IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 3°
6 -Paré ‘a gatta ‘e madama quatti-quarte ca magna ‘nu chilo e pesa tre cquarte!
Letteralmente: Sembrare la gatta della madama da quattro quarti(di nobiltà) che mangia (cibo per) un chilogrammo, ma pesa (solo) tre quarti di chilo; icastica espressione usata con evidenti risvolti a) ironici e/o giocosi, e b) velati d’invidia; i risvolti sono a) ironici e/o giocosi quando ci si intenda riferire a persone avare e possessive che temano possano andare perdute parte delle proprie sostanze e siano tanto spilorce al segno di rifiutarsi d’assimilare del tutto ciò che mangino per non eccedere nel consumo delle vettovaglie e/o dei beni posseduti; l’ espressione è poi usata con evidenti risvolti b) velati d’invidia quando con essa ci si intenda riferire a persone che, pur ingozzandosi di cibo a profusione, riescono (forse perché dotate d’un particolare metabolismo…) a non assimilarlo del tutto, mantenendosi magre ed asciutte a dispetto delle calorie assunte. La cosa che piú diverte nell’espressione in esame è che anche in questo caso il protagonista è un gatto che però non è quello delle precedenti locuzioni; infatti non è né il gatto d’uno studente, né quello della sié Maria ma si tratta della bestiola d’una non meglio identificata madama da quattro quarti(di nobiltà) cioè d’una persona falsamente nobile, d’una persona che ostenta raffinatezza che non à, cercando di assumere atteggiamenti attribuiti a classi sociali piú elevate o persona che segue mode nuove ed eccentriche, con l'intenzione di distinguersi dai piú; a Napoli una persona che tenga questi atteggiamenti, se donna, è détta appunto ironicamente madama ‘e quatti-quarte cioè signora da quattro quarti (di nobiltà) id est nobiltà di quattro quarti, cioè di padre, di madre, avolo ed avola paterni e materni, i quali abbiano sempre vissuto nobilmente, non abbiano fatto esercizio alcuno vile per il quale abbiano pregiudicata la nobiltà; persona tanto veramente nobile da potere esibire uno stemma derivato da quelli dei suoi,uno stemma inquartato, stemma cioè che in ognuno delle quattro sezioni dell’ arma di famiglia, siano riconoscibili gli stemmi d’origine di padre, di madre, avolo ed avola paterni e materni, che concorsero all’effige della nuova insegna.Faccio notare che nella stragrande maggioranza dei casi càpita che veramente la donna ironicamente détta madama ‘e quatti-quarte sia persona magra ed asciutta di talché,quasi per sineddoche, si possa riferire proprio a lei piuttosto che al suo gatto l’assunto ironico e/o invidioso di mangiare per un chilo e di pesare solo tre quarti di chilo!
madama s.vo f.le
1madama, signora, titolo di riguardo che veniva rivolto in passato a una signora; oggi usato solo in tono scherzoso o ironico
2 in epoca coloniale, concubina indigena di un bianco
3 nel gergo della malavita, la polizia.
Voce derivata dal fr. madame, comp. di ma 'mia' e dame 'signora';
quatti-quarte = quattro quarti; quatti sta per quatto = quattro agg. num. card. invar.
