-(gnore) (che etimologicamente è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano mentre il sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur cioè da  seigneuse→sie-(gneuse).

Ricordo altre espressioni improprie come:

1)dicette ‘o zi’ prevete â zi’ badessa:”Senza denare nun se cantano messe”! usata invece della corretta
 dicette ‘o si’ prevete â sié badessa:”Senza denare nun se cantano messe”!

Ad litteram: Il signor prete disse alla signora abadessa: Senza denari, non si celebrano messe cantate!;l’espressione impropria sarebbe tradotta: Lo zio prete disse alla zia  abadessa: “Senza denari, non si celebrano messe!”, ma ognuno vede che è una forzatura semantica ritenere zii e non signori i protagonisti dell’espressione!

2)Essere ‘o zi’ nisciuno espressione impropria al posto della corretta Essere ‘o si’ nisciuno id est: essere una nullità, un autentico signor nessuno! Rammento che in tale confusione tra zi’ nisciuno e si’ nisciuno  incorse perfino un grandissimo scrittore napoletano, don Peppino Marotta (Napoli 5 aprile 1902. -† ivi  12 ottobre 1963) che in un suo volume tradusse appunto scorrettamente essere lo zio nessuno piuttosto che correttamente essere il signor nessuno ed anche in questo caso abbiamo una forzatura semantica,che perdono a don Peppino essendo egli la corona della mia testa!

Andiamo oltre  e trattiamo il sostantivo nacca  s.vo f.le = anca, fianco (soprattutto femminile) Premesso che l’erronea nacchera talvolta scioccamente usata da qualcuno, è solo una patente corruzione, per bisticcio ed  assonanza,  di questa nacca dirò che in corretto napoletano la voce nacca o il pl. nacche se vengono  usate precedute da una e esigono il raddoppiamento consonantico della enne e dunque si dovrà scrivere ‘a sié  nnacca e non ‘a sié  nacca ed ovviamente ‘e nnacche e non ‘e nacche (che altrimenti, oltre tutto,  suonerebbero maschili!). Etimologicamente la voce nacca è una lettura metatetica del tedesco (h)anka→naka→nacca con raddoppiamento espressivo dell’occlusiva velare sorda k→cc.

Completiamo l’esame dell’espressione di partenza trattando dello specificativo locativo d’’o Pennino= del Pendino

 Il Pendino è un antico  quartiere di Napoli, adiacente al centro storico, che attualmente è compreso nella seconda municipalità del capoluogo campano  insieme ai quartieri Avvocata, Montecalvario, Mercato, San Giuseppe e Porto. Questo antico  quartiere comprensivo di una zona in leggero pendio (donde il nome) verso il mare à molte strade tra cui spiccano: Corso Umberto I (noto con il nome di  Rettifilo strada aperta, come la successiva, al tempo (1888 – 1889) dello sventramento e risanamento della città operata consule il sindaco Nicola Amore,(Roccamonfina 18 aprile 1828 –† Napoli, 10 ottobre 1894) ), Via Duomo (che prende questo  nome appunto per la presenza  della Chiesa cattedrale (Duomo) della metropoli partenopea), Via Soprammuro (in dialetto 'Ncopp ê Mmure sopra le mura dove quotidianamente si tiene mercato al minuto di pesce ed ortaggi/erbaggi.), Via Forcella (nota per essere uno delle piú antiche strade napoletane, strada dal fiorente contrabbando di tabacchi ed apparecchiature audio-visive e fotografiche oltre che di elettrodomestici , Corso Garibaldi(improvvidamente dedicato al masnadiero,truffaldino ladro di cavalli, pluripregiudicato Garibaldi Giuseppe ((Nizza, 4 luglio 1807 –† Isola di Caprera, 2 giugno 1882)) córso    che congiunge la zona portuale con la piazza Carlo III sede  del monumentale Albergo dei Poveri (détto anche Reclusorio) opera voluta dal re Carlo di Borbone ed edificato su progetto di Ferdinando Fuga , Via Bartolomeo Capasso (illustre scrittore, poeta ed archeologo napoletano (Napoli 22/02/1815 - † ivi 3/03/1900))  ecc.; rammento inoltre che questo vasto importante  quartiere napoletano  à origini antiche, già in ètà romana era compreso nelle mura, come  testimoniato  dal Complesso termale in Vico dei Mannesi( per ciò che riguarda la voce mannesi, pl. di mannese dirò che            nell’ idioma napoletano essa voce mannése non à nulla a che dividere con  l’omografa ed omofona della lingua italiana; in italiano mannése  è un aggettivo che viene riferito agli abitanti dell’isola di Man  e  connota in  particolare una  lingua  che è appunto la lingua mannese o manx (chiamata anche Gaelg) che  è una lingua gaelica o  goidelica parlata sull'Isola di Man,che è un’isola  conosciuta anche come Mann o Manx (Isle of Man in inglese, Ellan Vannin o Mannin in mannese) ed è  situata nel Mar d'Irlanda; sul piano politico, essa non fa parte del Regno Unito né dell'Unione Europea, ma è una dipendenza della Corona britannica. La  lingua che vi si parla è   risalente al V secolo ed è derivante  dall'antico irlandese; infatti non di rado viene chiamata gaelico mannese.

