CHIACCHIERONE – MILLANTATORE etc.
Alcune parole napoletane usate per significare ad un dipresso quelle dell’epigrafe, in realtà significano anche qualcosa in piú; per chiarire la cosa comincerò col dire che in toscano mentre il termine chiacchierone (etimologicamente accrescitivo di un deverbale di chiacchierare che è voce onomatopeica, ) indica che o chi chiacchiera molto e volentieri soprattutto di argomenti futili, o anche in senso spregiativo che o chi non sa tenere un segreto, il termine millantatore (che etimologicamente è un deverbale di millantare id est: accrescere millanta volte e quindi aggrandire esageratamente, vantarsi, vanagloriarsi) indica chi appunto si vanti o vanti qualità o meriti che non à; la lingua napoletana con le parole che traducono quelle qui a margine ricordate, oltre ai significati già detti, indicano pure il saccente, supponente aduso – come vedremo – ad intervenire (senza esserne invitato) in discussioni per esprimere il proprio inutile parere, distribuendo consigli tanto sgraditi, quanto vacui; la lingua napoletana, per significare il suddetto individuo, à (e lo vedremo ) a dir poco un paio di termini precisi, mentre la lingua toscana à bisogno di un giro di parole per identificare tale individuo, non avendo un conciso termine ad hoc.
Prendiamo ora in esame le parole napoletane; abbiamo:
- chiacchiarone che anticamente fu anche nzacarrone parola usata per indicare oltre chi chiacchieri molto e volentieri, in ispecie di futilità, anche chi è solito farcire il proprio dire di fantasiose bugie, romanzando quasi la realtà che riporta; ed infatti piú che sistemazione dialettale dell’ onomatopeico toscano chiacchierone, etimologicamente il napoletano chiacchiarone e piú ancora l’antico nzacarrone pare debbano collegarsi all’arabo zacar=racconto, secondo il seguente percorso morfologico: n (eufonica)+ zacar + il suff. accrescitivo one e raddoppiamento espressivo della liquida; onde nzacarrone; da notare – come già segnalato che la enne iniziale non è aferesi di un in illativo, ma semplice consonante eufonica, per cui è errata la scrittura ‘nzacarrone in luogo della corretta nzacarrone privo d’ogni segno diacritico. Rammento qui che la voce nzacarrone poco o nulla attestata negli scrittori napoletani, ma presente(nel significato di gran chiacchierone) nel linguaggio parlato sulla bocca del popolo della città bassa non va confuso con la voce zancarrone che valse (come l’omologo zancarruni del dialetto siciliano), uomo dappoco, maestro incompetente, e fu voce etimologicamente derivata dal bizantino tzangàrios=calzolaio.
- fanfaro/fanfero e gli accrescitivi fanfarrone ed arcifanfaro o arcifanfero sono tutti termini usati per indicare chi parli troppo, per mera iattanza senza fondamenti, comportandosi da spaccone e gradasso; etimologicamente le parole napoletane, anche quelle che ricorrono all’arci= archi per significar sovrabbondanza, son da collegarsi per il tramite dello spagnolo fanfarron all’antico spagnolo fanfa= iattanza;
- favone che è propriamente il gran millantatore, vanesio chiacchierone oltre che saccente e supponente; etimologicamente penso che, piú che al latino fabulo/onis da un fabulari = raccontar sciocchezze, la parola possa collegarsi al latino favonius che indicò un vento, come al vento si posson appaiare le vuote parole emesse dal saccente favone;
- iaqóco: propriamente il ciarlatore senza costrutto e/o senso;parola abbondantemente desueta, risalente al 15° - 16° sec., di ambito teatrale e marionettistico da collegarsi al nome proprio Jaqocuo, fr. Jacques dal latino Jacobus da cui (vedi alibi) si trasse la già esaminata jacovella;
- lungarone: che è esattamente colui aduso a cianciare, se pure a vuoto, lungamente; come facilmente si intuisce la parola è da collegarsi al termine lungaría =lungaggine che son con ogni probabilità dal greco: làggein – laggazein =indugiare, soffermarsi e dunque dilungare;
- parlettiero: chi si compiace di articolar gli organi della fonazione, per il sol gusto di udirsi, non avendo nulla di serio o costruttivo da esprimere; estensivamente anche il pettegolo che è chi si bea a parlar spesso con morbosa curiosità e con malizia di fatti e comportamenti altrui, portandoli in giro e diffondendoli con proditoria malignità; il toscano pettegolo, facendo riferimento alla cennata proditoria diffusione, tal qual venticello, etimologicamente è da collegarsi ad un veneto antico: petegolo inteso simile al peto toscano; il napoletano parlettiero è invece molto più tranquillamente deverbale di parlà unito agli infissi intensivo-frequentativi ett ed iero; da parlettiero il napoletano à tratto anche il denominale parlettià, ed attraverso la solita prostesi della esse durativa il denominale sparlettià che sono propriamente il malevolo ciarlar continuo, lo spettegolare;