1 numero naturale che corrisponde a tre unità piú una; nella numerazione araba è rappresentato da 4, in quella romana da IV: le quattro stagioni; i quattro Vangeli; i quattro punti cardinali; animali a quattro zampe; le quattro operazioni aritmetiche | sottintendendo il sostantivo: mettersi in fila per quattro, persone; un servizio da caffè per quattro, persone; rompere, dividere in quattro, parti; bob a quattro, posti; carrozza, tiro a quattro, cavalli
2 posposto al sostantivo, con valore di ordinale: l'articolo quattro della Costituzione; la citazione è a pagina quattro | sottintendendo il sostantivo: le (ore) quattro, antimeridiane o pomeridiane
3 indica un numero indeterminato, col significato di alcuni, pochi: faticà pe quatto sorde; ò venduto quelle quattro cianfrusaglie per liberare la casa | farsi in quattro per qualcuno, (fig.) adoperarsi in ogni modo per essergli utile | dirne quattro a qualcuno, (fig.) sgridarlo, trattarlo duramente | fare il diavolo a quattro, (fig.) fare gran baccano, buttare tutto sottosopra
voce dal lat. quatt(u)o(r);
quarte plur. di quarto= la quarta parte di un'unità; nella fattispecie il quarto è ognuno dei quattro campi che formano lo scudo gentilizio; voce dal lat. quartu(m);
chilo s. m. abbreviazione di chilogrammo ; unità di misura di peso corrispondente a 1000 grammi; si abbrevia come détto, in chilo; voce dal gr. chílioi 'mille' attrav. il fr. kilo;
tre cquarte = tre quarti (di chilo);
tre agg. num. card. invar.
1 numero naturale corrispondente a due unità piú una; nella numerazione araba è rappresentato da 3, in quella romana da III: tre libri; tre anni; le tre Parche, le tre Furie, le tre Grazie; le tre virtú teologali | sottintendendo il sostantivo: piegare il foglio in tre (parti); chi fa da sé fa per tre (persone)
2 posposto al sostantivo, con valore di ordinale: la stanza tre di un albergo; il primo capitolo inizia a pagina tre | sottintendendo il sostantivo: sono le (ore) tre; arriverà il (giorno) tre
3 con valore indeterminato indica una piccola quantità: dire una cosa in tre parole; non saper dire tre parole, (fig.) mancare di capacità espositiva | in qualche caso, indica molto, parecchio: prima di parlare è meglio pensarci tre volte
cquarte= quarte cfr. antea.
7 - Paré ‘a gatta purmunara
Ad litteram: Sembrare un gatto (ma piú esattemente un gatto femmina) goloso di polmone (vaccino). Divertito riferimento, prendendo a modello il comportamento del gatto che notoriamente è avido di polmone vaccino, a tutte quelle persone (ma segnatamente donne/massaie) che ripetutamente desiderose di cibo (quale che sia) ghiottonescamente si diano continuamente a piluccare assumendo piccoli, ma reiterati assaggi di ciò che stiano preparando in cucina.
purmunara agg.vo f.le dal m.le purmunaro =goloso/a di polmone; la voce purmunaro è, attraverso il suffisso di pertinenza aro/ara dal lat arius/ara→arus/ara, un denominale di purmone (polmone) dal lat. pulmone(m) con cambio espressivo della liquida l→r.
8 – Paré ‘a palata e ‘a jonta
Ad litteram:sembrare il filone di pane e la (sua) giunta Il paragone di questa espressione riguarda sempre due persone che incedano di conserva, e si tratti di due persone di cui l'una sia longilinea e prestante e l'altra piccola e piuttosto in carne per modo da essere paragonati ad un grosso filone di pane ed alla piccola giunta che il fornaio soleva accordare al compratore, per aggiustare il peso del filone di pane spesso inferiore al previsto chilogrammo della pezzatura.