Tutt’altra cosa è il mannése della parlata napoletana dove è un sostantivo, non aggettivo  masch. e vale carpentiere,falegname ma piú ancóra carradore,fabbricante di carri e carretti, artigiano che fabbrica o ripara carri e barocci; carraio  con derivazione da un acc.vo lat. manuense(m) che diede il lat. volg. *manuese donde *mann(u)ese; per il raddoppiamento della nasale cfr. alibi crebui→ crebbi, venui→venni, stetui→stetti etc.)

 Il quartiere conserva altresí  resti di mura greche in Piazza Calenda a Forcella che testimoniano un'ulteriore antichissima  epoca,appunto quella greca. Nel medioevo  questo quartiere e precisamente la piazza del Mercato,fu teatro  della decapitazione di Corradino di Svevia (Corrado V di Svevia, detto Corradino (Landshut, 25 marzo 1252 –† Napoli, 29 ottobre 1268) figlio di Corrado IV re dei Romani e di Elisabetta di Wittelsbach; fu Re di Sicilia (1254-1268) e di Gerusalemme (1254-1268). Fu l'ultimo degli Hohenstaufen regnanti),  ed inoltre dal XIV secolo in poi nel quartiere vennero erette numerose chiese;  nel seicento fu il luogo da dove partí la rivolta di Masaniello(Tommaso Aniello d'Amalfi,(rammento che d’Amalfi era il suo cognome e non indicava la provenienza o nascita, in quanto il personaggio era di nascita  napoletana) meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 –† Napoli, 16 luglio 1647, fu il principale protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo); continuando nel ns excursus ricordo che  nel XX secolo il  quartiere fu gravemente danneggiato ma  venne súbito ricostruito tranne alcuni edifici come la Chiesa del Carminiello ai Mannesi.Oltre le arterie ricordate il quartiere  è composto da un fitto dedalo di numerosi vicoli che le intersecano; ricordo:

Vico Zuroli (che prende il nome da un’antichissima(1300) famiglia : gli Zurlo o Zuroli che vi fecero elevare il loro palazzo nei pressi della chiesa del Monte della Misericordia (Il Pio Monte della Misericordia è un'istituzione benefica, tra le più antiche (1602), della città di Napoli.

La sua sede attuale è nell'edificio (palazzo e chiesa) situato nel centro antico della città, lungo uno degli antichi decumani (decumano maggiore, oggi via dei Tribunali).

L'edificio ospita le Sette opere di Misericordia (1607), celebre dipinto del Caravaggio),

Via Arte della Lana (sede della potente corporazione dei Lanaioli, fiore all’occhiello della città dove l’artigianato tessile à avuto da sempre notevole importanza, tanto che gli Arabi dissero la città:  Napoli del lino; la corporazione era cosí importante e potente  da godere di legislazione propria, un proprio tribunale, di chiesa e carcere privati),

Vico del Lavinaio( che deve il suo nome agli scoli d’acqua piovana che – prima dell’ampliamento aragonese (1484)delle mura di cinta della città -  rendevano fangose e malsane le strade di  quella zona popolare; esistono altresí molte piazze monumentali:

1 -piazza del Mercato,(quella teatro della rivolta di Masaniello, sede delle esecuzioni capitali È una delle maggiori piazze della città, ma in origine non era altro che uno spiazzo irregolare esterno al perimetro urbano, chiamato Campo del moricino (o muricino) "perché «attaccato» a mura divisorie della cinta muraria cittadina". Gli Angioini, poi, ne fecero un grande centro commerciale cittadino, ribattezzandolo Mercato di Sant'Eligio (con riferimento ad un’imponente basilica di stile  gotico adiacente alla piazza dedicata appunto a sant’ Eligio)  e, quindi, Piazza Mercato, snodo fondamentale dei traffici provenienti da tutto il Mediterraneo. Ivi si svolgevano le esecuzioni capitali, a partire dalla decapitazione di Corradino di Svevia, fino a quelle dei giacobini dopo la soppressione della Repubblica Partenopea del 1799. La piazza, poi, è particolarmente celebre per essere stata il luogo dove ebbe inizio la rivoluzione di Masaniello)

2 -Piazza Nicola Amore (conosciuta come 'e Quatte Palazze = quattro palazzi che son quelli che limitano la piazza ai quattro punti cardinali ),

3 - Piazza del Carmine (non quella summenzionata della rivolta di Masaniello,ma quella adiacente che un tempo fu tutt’uno con la piazza del Mercato; questa  piazza in esame   su uno dei quattro  lati vanta la presenza, prendendo da essa il nome di piazza del Carmine, della  Basilica Santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore (una delle piú grandi e belle basiliche di Napoli, dedicata al culto della Vergine (nera) del Carmelo. Risalente al XIII secolo,la basilica è  oggi ormai  l’ unico splendido  esempio  del Barocco napoletano; si erge in piazza Carmine a Napoli, piazza che un tempo formava un tutt'uno con la piazza del Mercato, teatro, come ò ricordato,  dei piú importanti avvenimenti della storia napoletana.) con l’adiacente campanile che quantunque costruito contemporaneamente alla chiesa, di esso si parla la prima volta non prima del 1439, durante la guerra tra Angioini e Aragonesi. Piú volte danneggiato e ricostruito assume l'aspetto attuale nella prima metà del XVII secolo. I primi tre piani sono costruiti (partendo dal basso) nello stile ionico, dorico e corinzio, e si devono all'architetto Giovan Giacomo Di Conforto. Questa parte, iniziata nel 1615 con la offerta di 150 ducati, venne completata nel 1620. Nel 1622 fu innalzato il primo piano ottagonale sotto la cui cornice si legge un'iscrizione; nel 1627 fu portato a termine il secondo piano ottagonale e nel 1631, il domenicano Giuseppe Donzelli détto fra’ Nuvolo, costruí la cuspide ricoperta di maioliche dipinte, per cui il campanile è ricordato come quello di fra’ Nuvolo In cima vi  troneggia la croce, su di un globo di rame del diametro di 110 centimetri. L'intera struttura è alta 75 metri e risulta essere il campanile piú alto di Napoli ed ogni anni per la ricorrenza della festività della Madonna del Carmine (16/07), il détto campanile viene incendiato cioè è teatro di un imponente spettacolo di fuochi artificiali esplosi lungo tutta la struttura del campanile;  

4 - Piazza del Grande Archivio (che prende il nome dall’ Archivio di Stato, ubicato nei locali dell’antichissimo monastero dei Ss. Severino e Sossio; La chiesa e l'annesso ampio  monastero vennero fondati nel IX secolo dai Benedettini, che nel 902 vi trasferirono le spoglie di San Severino, e due anni dopo anche  quelle di San Sossio. Il complesso venne poi  ristrutturato intorno alla metà del 1400 dagli angioini e ne  restano alcune  tracce nella chiesa inferiore, nuovamente rifatta nel XVI secolo. Nel 1494 venne affidata a Giovanni Donadio la ricostruzione della chiesa superiore. I lavori, interrotti per un breve periodo, furono ripresi nel 1537 da Giovan Francesco di Palma. I danni prodotti dal terremoto del 1731 resero necessaria una nuova ristrutturazione, affidata a Giovanni Del Gaizo. A Giovanni Battista Nauclerio si deve invece il rifacimento della facciata. L'interno della chiesa , a croce latina, è a navata unica con sette cappelle laterali. L' opera conserva un altare maggiore e una balaustra realizzati su disegno di Cosimo Fanzago, nonché  un'ancona marmorea di Giovanni Domenico D'Auria ed  una tavola di Marco Pino, (Calvario, 1577)poste nella cappella Gesualdo; nella cappella Sanseverino invece  sono visibili i Monumenti funebri di Ascanio, Iacopo e Sigismondo Sanseverino, eseguiti nel 1539-40 su disegno di Giovanni da Nola.L’annesso monastero, oggi sede dell’Archivio, è famoso per i suoi tre chiostri riccamente affrescati (chiostro dei platani,chiostro del noviziato e chiostro di marmo o chiostro quadrato, destinato a giardino, con ingresso sulla via.). Il quartiere confina con altri popolari e popolosi quartieri: Porto, Vicaria, Mercato, San Lorenzo e San Giuseppe.