- spallettone: eccoci a che fare con l’altro termine che con il pregresso favone è usato in napoletano per indicare il gran millantatore, il saccente, il supponente, il sopracciò,il gradasso fastidioso, colui che anticamente fu definito mastrisso termine ironico corruzione del latino magister ovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non ne aveva né la cultura, nè il carisma necessarii; piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine a margine , che vien definito spallettone chi fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli degli altri , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in forza della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui,mai dei propri! Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli e, cosí via, non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che,specie quando non sia interpellato,si propone tentando di imporre la propria presenza e dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- comporterebbero, se messi in pratica, in chi li riceve, un aggravio (senza peraltro certezze di buoni risultati…) delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
Per ciò che riguarda l’etimologia non vi sono certezze essendo il vocabolo completamente sconosciuto ai compilatori di vocabolarî della lingua napoletana, adusi a pescare le parole negli scritti degli autori classici e, spesso, a tenere in non cale il vivo, corrente idioma popolare; non posso allora che proporre un’ipotesi, non supportata è vero da riscontri storico-letterarî, ma che mi pare sia perseguibile; eccovela: penso che, essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è semanticamente al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di trovare l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul cennato verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della esse intensiva partenopea, l’assimilazione regressiva della erre alla elle successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo one.
- sbardellone : esattamente il grande (si noti il suffisso accrescitivo one) ridondante ciarlatore, aduso ad eccedere i limiti, quasi ad esorbitare dal suo alveo di competenze, in tutto in linea con il suo etimo deverbale d’un bardellare = porre la bardella (dal fr. bardelle =piccola sella) diventato sbardellare con la solita protesi della esse che qui non è intensiva, ma detrattiva, per significare proprio il debordamento delle ciarle dello sbardellone a margine;
- tatànaro: e siamo giunti infine ad un termine che connota un gran parlatore, che però deve il suo reiterato ciarlare, più che ad un atto di volontà, ad un semplice difetto di fonazione; in effetti l’iterazione della sillaba d’avvio del termine e cioè: ta-tà dovrebbe indurci a pensare che abbiamo a che fare con un balbuziente, in linea con il verbo tatanià (donde deriva il nostro tatànaro ) verbo e parola sono etimologicamente dal greco: tatalizo =blaterare, balbutire.
Rammenterò, per finire, che tutte le parole a margine, con le sole eccezioni di favone e spallettone possono essere usate, non solo al naturale maschile, ma – con opportuno cambio di desinenza - anche al femminile; chi invece volesse riferire ad un soggetto femminile le pessime qualità dei cennati favone e spallettone dovrebbe cambiare vocabolo ed usare: cciaccessa che identifica appunto la ciarliera millantatrice, saccente e supponente; faccio notare che il termine cciaccessa (altro termine, come il pregresso spallettone, estraneo ai calepini, ma vivo e vegeto nel parlato comune ) deve sempre correttamente scriversi con la geminazione iniziale della c; etimologicamente mi pare si possa molto probabilmente, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare, farla risalire al verbo ciarlare con la giunta di un suffisso dispregiativo femminile essa marcato su quello dispregiativo maschile asso (che sta per accio), e con tipica assimilazione regressiva di tutte le consonanti interne erre ed elle alla iniziale c.
A margine e completamento di quanto detto ricordo che esiste nell’ambito campano un'altra voce usata per indicare una donna malevola dispensatrice di vuote chiacchiere, millantatrice e parolaia; tale voce è, nel napoletano: puvèta, nell’irpino: povèta ambedue con derivazione da poèta con l’aggiunta di un tipico suono eufonico epentetico (v); da notare come le due voci: puvèta e povèta sebbene derivate, nel senso di fantasiosa raccontatrice di fanfaluche, dalla voce maschile: poeta (a sua volta dal latino poíta(m), dal gr. poítés, deriv. di poiêin 'fare, produrre'), forse a causa della desinenza a siano state erroneamente intese femminili e solo femminili.
Raffaele Bracale - Napoli
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