palata s.vo f.le = filone di pane; pezzatura di pane che non eccede il peso d’ un chilogrammo ed occupa la metà della pala per infornare; un quarto o meno della pala l’occupano le c.d. palatelle (piccoli filoncini da 500 o 250 gr.);rammento che a Napoli il pane è venduto nelle piú varie forme o pezzature tra le quali da ricordare ‘o paniello o ‘a panella (etimologicamente dal latino panis + i suffissi di genere iello o ella ) ambedue: ampia pagnotta rotondeggiante di ca 1 kg.; si à altresí ‘o palatone (grosso filone di ca 2 kg., bastevole al fabbisogno giornaliero di una famiglia numerosa, il suo nome gli deriva dal fatto che , al momento di infornarlo, detto filone occupa per intero la lunga pala usata alla bisogna; la palata, ripeto, è invece il filone il cui peso non eccede 1 kg. ed occupa la metà della pala per infornare; un quarto o meno della pala occupano le cosiddétte palatelle (piccoli filoncini da 500 o 250 gr.); sià ancóra la cocchia che(con derivazione dal lat. cop(u)la(m)→cocchia), sta per coppia in quanto in origine fu un tipo di pane formato dall’accoppiamento di due palatelle accostate ed unite al momento della lievitazione e poi cosí infornate; in seguito, pur mantenendo la pezzatura di 1 kg., corrispondente al peso di due palatelle accoppiate, la cocchia prese una sua forma alquanto diversa e fu un po’ piú larga, piú schiacciata e meno lunga della palata.Si ànno infine panini, marsigliesi e ciabatte che sono tutti formati di pane molto contenuti, quasi delle monoporzioni adatte ad essere consumate farcite di salumi o formaggi o gustose frittate per un rapido, contenuto asciolvere o quale pasto da asporto comunemente détto marenna (che etimologicamente è un gerundivo lat. neutro pl. merenda→marenna inteso femm. sg. con tipica assimilazione progressiva nd→nn.
La voce palata è un denominale di pala (dal lat. pala(m)) con riferimento all’attrezzo (lungo e stretto asse di legno) usato per infornare il filone di pane.
Rammento infine che in napoletano esiste un’altra voce quasi simile a palata, ma di tutt’altro significato; dico cioè della voce palïata che vale un gran numero di gravi, dolorose batoste; quest’ultima voce (palïata) originariamente si riferiva al fatto che le percosse erano inferte con un palo donde il nome (palïata); in prosieguo di tempo è venuta meno la particolarità del palo, ma è rimasta l’idea della gran quantità di percosse che la palïata comporta.Rammento che morfologicamente dal sostantivo palo ci si sarebbe atteso come corretta derivazione la voce palata e non palïata, ma poi che il napoletano aveva già la voce palata con tutt’altro significato come ò détto ecco che per indicare la bastonatura inferta con un palo si ricorse al termine palïata che necessitò dell’anaptissi di comodo di una ï nella voce palata. La locuzione fà ‘na palïata (percuotere lungamente e dolorosamente) non è piú molto usata, un tempo, invece, era sulla bocca di tutte le mamme che con essa espressione minacciavano i loro vivaci figlioletti insensibili a piú dolci rimbrotti, affinché si calmassero e recedessero dal loro irrequieto atteggiamento.
jonta/ghionta s.vo f.le duplice morfologia d’una identica voce che vale giunta, aggiunta, sovrappiú; nella fattispecie piccolo pezzo di pane dato a complemento d’un filone di pane al fine di sistemarne il giusto peso. La voce è dal lat. (ad)iuncta→juncta→jonta/ghionta, '(le) cose aggiunte', part. pass. neutro pl.poi inteso femminile di adiungere 'aggiungere'.
9 - Paré ‘a lampa d’ ‘o Sacramento
Ad litteram: sembrare la lampada del Sacramento Id est: essere cosí di salute malferma e d’aspetto smunto e macilento da potersi paragonare al piccolo cero, dall’esile fiammella che arde davanti la custodia del SS. Sacramento nelle chiese cattoliche, cero che però si consuma rapidamente.
lampa – s.vo f.le di per sé fiamma, ma anche estensivamente lampada, lume ed altrove pure quantità di vino ingollata in un’unica bevuta; spesso è usata figuratamente per significare la vita ed il suo durare; etimologicamente dal nom. sing. del latino lamp(s)-lampa(dis);
sacramento s.vo m.le 1 (teol.) nel cristianesimo, rito istituito da Gesù Cristo per operare la salvezza dell'uomo; secondo alcune chiese (p. e. orientali e cattolica), conferisce o accresce la grazia; secondo altre, la testimonia nella fede: amministrare, impartire, ricevere i sacramenti | i sette sacramenti, nella chiesa cattolica, battesimo, cresima, eucaristia, penitenza o riconciliazione, unzione degli infermi, ordine e matrimonio: accostarsi ai sacramenti, confessarsi e fare la comunione | fare qualcosa con tutti i sacramenti, (fig. fam.) con tutte le regole, col massimo scrupolo
2 in particolare,come nel caso che ci occupa, scritto in segno di devozione e/o rispetto con l’iniziale maiuscola, il Sacramento dell'eucaristia | l'ostia consacrata: esporre il Sacramento, il SS. Sacramento
3 (ant. , lett.) giuramento solenne: a te guardando, / o bel sole di Dio, fo sacramento
dal lat. sacramentu(m), deriv. di sacrare 'consacrare'.