A margine di questa lunga, ma forse necessaria e  m’auguro interessante descrizione del quartiere Pendino richiamato dall’espressione in esame:  ‘a sié nnacca d’’o Pennino rammento qui di sèguito un’ altra espressione in cui è presente il quartiere Pendino:

arricurdarse ‘o cippo a furcella, ‘a lava d’’e virgene, ‘o catafarco ô pennino, ‘o mare ô cerriglio.   

Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.

È un’ espressione  pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi  cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m); tipico il passaggio in napoletano PL→CHI).

La  parola chiuppo fu   poi corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa  poi  sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1)- ‘a lava d’’e Virgene(la lava nella parlata  napoletana, etimologicamente dal  lat. labe(m)→laba(m)→lava(m) è'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma indica  anche estensivamente  una copiosa, quasi  torrentizia caduta di acqua; ed è a  quest’ultima che qui  si fa riferimento;   (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene  si intende infatti   quel tumultuoso torrente di acqua piovana  che a Napoli  fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente  sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata  perché nella zona  esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori)  e percorrendo di gran carriera la via Foria  si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura  e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso  percorso),2) - ‘o catafarco  ô Pennino = il catafalco al Pennino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra+  l’arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana (  anche cosí nel napoletano, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV sec. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me  che divenne na con sostituzione della vocale finale e  della nasale bilabiale con la corrispondente nasale dentale,   per render chiaramente  femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; l’adattamento corruttivo di me in  na si rese necessario, atteso che per errore non si  muta la  desinenza nel  volgere al femminile un nome terminante in me  ed invece di  farlo diventare terminante  nell’ovvio ma, si continua a mantenere il suffisso me  ; fu necessario perciò cambiar questo me  in na (desinenza che, quanto al genere non produce confusione)!) dicevo che la voce catafalco  che di per sé indica il tronetto ligneo   su cui veniva un tempo, al centro della chiesa,  sistemata la bara durante i funerali solenni,  qui è usato per  traslato ad indicare un altare molto imponente), infine: 3) - ‘o mare ô Cerriglio = il mare al Cerriglio (cioè al tempo di  quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio  esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori:  dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il  popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio   Caravaggio o Milano, 1571  Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla  porta di detta bettola   erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:

Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo
nfino ca  stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace
= ci sta; il ce  dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano  ci  che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);

lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita  etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente  deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;

taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m)  che significò bottega ed osteria  ed è in quest’ultimo significato che la voce  fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella parlata napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.

