La questione della h etimologica nel verbo avere e dintorni.
Prima questione.
Il problema del mantenimento della h etimologica nella coniugazione del verbo avere (dal lat. habere) affonda le sue radici lontano nel tempo: nell’italiano antico la sua presenza era di gran lunga maggiore rispetto all’uso moderno, in cui è limitato alle forme verbali hanno, ha, ho, hai (come sostanzialmente sancisce in modo definitivo il Vocabolario degli Accademici della Crusca, a partire dalla terza edizione, del 1691). In queste quattro forme la h è stata mantenuta per una questione diacritica, perché consentiva di distinguer le voci verbali da altre omofone (cioè “che ànno lo stesso suono, la stessa pronuncia”) anno (sostantivo), a (preposizione), o (congiunzione) e ai (preposizione articolata); ma, visto che una discriminazione di questo tipo costituisce un’eccezione nel sistema grafico italiano, alcuni ànno proposto l’eliminazione della h,che in fondo all’attualità, a malgrado della sua presenza etimologica, non è che una consonante diacritica,e non v’à ragione di mantenerla se non in presenza di voci omofone da distinguere(ed in effetti in parecchie parole derivate da voci latine principianti per h (cfr. homo→uomo, honestas→onestà etc.) nel passaggio all’italiano l’aspirata iniziale è o sparita del tutto (cfr. onestà ) senza lasciar traccia homo→uomo, heri→ieri); dicevo che alcuni ànno proposto l’eliminazione della h, suggerendo di affrontare il problema della trasparenza delle forme con un’indicazione diacritica (cioè indicativa) diversa, meno invasiva quale quella dell’accento.La questione, dicevo, viene di lontano e già sul finire del 1700 si propose da qualcuno l’adozione delle voci accentate ò,ài,à,ànno in luogo di ho,hai,ha,hanno ma bisognò attendere il1911 quando il Congresso della “Società Ortografica Italiana” avanzò la proposta di indicare questa differenza con l’ausilio dell’accento sulle quattro voci verbali. La questione si è trascinata a lungo nel periodo tra le due guerre (un grande sostenitore di questa tesi è stato Ferdinando Martini, docente di Letteratura Italiana presso la Scuola Normale Superiore di Pisa), ed à avuto un suo epilogo anche nel secondo dopoguerra: nel Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi (recentemente pubblicato anche in versione elettronica su CD-ROM) l’editore sceglie questa soluzione per indicare le quattro voci verbali, con un risparmio, come afferma in un suo scritto, di un centinaio di pagine. Pure nell’usatissimo e completissimo Grande Dizionario della Lingua Italiana Garzanti le forme accentate vengono segnalate come esatte anche se rare e mi meraviglio molto che il Treccani non dia le medesime indicazioni! Va però confermato che attualmente le forme con la h sono senz’altro le piú diffuse ed indicate come corrette dai grammatici e dai linguisti sessantottini(?) iconoclasti di tutto quel che à sapore di passato;ad esempio: nella Grammatica di Luca Serianni(cattedratico a LA SAPIENZA di Roma) si trova una breve sintesi sulla questione e si precisa che “ le forme à, ài, ànno ed ò oggi appaiono grafie non certo erronee, ma di uso raro e di tono popolare; tuttavia non sono poche le persone che le usano, soprattutto se la loro formazione scolastica è stata compiuta nella prima metà del secolo scorso”; Ora io dico che lo spocchioso Serianni deve mettersi d’accordo con se stesso; prima infatti afferma che le forme à, ài, ànno ed ò son di uso raro, poi confessa che non sono poche le persone che le usano. Ubi veritas? Una cosa è certa: nella pluriennale questione è emerso che si insegnava la praticabilità delle forme à, ài, ànno ed ò anche in alcune scuole elementari degli anni Cinquanta e Sessanta; sono i cattedratici giovani che storcono il naso e respingono l’uso delle forme à, ài, ànno ed ò pur senza indicare convincenti, adeguati motivi del loro dissentire.
Seconda questione.
• Col verbo avere si è sempre piú diffusa nell'italiano parlato di ogni regione l'inclusione dell'elemento ci, dando quasi luogo a un paradigma diverso: non ho, hai, ha, ma ciò, ciai, cià. Quando però forme del genere, tipiche dell'oralità, devono ricevere rappresentazione scritta sorgono problemi. Naturalmente non è possibile adottare scrizioni come *c'ho...atteso che è noto, o dovrebbe esser noto che la vocale i si può elidere solo davanti ad altra i salvo le eccezioni che riguardano la i delle particelle pronominali mi, ti, ci, si, vi che possono essere elise davanti a voci verbali principianti per e di talché diremo che mi, ti, ci, si, vi s'elidono solo davanti ad e- od i-, mentre ad. es.: gli s'elide unicamente davanti ad altra i-. Cosí, c'indicò la strada, c'è, c’era(no), c'eravamo; (ma ci andò, ci obbligarono… ,; gl'Italiani, gl'impedirono (ma gli alberi, gli ultimi,. Si potrebbe optare per la grafia ci ho, ci hai ci ha, ci hanno - che è quella a cui ricorse un grande scrittore sensibile alla rappresentazione del parlato, il Verga, però molti arroganti linguisti non ritengono soddisfacente la soluzione del Verga,ma non se ne capisce il perché; io dico che usando le forme à, ài, ànno ed ò si risolverebbe la questione ottenendo ci ò, ci ài, ci à, ci ànno di tranquilla lettura ci- ò, ci -ài, ci- à, ci- ànno e corretta scrizione.
Un’ultima notazione.
Le forme à, ài, ànno ed ò usate in luogo di ho, hai, ha,hanno trovano il dissenso non solo dei linguisti imberbi e sessantottini, ma pure dei redattori dei giornali, redattori che son usi a correggere in ho, hai, ha,hanno le forme à, ài, ànno ed ò usate da qualche lettore che scrive ai giornali, motivando tali indebite correzioni con l’affermare che i giornali vanno nelle mani d’un pubblico eterogeneo: persone istruite (che forse sanno della possibilità della doppia grafia dell’indicativo presente del verbo avere) e persone ignoranti (che resterebbero interdetti davanti alle voci verbali accentate del tipo ànno usate in luogo delle piú comuni come hanno. E poiché oggi sono i media che dirigono la musica e le redazioni dei giornali brulicano di iconoclasti ragazzini settantottini, figli del marxismo dilagante, ragazzini che ànno preso la mano anche ai redattori nati negli anni quaranta e cinquanta, non resta che accettare le correzioni del redattore di turno e tenerse ‘a posta sia pure obtorto collo! Ma quando non si scrive ai giornali forse ci si potrà riprender la libertà di scrivere ò, à, ài, ànno in luogo di ho, hai, ha,hanno impipandosene dei redattori dei giornali e dei linguisti sessantottini e tenendo fede agli insegnamenti delle maestre come la mia (classe 1911) che Iddio l’abbia in gloria!
Raffaele Bracale
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