10 - Paré ‘a limma e ‘a raspa
Ad litteram: Sembrare una lima ed una raspa; id est: détto, con riferimento all’asperità dei due utensili da carpentieri che venendo a contatto posson suscitare anche delle scintille,détto di due persone che per la ruvidezza dei rispettivi caratteri, se entrano in una qualche relazione son usi contrastarsi ripetutamente sino a giungere a continuo litigio.
limma s.vo f.le = lima, utensile manuale costituito gener. da una barra di acciaio temprato sulla cui superficie sono ricavati numerosi denti a bordo tagliente; serve ad asportare piccole quantità di materiale da superfici dure in lavori di sgrossatura e di rifinitura; voce dal lat. lima(m) con raddoppiamento espressivo della nasale bilabiale.
raspa s.vo f.le = raspa, utensile manuale, attrezzo simile ad una lima, ma con denti piú grossi e piú radi, usato soprattutto nella lavorazione del legno; serve ad asportare rapidamente piccole quantità di materiale da superfici dure in lavori di sgrossatura, ma non di rifinitura; voce deverbale di raspare/raspà che è dal germ. raspôn 'grattare'.
11 - Paré ‘a morte ‘ncopp’ ê cantarelle
Ad litteram: Sembrare la morte ( id est:un morto) su gli scolatoi. Détto con divertita irriverenza di qualcuno che sia tanto smagrito e male in arnese da potersi paragonare ad uno di quei cadaveri che temporibus illis venivano per un certo tempo inumati (in catacombe o ipogei di talune chiese provviste di terra santa) posti a sedere su di una sorta di ampi càntari o cantèri (vasi di comodo) fino a che, perduti per scolatura i liquidi corporali non risultassero tanto asciutti ed incartapecoriti da poter daro loro acconcia sepoltura in terra consacrata o direttamente in nicchie senza la necessità di tenerli dapprima in una bara lignea.
‘ncopp’ ê locuzione che vale la preposizione articolata sulle o altrove sugli formata dall’ unione di ‘ncoppa a e dall’ articolo ‘e (=i/gli/le)che fuso con la preposizione a si rende graficamente con ê= a+’e come altrove (cfr. ultra) a+’a=â - a+’o=ô; rammento al proposito che con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat in+cuppa(m)); le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa, ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o ntra/’nfra ‘a ntra/’nfra ‘e. Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â casa (dove la â è la scrittura contratta(crasi) della preposizione articolata alla), che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) vicino al/allo (vicino a ‘o→vicino ô) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
cantarelle s.vo f.le pl. del sg. cantarella di per sé ampio càntero/càntaro, ma qui e nell’inteso generale vaso scolatoio su cui venivano assisi i cadaveri a cedere i liquidi ed essiccarsi. La voce a margine etimologicamente è una femminilizzazione sia pure in incongrua forma di diminutivo della voce càntero/càntaro che è dal lat. dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce càntero/càntaro con l’altra voce partenopea - cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia (ca 27 grammi) nel culo (e non occorre spiegare cosa rappresenti l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e/o poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
Ò parlato di incongruità circa la femminilizzazione diminutiva di càntaro in càntara e poi cantarella, in quanto è noto che in napoletano un oggetto o cosa che sia è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Ora atteso che una càntera/càntara è piú grossa o ampia del càntero/càntaro non à senso farne il diminutivo canterella/cantarella a meno che non lo si abbia fatto per tentar di rendere (con un diminutivo aggraziante) meno tetra una cosa lugubre quale è uno scolatoio per cadaveri!
(Continua)
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