Sistemato cosí m’auguro esaurientemente il Pendino e le locuzioni che lo richiamano, chiarisco che – come si puó facilmente arguire la protagonista dell’espressione ‘a sié nnacca d’’o Pennino  non è, né fu una ben identificata e/o codificata persona, ma semplicemente una tipica popolana del tardo ‘800, che vestita alla consueta  vistosa maniera delle popolane con ampie gonne e sottogonne e/o guardinfanti, divenne famosa dapprima  nel suo quartiere e poi in quelli limitrofi ed infine in tutta la città fino a divenire proverbiale,  per un suo tipico dondolante e provocatorio incedere mettendo in vista anche e/o natiche gonfie o pingui. Esiste altresí, oltre quella or ora rammentata, un’altra simpatica, icastica espressione che è poi un intercalare di estemporaneo canto popolare su ritmo di tarantella, canto in uso tra i contadini della provincia napoletana o dell’area sorrentina, intercalare   in cui è presente la voce nacca, anzi il suo plurale nacche tale intercalare/espressione nella sua interezza suona:’Nfra nacche, pacche e nievero ‘e vacca e tradotta vale: Tra anche, natiche e nerbo di vacca con riferimento al comportamento tenuto durante la danza da ballerine e ballerini: le prime che dimenano ed agitano provocatoriamente anche e natiche ed i secondi che proditoriamente strofinano o tentano di strofinare contro le medesime il loro nerbo (di vacca); va da sé che il nerbo di vacca (nievero ‘e vacca) che sta ad indicare il membro maschile  è solo un gustoso adattamento furbesco per questioni di rima per assonanza, atteso che morfologicamente non è la mucca (vacca), ma il bue ( ‘o vojo) ad essere armato di nerbo (nievero).Esaminiamo le singole voci dell’intercalare:

‘Nfra = tra, fra, in mezzo  preposizione

1 indica posizione intermedia entro due termini collocati a una certa distanza nello spazio (anche in usi fig.) ‘na strata ‘nfra ddoje file d’ arbere(una strada tra due filari d’alberi); ‘a casa  nosta casa è ‘nfra ô  parco e â chiazza (la nostra casa è tra il parco e la piazza); stà ‘nfra dduje fuoche(essere tra due fuochi), stà ‘nfra â ‘ncunia e ô martiello (stare fra l'incudine e il martello)

2 in dipendenza da verbi di movimento introduce un moto per luogo: passaje ‘nfra ‘nu sacco ‘e gente (passò fra molte persone);
3 indica il tempo che deve trascorrere prima del verificarsi di un evento: nce vedimmo ‘nfra ddoje ore(ci vedremo fra due ore); turnarrà ‘nfra ‘na semmana(tornerà fra una settimana); | indica l'arco di tempo entro cui l'evento si è verificato o dovrà verificarsi: ‘a fatica s’ à dda fa ‘nfra fevraro e abbrile (il lavoro deve essere  svolto fra febbraio ed aprile; starrà cca ‘nfra ê ccinche e ê ssaje ( sarà qui tra le cinque e le sei) | con il valore di durante, nel corso, nel mezzo di: parlà ‘nfra sé e ssé(parlare tra sé e sé)
4 introduce una distanza, una lunghezza:’nfra ciento metre truvammo ‘na chiazza( tra cento metri incontreremo una piazza) | con valore spazio-temporale: ‘o paese è ‘nfra mez'ora ‘e cammino  (il paese è fra mezz'ora di cammino)
5 indica i soggetti, i termini entro i quali o rispetto ai quali si verifica una certa condizione (anche in usi fig.):’nfra nuje e vvuje nce sta n’abbisso (tra noi e voi c'è un abisso); ‘nfra loro s’’a ‘ntennono bbuono!( fra loro si intendono bene!);

6 con valore distributivo: l’eredità sarrà spartuta ‘nfra paricchie ‘e lloro(l'eredità sarà spartita fra molti);
7 in funzione partitiva: chi ‘nfra nuje va cu isso?( chi tra noi andrà con lui?). Etimologicamente è dal lat. infra→’nfra

Nacche = s.vo f.le pl. di nacca= anca, fianco; dell’etimo ò già détto;

 pacche s.vo f.le pl. di pacca= natica e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka.

 nievero s.vo m.le = nervo, nerbo e per estensione il membro maschile d’uomini o animali; etimologicamente la voce è dal lat.nervum con dittongazione della e intesa breve(ĕ→ie),metatesi (rv→vr) ed anaptissi  di una e eufonica tra v ed erre secondo il percorso morfologico nervum→niervum→nievrum→nieverum→nievero.

 vacca s.vo f.le = mucca, femmina adulta dei bovini che à già figliato, figuratamente donna molto grassa, sformata | prostituta, sgualdrina, ma qui usato, solo per comodità di rima per assonanza, impropriamente in luogo di bue; l’etimo è dal lat.  vacca(m) .

E qui penso proprio di poter far punto. Satis est.

Raffaele Bracale

 

 

 

                                                                 

 

 

 

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